Caro Alex,
ti seguo da parecchio tempo sulla pagine di Nigrizia e ho avuto modo di partecipare a qualcuna delle Arene di pace. Sono un “sessantottardo”, faccio parte della generazione che ha creduto di poter trasformare la società, di indirizzarla all’uguaglianza e al bene comune, e si è ritrovata con un pugno di mosche in mano. Oggi vige il culto del mercato, del profitto e degli interessi personali. Io mi sento uno sconfitto. Ti chiedo: come fai a non demordere, a non arrenderti? (Norberto Aliprandi)


Non sei la prima persona che mi pone una tale domanda. E non è facile rispondere.

Capisco l’amarezza di chi come te o come quelli della mia generazione che si sono impegnati a cambiare questo nostro mondo e si ritrovano di fronte un mondo in cui non si riconoscono. Hai ragione quando affermi che «oggi vige il culto del mercato, del profitto, degli interessi personali».

Ma sarei ancora più duro perché abbiamo creato una situazione ambientale insostenibile: oggi è in ballo la stessa sopravvivenza su questo pianeta di Homo Sapiens, che purtroppo è diventato Homo demens, uomo dissennato.

Tutti noi siamo parte integrante di un sistema economico-finanziario globale che permette al 10% della popolazione mondiale, i ricchi, di consumare il 90% dei beni prodotti. Una conseguenza palese: milioni di persone che non hanno il minimo necessario per vivere dignitosamente. Nigrizia lo racconta da 142 anni, focalizzando l’attenzione sull’Africa.

E noi ricchi, per continuare a vivere così, dobbiamo armarci fino ai denti. Nel 2022 abbiamo speso 2.240 miliardi di dollari in armi e facciamo guerre per ottenere quello che non abbiamo.

Lo stile di vita del 10% degli abitanti del pianeta (siamo 7,8 miliardi) e la produzione e il commercio di armi pesano enormemente sull’ecosistema. E il pianeta non ci sopporta più. Stiamo andando dritti o a una guerra nucleare e quindi all’“inverno nucleare”, o al disastro ambientale e all’“estate incandescente”.

La nostra generazione era convinta che, con la Seconda guerra mondiale, fosse stato sconfitto il “male assoluto” (il nazismo) e che davanti a noi si sarebbe aperto un mondo nuovo. Ma un nostro contemporaneo, il monaco David Maria Turoldo, nel celebre poema I Salmi, ci ammoniva: “Tornavamo dai lager, ma non sapevamo, Signore, quanto è difficile essere liberi”. E poi concludeva: «Ritorna, Signore, e disperdi quanti hanno nuovamente/ucciso milioni di morti/anch’essi sono divenuti/assassini, hanno superato/l’infamia dei vinti».

Davanti a tutto questo tu dici di sentirti sconfitto. Siamo tutti sconfitti. Ci eravamo illusi di essere liberi e ci ritroviamo schiavi di sistemi di morte. Mi chiedi come faccio a non arrendermi. È proprio in un momento così grave che siamo chiamati a resistere. È una questione di vita o di morte. Ecco perché non posso arrendermi.

Ma la ragione più profonda che mi impedisce di arrendermi è la passione per il grande Sogno che ha ispirato Gesù in quella Galilea degli oppressi. Il Sogno del Ki-Bar-Enasha (Nuova Umanità) del libro di Daniele, il sogno del Regno di Dio, di un mondo nuovo, più fraterno, più umano.

A questo sogno di Gesù ho dedicato la mia vita missionaria: sono un innamorato di Gesù e del Suo Sogno. È questo che mi dà la spinta a non mollare. Quello che ho compreso nel mio percorso di vita è che senza una profonda spiritualità non si può resistere a lungo. È la mistica della passione per il Sogno. Aveva ragione il noto teologo tedesco Karl Rahner ad affermare: «Il cristiano del XXI secolo o sarà un mistico o non sarà».