Padre Luigi Consonni

Commento alle letture: IV DOMENICA DI AVVENTO -A-
(18/12/2022)

Prima lettura (Is 7,10-14)

In quei giorni, il Signore parlò ad Acaz: «Chiedi per te un segno dal Signore, tuo Dio, dal profondo degli inferi oppure dall’alto».
Ma Àcaz rispose: «Non lo chiederò, non voglio tentare il Signore».
Allora Isaìa disse: «Ascoltate, casa di Davide! Non vi basta stancare gli uomini, perché ora vogliate stancare anche il mio Dio? Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele».

La dinastia del re Davide, alla quale è legato il compimento della promessa di Dio, è in pericolo perché i re di Aram e di Israele vogliono eliminarla. Il re d’Israele, Acaz, nelle circostanze in cui si trova, invece di chiedere l’aiuto a Dio fa immolare il suo unico figlio (2Re 16,3) e cerca l’alleanza con l’Assiria.
Il profeta tenta di dissuaderlo da tale proposito e, in nome del Signore, parla ad Acaz: “Chiedi per te un segno dal Signore, tuo Dio, dal profondo degli inferi oppure dall’alto”. Questi occulta le sue vere intenzioni e si cela dietro una falsa motivazione: “non lo chiederò, non voglio tentare il Signore”. Il suo cuore è preso da un altro interesse e il pensiero è determinato per un’altra strategia.
Nella sua persona si concretizza il peccato, la sfiducia nel Signore, il disinteresse e l’infedeltà all’Alleanza stabilita dai padri, della quale dovrebbe garantire il compimento. Dalla trasgressione derivano i pensieri e le azioni peccaminose, e con esse la sottovalutazione del rapporto e l’allontanamento, o addirittura, il disprezzo dei valori etici che sostengono la vita personale e sociale.
È quello che succede anche oggi. L’allontanamento dal Signore di chi pone sé stesso, i propri criteri e progetti come riferimento principale, se non esclusivo, stabilisce, nel migliore dei casi, uno pseudo-rapporto con il Signore fondato su propri canoni, il più delle volte strumentali esclusivamente a fini egocentrici, particolarmente in circostanze di rilievo. In tal modo si va formando l’abitudine al peccato di indifferenza e insensibilità al Signore Dio, alle persone sofferenti e bisognose.
Con esso cresce la difficoltà di percepire la portata e il danno a sé stesso, alle persone e alla società, soprattutto da parte di chi ha responsabilità di governo. Per usare una metafora, è come affondare sempre più nelle sabbie mobili, al punto di non uscirne se non con un radicale ma improbabile processo di conversione. Al riguardo, afferma il libro della Sapienza: “La sapienza non entra in un’anima che compie il male né abita in un corpo oppresso dal peccato” (1,4).
Il profeta percepisce l’ambiguità di Acaz e la evidenzia apertamente a tutto il popolo: “Ascoltate, casa di Davide! Non vi basta stancare gli uomini, perché ora vogliate stancare anche il mio Dio?”. Tuttavia, nonostante l’irritante risposta del re, Dio non desiste dal compiere la sua volontà e prende l’iniziativa nell’inviargli un segno: “Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele”.
Dio sa che, senza il suo aiuto e allontanandosi da Lui, il popolo si perderà e ritornerà alle condizioni di schiavitù dalle quali fu liberato. Di fatto, la terra promessa ha perso la condizione che Dio si aspettava e ha assunto quella di un nuovo Egitto, non per il dominio di una potenza straniera ma per causa propria, per non osservare i termini dell’Alleanza. Infatti si riproducono i meccanismi di oppressione e di schiavitù di allora; questa volta per opera delle stesse autorità politiche e religiose.
Il significato del nome del figlio che nascerà – Emmanuele, Dio con noi – manifesta il proposito di Dio di non abbandonare il popolo alla deriva. Un concepimento così singolare rafforza la convinzione riguardo la ferma volontà del Signore di compiere la Promessa con l’accoglienza dell’avvento della sua sovranità, l’avvento del suo Regno, nel rapporto con Lui e nei rapporti interpersonali e sociali. Impegno motivato dal Suo sincero e profondo amore per il popolo e per la salvezza del genere umano.
È Impressionante la tenacia e la solidità del Suo amore per un popolo che, seppure eletto, continuamente gli volta le spalle. È la fedeltà all’Alleanza, la realtà ultima del suo Essere e il senso del suo Esistere che declina l’amore e la volontà di riscattare il popolo. Con esso si evidenzia e si percepisce la magnanimità della Sua misericordia, ben oltre ogni attesa e speranza umana.
L’esperienza dei destinatari coinvolti, trasformati e gratificati dalla misericordia di Dio, costituisce l’essenza della salvezza. L’efficacia e la visibilità di essa si riscontra nell’assumere i termini dell’Alleanza, la cui finalità è l’avvento del Regno di Dio nell’ambito, nel contesto e nelle circostanze individuali e sociali della vita giornaliera.
Oggi il segnale della vergine, che concepirà e partorirà un figlio, è inteso come prefigurazione di un’altra concezione che, dopo secoli, darà alla luce Gesù, il figlio di Maria. San Paolo, nella seconda lettura, riflette sull’importanza di tale evento per l’umanità di tutti i tempi.

 

Seconda lettura (Rm 1,1-7)
Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per chiamata, scelto per annunciare il vangelo di Dio – che egli aveva promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sacre Scritture e che riguarda il Figlio suo, nato dal seme di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità, in virtù della risurrezione dei morti, Gesù Cristo nostro Signore; per mezzo di lui abbiamo ricevuto la grazia di essere apostoli, per suscitare l’obbedienza della fede in tutte le genti, a gloria del suo nome, e tra queste siete anche voi, chiamati da Gesù Cristo -, a tutti quelli che sono a Roma, amati da Dio e santi per chiamata, grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo!
L’apostolo, rivolgendosi alla comunità di Roma, si presenta come “servo di Gesù Cristo”, chiamato e scelto, in virtù della sua conversione alle porte della città di Damasco, per annunciare “il vangelo di Dio”, la buona notizia divenuta buona realtà di salvezza per sé stesso, per le persone tutte e per l’umanità intera.
È l’evento “Gesù Cristo” – il suo insegnamento, la filosofia di vita, le scelte mirate, lo stile di vita e, infine, la sua morte e risurrezione per la causa del Regno di Dio – nel quale è pienamente coinvolto e che genera, in lui, il passaggio da persecutore ad apostolo.
Nell’evento Paolo riscontra la promessa di Dio annunciata dai profeti e registrata nelle sacre Scritture – l’antico/primo Testamento – che riguarda “il Figlio suo, nato dal seme di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità, in virtù della risurrezione dai morti, Gesù Cristo nostro Signore”.
Gesù è presentato come Figlio di Dio nato dal seme di Davide – “la casa di Davide!” – e “secondo la carne” che, con la sua entrata nel mondo, assume la “carne” (termine che segnala non tanto la fisicità del corpo quanto il livello infimo, la condizione di peccato in cui è caduto Israele). Gesù assume il peccato su sé stesso, pur non coinvolto in esso, e determina di fare propria l’esperienza umana di fragilità, vulnerabilità, debolezza, ignoranza, resa tale dal peccato. In altre parole, assume la condizione vera di ogni essere umano.
Si pone sullo stesso piano e nella stessa condizione dell’uomo, per camminare con lui, “prenderlo per mano”, insegnare, praticare come procedere riguardo all’accoglienza dell’avvento del Regno, della sovranità del Padre, di cui è il primo testimone e il paradigma.
La fedeltà al compimento della missione, “secondo lo Spirito di santità”, fa sì che l’uomo Gesù sarà “costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità, in virtù della risurrezione dai morti, Gesù Cristo nostro Signore”, nel testimoniare l’Uomo (con la maiuscola) raggiunto dalla pienezza del divino: “Ecco l’uomo” (Gv 19,6).
Di conseguenza, Paolo afferma: “per mezzo di lui – Gesù Cristo – abbiamo ricevuto la grazia di essere apostoli”, cosciente del dono assolutamente immeritato. L’evento della sua conversione, e la ricezione della stessa da parte della comunità cristiana, rivela ciò che nessuno avrebbe immaginato: passare da persecutore ad apostolo. Tuttavia molti rimasero sconvolti e perplessi sull’autenticità della sua conversione.
In ogni caso Paolo, per mandato del Figlio, sa che il dono elargito va testimoniato nel trasmetterlo. La finalità non è la salvezza personale o una forma di gratificazione nella quale compiacersi, ma coinvolgere il maggior numero di persone di tutte le nazioni e culture “per suscitare l’obbedienza della fede in tutte le genti, a gloria del suo nome”. Il dono dell’apostolato è “per suscitare l’obbedienza della fede”, che consiste nell’accoglienza, nella sintonia e nel coinvolgimento nell’evento Gesù Cristo.
La “gloria del suo nome” si riferisce alla realtà profonda, all’amore trinitario che Gesù declina nella consegna per il riscatto, la rigenerazione e la pienezza di vita di chi crederà in Lui e nella causa del Regno.
La “gloria di Dio” è frutto della singolare circolarità per la quale, con il dono, Dio genera vita in abbondanza in chi lo accoglie. Quest’ultimo, nel testimoniarlo e trasmetterlo, coinvolge sé stesso e i destinatari che lo accolgono nella lode a Dio. A sua volta Dio offre la possibilità di “vederlo”, come afferma la beatitudine a favore dei puri di cuore, nel procedere senza secondi fini o false intenzioni nell’esperienza della vita in abbondanza (Gv 10,10).
Paolo fa queste considerazioni in sintonia con l’evento e il significato della sua conversione. Essa segna il passaggio dalla rigorosa osservanza della Legge di Mosè all’obbedienza, altrettanto rigorosa, degli effetti della morte e risurrezione di Gesù, per la quale comprende che il Crocefisso “mi ha amato e ha consegnato sé stesso per me” (Gal 2,20), una nuova persona. Con altre parole è il traghettamento dalla religione alla fede.
Con la trasformazione e la salvezza donata da Cristo – il traghettamento alla fede – Dio si manifesta come il Signore della vita e Gesù il modello che, con lo Spirito Santo, sostiene la comunione nell’amore trinitario. Il credente è immerso nella vita piena, e risponde al dono a Dio in termini di glorificazione, attraverso il culto della lode a Lui e con la pratica dell’amore al prossimo, immergendo sé stesso e i destinatari nell’avvento del Regno di Dio, l’ambito della salvezza.
La gloria di Dio – l’uomo vivente – e la glorificazione di Dio da parte del credente sono l’espressione dell’unica, infinita dinamica dell’amore. Anche se a diverso livello – Dio come Dio e l’uomo come uomo – i due crescono. Può sembrare strano che in Dio ci sia qualche forma di “crescita” poiché lo si immagina come infinito, immutabile e perfetto, come è sempre stato insegnato. Ma si può pensare che Dio cresca nell’umanità assunta dal Figlio, e portata alla perfezione con la consegna per la causa del regno con la morte e risurrezione, e per il fatto che gli effetti sono in atto nell’umanità, e specificamente, in coloro che accettano il dono, e ciò che ne consegue, nella vita personale e sociale.
D’altronde, per esperienza umana, la persona che non riceve niente dall’altra, che dice di amare, fa sentire quest’ultima inutile e rende insostenibile l’amore. Il rapporto è solo di sottomissione e, nel caso del rapporto con Dio, vanifica l’operato di Cristo. Non aveva tutti i torti Nietzsche nell’affermare che “Dio è morto”, riferendosi a un Dio pieno, satollo, immutabile, eterno…? Se Dio affermasse solo questo aspetto di sé, involvendosi nell’autosufficienza, non sarebbe un suicida? Un Dio così, come potrebbe essere anche umano?
L’incarnazione del Figlio avvia il processo di umanizzazione di Dio e della sua glorificazione. Allo stesso tempo la glorificazione dell’umanità in Dio è divinizzazione dell’umanità. Si tratta del rapporto simbiotico per il quale ognuno cresce in conformità e sintonia con il proprio stato.
Dato che tutte le nazioni sono coinvolte, Paolo afferma che anche i destinatari della lettera partecipano dello stesso processo, per l’obbedienza della fede: “e tra questi siete anche voi, chiamati da Gesù Cristo”.
Obbedienza che Giuseppe testimonia in modo singolare, come racconta il vangelo.

 

Vangelo (Mt 1,18-24)

Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto.
Però, mentre stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».
Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa “Dio con noi”.
Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.

Giuseppe è presentato come sposo, e Maria come promessa sposa. L’annuncio dell’angelo a Maria avviene nell’anno del fidanzamento. Secondo la legge i due sono sposi a tutti gli effetti, eccetto la convivenza matrimoniale, e continuano ad abitare nelle rispettive case. Solo al termine del fidanzamento vivranno nella stessa casa la vita coniugale, osservando gli obblighi propri degli sposi.
Giuseppe è additato come “un uomo giusto”, un timorato di Dio, un uomo attento alla Legge, per mezzo della quale coltiva e mantiene il rapporto con Dio. L’inciso è particolarmente importante per la comprensione dell’atteggiamento di Giuseppe verso Maria, nel singolare evento in cui i due sono coinvolti.
Giuseppe “pensò di ripudiarla in segreto”. Il testo non accenna ai sentimenti di Giuseppe per l’accaduto a Maria; probabilmente il suo atteggiamento è motivato non dal fatto che non dubitasse dell’integrità di Maria ma dall’amore per lei e per il rispetto all’azione di Dio. Crede all’affermazione di Maria, quindi è logico che si metta da parte per non interferire con il piano di Dio e, allo stesso tempo, non vuole compromettere la dignità della sposa che, ingiustamente, sarebbe esposta all’infamia e alla lapidazione.
La convinzione maturata nel suo mondo interiore è confermata dall’intervento dell’angelo. Vale precisare che “L’angelo del Signore” non si riferisce un angelo inviato da Dio, ma rappresenta Dio stesso quando entra in contatto, in comunicazione, con gli uomini.
E perché in sogno? Nel libro dei Numeri si legge: “se ci sarà un vostro profeta, io Jahvè, il Signore, in visione a lui mi rivelerò, in sogno parlerò con lui”. Dio è lontano dagli uomini, non si manifesta ad essi direttamente, è impossibile accedere a Dio in sé stesso, alla sua trascendenza; quindi, nel manifestarsi assume la condizione di messaggero, di angelo.
E si rivolge a Giuseppe come “figlio di Davide”, discendente di Davide, in sintonia con la profezia di Isaia, perché il riconoscimento dell’autorevolezza del Messia dipende anche da tale fattore. Poi lo incoraggia a “non temere di prendere con te Maria, tua sposa”, a superare lo sconcerto e il turbamento, a porre il suo animo in pace e procedere con fiducia, motivando l’esortazione con la rassicurazione che “il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo”.
E la garanzia di Dio che Maria non è adultera, non ha tradito Giuseppe, trasmette la notizia che in lei è avvenuto qualcosa di nuovo, una nuova creazione, che prende forma nell’affermare la missione del nascituro: “ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli, infatti, salverà il suo popolo dai suoi peccati”.
“Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa”. È degno di nota il fatto che Giuseppe, un uomo comune, corretto e sincero, si lasci condurre fiduciosamente. Egli è presentato come il giusto, colui che anche andando al di là della tradizione, delle prescrizioni della legge, è in sintonia con la parola di Dio e la osserva, anche quando questa va contro le consuetudini e le regole religiose. Ma grazie a questa omissione dell’osservanza della legge, lo Spirito Santo fa breccia e può formarsi una nuova vita, quella di Gesù.
Il ruolo e l’atteggiamento di Giuseppe sono propri di un uomo come tanti, eticamente centrato sui valori della propria fede. È il punto di partenza, per ogni uomo retto, nell’ambire ad orizzonti più ampi, coinvolgere il senso della propria vita in valori nei quali la sincerità rivela la trasparenza di Colui che sta in essa e, ovviamente, andare oltre.