Padre Vincenzo Percassi
Mentre Gesù avanzava decisamente verso Gerusalemme e quindi verso il compimento della sua missione salvifica, uno sconosciuto tra i tanti che lo ascoltavano, forse colpito dal carattere esigente del suo annuncio, gli domanda: sono molti i salvati? La risposta di Gesù riporta alla luce il cuore del Vangelo ed il senso profondo di ogni azione missionaria. Egli dice che saranno moltissimi quelli che verranno da tutti i lati della terra per sedersi a mensa con Abramo e con i profeti nel Regno di Dio. E per scoraggiare ogni tentativo di previsioni solamente umane conclude dicendo che coloro che ora sono classificati come ultimi saranno un giorno considerati primi nel Regno dei cieli. In questo discorso Gesù fa eco al profeta Isaia in cui Dio annuncia la sua volontà di radunare tutti i popoli, di offrire un cammino chiaro e sicuro da seguire, un segno che anche quelli che non hanno mai udito parlare della gloria di Dio possono riconoscere. Insomma, Dio annuncia che faciliterà in ogni modo la salvezza dei lontani che torneranno a Gerusalemme portati su cavalli, carri e portantine e quella dei vicini chesi santificheranno portando offerte all’altare su vasi puri e graditi. Il Padre, nel Figlio suo Gesù, ha reso facile ed accessibile la salvezza, Il Regno di Dio, il cammino verso la vita e la gioia piena. Ma come recepire, dunque, l’ammonimento apparentemente di segno contrario che Gesù rivolge all’uomo che lo interroga: sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché quando questa sarà chiusa molti vorranno entrarvi ma non vi riusciranno. E la loro obiezione di aver mangiato e bevuto con Gesù riceverà una dura risposta: non vi conosco. Occorre, dunque, chiedersi che cosa impedisce di entrare in una porta, che anche se stretta, è comunque aperta? Per una porta aperta si entra se si decide di entrarvi. Per una decisione personale che supera esitazioni, distrazioni, indifferenza o disinteresse. L’immagine della porta “stretta” ma aperta suggerisce, allora, che per quanto possano essere moltissimi coloro che sono chiamati a partecipare al banchetto del Regno, in esso non vi entreranno come una massa anonima, ma uno ad uno, come persone che hanno dato un consenso personale all’invito e sono quindi conosciute per nome. In questa prospettiva, l’unico vero problema non è se siano tanti o pochiquelli che si salvano, ma, appunto, se io mi salverò. Se infatti io fossi l’unico ad escludermi dalla salvezza e quindi a decidere stoltamente di non passare attraverso la porta aperta, la conseguenza sarebbe irreversibile e drammatica. Non ci sarà una seconda apertura, ma solo pianto e stridore di denti. Un pianto cioè inconsolabile perché non nasce dal rammarico e dal pentimento ma dalla rabbia e dalla protesta. Ma è davvero possibile conoscere Gesù senza essere da lui conosciuti? in una qualsiasi relazione umana, responsabile per non farsi “conoscere” è colui che avrebbe potuto svelarsi e non l’ha fatto. Nessuno tollererebbe di essere conosciuto senza il proprio consenso.
È vero che Gesù conosce tutto ciò che c’è nel cuore dell’uomo, eppure, nel rispetto della nostra libertà, egli lascia a ciascuno di noi la responsabilità di svelarci. Egli ci dice che chiunque si affida lui pienamente e quindi si fa conoscere pienamente sarà facilmente salvato. Chiunque, invece, presume disé e quindi non si pone nemmeno l’interrogativo se abbia o meno bisogno di salvezza, rischia di vivere una religiosità formale oppure di costruirsi una personalità patinata, una personalità che non è conosciuta da nessuno in verità e che rimane in fondo sconosciuta a sé stessa. Gesù salva. Ma salva persone vere, che hanno riconosciuto profondamente il loro bisogno di salvezza. Quest’ultimo punto Illumina il discorso della lettera agli ebreiche si può riassumere in questi termini. Se vuoi entrare in una relazione vera con Dio e il suo Figlio Gesù, accettalo come il signore della tua vita e della tua storia e quindi affida a lui ogni circostanza, anche la più contraddittoria e sofferta. Chiunque crede veramente, sa bene che tutto ciò che accade, anche qualora non fosse direttamente voluto da Dio è comunque da Dio permesso e può essere da lui condotto ad un bene più grandenella misura in cuisappiamo a lui affidarci. In tal senso chiunque vive da figlio, chiunque cioè vive con la consapevolezza di essere conosciuto intimamente dal padre suo che è nei cieli, accoglie ogni circostanza, in particolare ogni sofferenza, come una correzione benefica e non una punizione gratuita o anche soloun semplice accidente. Difatto le circostanze della vita che disturbano il nostro quieto vivere, ci obbligano a ritrovare la nostra posizione di creature fragili, esposte ad ogni tentazione e bisognose di salvezza. E proprio quando soffriamo che possiamo decidere di farci conoscere dal Signore entrando in una relazione con lui di vero affidamento ed abbandono. In fondo ogni “strettoia” nella vita potrebbe semplicemente essere una porta che Dio ci apre e che attraversata con fiducia ci fa cadere nell’abbraccio del padre. Si salvi chi vuole.