Suor Anna Brunelli, per la quale provo una grande ammirazione, è una suora da “prima linea”, con il velo che le sta in testa di traverso come il basco del general Mongomery. Sempre entusiasta e sicura della forza che le da il Signore, tira dritto e non ha paura di nessuno, e meno di tutti del diavolo. Mentre sono qui a Kinshasa, di passaggio per rientrare in Italia per riposo (che spero non sia eterno e che mi permetta di ritornare tra la mia gente), è venuta a salutarci e non potevo perdere l’occasione di farmi raccontare qualcosa di lei, a partire dalle sue origini.

Suor Anna so da dove vieni e conosco la tua famiglia, ma “rispolverami e rinfrescami” i ricordi che qui in missione, con il caldo, sono un po’ evaporati…

Sono nata a Lugo di Valpantena o di Grezzana che dir si voglia. Devo ringraziare il Signore per la mia famiglia, una grande bella famiglia profondamente cristiana cattolica e con grandi valori. Il papà si chiamava Albino e a mamma Pasqua. Noi fratelli fummo battezzati in quattordici, ma vissuti in tredici. Mamma e papà ci hanno introdotto e educato alla Fede, e a tutti quei valori cristiani, umani e civili, come la solidarietà, l’onestà, l’attenzione al povero e a chi soffre e via via. Eravamo i vicini di casa della famiglia Tacchella. Noi e le sorelle Tacchella Luisa e Lisetta eravamo amiche fin dall’infanzia, a scuola e nei giochi. I nostri genitori, che coltivavano la terra, condividevano gli aratri, i buoi, e le altre attrezzature. Uno dei loro figli, Imerio Tacchella, aveva studiato sartoria, e avendo grandi qualità organizzative e grandi idee diede inizio alle “confezioni Tacchella” e chiese a noi ed a altre ragazze del paese di diventare sue dipendenti. Arrivammo ad essere una trentina di ragazze-operaie, tutte di Lugo e dei paesi della montagna vicina; scendevano con la corriera il mattino e salivano con la stessa corriera alle sette di sera.

Come è nata la tua vocazione e come ti sei preparata alla Missione?

Non posso non ricordare che Lugo, nonostante sia un piccolo paese, ha dato alla chiesa molte vocazioni di suore, sacerdoti, fratelli e laici consacrati. Ogni famiglia aveva almeno una suora e un sacerdote. Al venticinquesimo di ordinazione del nostro parroco, don Giuseppe Lonardelli (cugino della nostra suora Gabriella Faedo) che aveva a cuore le vocazioni, ha voluto riunire tutti i sacerdoti, missionari, le suore e i fratelli per la festa in paese. C’erano settanta suore in diversi istituti e molti sacerdoti. È stata fatta una grande fotografia con le suore davanti e i sacerdoti alle loro spalle. Impressionante! Sembravamo i preti e religiosi non di un paesino ma di una diocesi. Nel Natale del 1974 la Parrocchia ci ha organizzato la cerimonia dell’INVIO: eravamo sei religiosi missionari in partenza per l’Africa e l’America Latina.

Con un così ben preparato terreno famigliare e parrocchiale, due di noi si sono sentiti chiamati alla vita religioso-missionaria. Mio Fratello P. Giuseppe, che mi precedette, è stato missionario in Mozambico. Io poi l’ho seguito e sono entrata tra le comboniane nel 1966, non avendo raggiunto la maggior età (allora si diventava maggiorenni a 21 anni) ho avuto bisogno del permesso firmato dal papà. Ho fatto la prima professione religiosa a Verona nel 1969. In vista della Missione, le superiori mi hanno chiesto di prepararmi come infermiera per il servizio ai lebbrosi. Già era mio desiderio essere infermiera tra i lebbrosi, ma non l’ho mai espresso alle superiore. Ad esprimerlo e realizzarlo ci ha pensato il Signore, che conosce i cuori e non ha bisogno di suggerimenti. Fui quindi inviata a Roma per il corso di infermiera professionale. Eravamo ben tredici suore comboniane per il corso all’ospedale Santo Spirito per il primo e secondo anno, più due suore che facevano corso di Caposala. Eravamo una “potenza” su cui i dirigenti dell’ospedale potevano contare sempre. Se c’era uno sciopero, chiamavano noi comboniane per garantire il servizio e le cure agli ammalati. Completati gli studi, mi fu detto che ero destinata allo Zaire e che con le altre consorelle infermiere per quel Paese, avrei dovuto frequentare il corso di Medicina Tropicale ad Anversa, in Belgio. Tre mesi a Corroux in Svizzera per studiare francese lavorando; servizio infermieristico a domicilio; poi ad Anversa per fare questo corso.  Ancora non conoscevo bene il francese e ho dovuto penare, ma alla fine fui la seconda classificata del corso. Pensavo di essere pronta per la missione, invece mancava ancora qualcosina.  A noi infermiere chiedevano che conoscessimo qualcosa di Ostetricia e Ginecologia. Ho potuto frequentare il reparto Maternità a Verona, facendo solo pratica, con gli occhi. Non mi era permesso altro. Il primario poi fece un’attestazione che avevo seguito un corso di ostetricia. Con questo bagaglio professionale finalmente potei partire per la Missione nel 1975 e sono arrivata qui in quello che allora era lo Zaire del Maresciallo Mobutu Sese Seko Kuku Mbendu wa Zabanga, ex Joseph e ancora più ex Désiré ((Desiderato…). Mobutu è andato a rendere conto al Signore, esiliato in Marocco; lo Zaire è diventato Repubblica Democratica del Congo, e grazie a Dio sono ancora qui. Sono entrata dalle comboniane a diciannove anni. In missione ho fatto i Voti Perpetui, il venticinquesimo e il cinquantesimo di professione. Sto arrampicandomi verso il settantacinquesimo, ma arrivarci dipende dal Signore.

Come e dove sei stata paracadutata dal cielo nelle foreste dello Zaire?

La mia prima missione è stata tra il popolo Zande a Duru, una missione vasta e di frontiera a ridosso del Sud Sudan.  Noi Suore e i Padri comboniani abbiamo ereditato la missione dagli Agostiniani. Fui incaricata dei lebbrosi, che allora erano ancora molti. Inoltre a Duru c’era un lebbrosario e tutte le attività erano sostenute dalla “Fondazione Père Damien” (in sigla Foperda). Devo dire che la prima scintilla della mia vocazione è scoccata vedendo il film Molokai su Padre Damiano, apostolo dei lebbrosi. Vi lavorai per tre anni e poi fui mandata a Ngilima, a poco più di un centinaio di chilometri con lo stesso incarico. Eravamo una comunità di suore giovani pronte a disfare il mondo: oltre a me, Suor Enza Stoppele, Suor Almerita, Suor Mercedes, poi venne Suor Paola Vigolo. Qui con i Comboniani e Catechisti ho vissuto la bella esperienza della Comunità Apostolica. Siamo cresciute anche noi con la nostra Comunità Cristiana. Ho vissuto nove anni tra gli Zande della diocesi di Dungu. Poi per un anno in città a Kisangani, e infine a Nduye nella foresta dell’Ituri per seguire i lebbrosi e il simpatico popolo dei Pigmei. I padri Dehoniani stavano per lasciare questa missione sperduta e isolata, immersa nella foresta del Ituri; Dehoniani che venivano sostituiti dal clero locale. Mi ero offerta volontaria per questa nuova missione, ci ho vissuto nove anni ed è stata una delle esperienze più belle e ricche, della mia vita missionaria. È un popolo recettivo all’annuncio del Vangelo e ho constatato come la Parola di Dio trasformi le persone anche dal punto di vista umano e sociale.  Partivo per le “tournées in brousse” il martedì e rientravo il sabato. Mi spostavo curando e vivendo nei villaggi con la gente e nei campi con i pigmei. Solo la domenica e il lunedì potevo tirare le somme e dare una mano a casa, aggiornare il Centro di Salute di cui ero responsabile; rifornendolo di medicine e altro per la settimana, e affidandolo alla professionalità degli infermieri locali.

Da quanto so le vostre superiore a quel tempo avevano deciso di aprire una comunità nella città di Butembo, e so anche che hanno chiesto a te, che hai buone spalle, di sfondare la porta. Fortuna che dall’altra parte c’era mons Kataliko e altri amici che la porta te la hanno spalancata….

… Si è vero, ho trovato tutte le porte aperte. Era un segno che il Signore mi voleva là.

Mi dispiaceva lasciare Nduye e la gente che amavo per una nuova avventura Avevamo acquistato una macchina nuova per il servizio dei lebbrosi. Potei così partire da Nduye con la mia vecchia Land Rover, che sarebbe stata utilissima per i lavori, e con un autista.  Arrivati verso Biakato (metà strada) la macchina andò in panne. Ci volle una settimana per riparare la povera vecchia e malandata macchina.  Non avendo nostre notizie, le Suore Oblate di Butembo erano preoccupate, ma finalmente arrivarono i pezzi da Butembo, potemmo riparare la macchina e raggiungere la meta. Incontrai il Vescovo entusiasta di accogliermi nella sua diocesi. Rimasi un mese sola e ospite delle suore Oblate, cercando di orientarmi aiutata dai padri Assunzionisti per trovare un terreno dove costruire la nostra prima casa. Poi arrivò suor Remedios e con lei trovammo il terreno adatto nella parrocchia di Bulema. Il parroco e i sacerdoti della parrocchia ci sono stati di grande aiuto. Fin dal primo momento abbiamo collaborato bene, assieme. Grazie all’equipe degli operai dei Fratelli Assunzionisti la costruzione iniziò in agosto ed è cresciuta in fretta. A novembre è arrivata la guerra con l’avanzata rapida e inattesa della soldataglia di Desiré Kabila per spodestare Mobutu. Erano seguiti e spalleggiati da soldati ruandesi ben equipaggiati, e ben vestiti. I “Kadogo” congolesi aprivano la strada e ci lasciavano le penne, i ruandesi li seguivano come dei “milords” in trasferta. Nonostante ciò gli operai hanno continuato a lavorare. Noi siamo state ospiti dalle Oblate più d’un anno e ogni giorno attraversavamo la città per seguire i lavori.  La guerra incalzava e le suore Oblate erano preoccupate per noi. I militari rubavano le macchine per i loro spostamenti. In un solo giorno ne hanno fatto sparire più di quaranta. Quel giorno pioveva. Rientravamo da Bulema dove appunto seguivamo i lavori quando siamo state fermate da militari in tutta mimetica e coperti da rami e foglie. Volevano la nostra macchina, ma io non volevo consegnare le chiavi. Mi hanno strappato il velo e gettato a terra. Una donna mi implorò dicendo: “Sorella dai loro le chiavi altrimenti ti ammazzano, questi non scherzano…”. Un militare che mi sembrava un po’ più ortodosso degli altri mi disse: “Dacci le chiavi, vi riporteremo la macchina presto…”. Prese le chiavi cercarono di mettere in moto la macchina che non dava segni di vita. Ho dovuto spiegare che era vecchia, che il motorino d’avviamento non funzionava e che per farla partire avrebbero dovuto spingerla con la seconda innestata. Ho chiesto di darmi la borsa dove avevo anche il passaporto, ma si sono portati via la borsa di suor Remedios con i suoi documenti. Il suo passaporto è stato poi ritrovato, bagnato e sporco irrimediabilmente rovinato. Così finalmente sono partiti lasciandoci in ammollo sotto la pioggia.

Immagino che l’avanzata della soldataglia di Kabila e il ritiro di quelli di Mobutu sia stata drammatica in particolare per i civili inermi e impotenti…

I militari saccheggiavano tutto anche nelle parrocchie e molti sacerdoti hanno rischiato di essere uccisi. La nostra macchina fu abbandonata ai lati di una strada in panne seria, piena di roba e sporca di sangue. Di conseguenza noi dovevamo farci ogni giorno una bella scarpinata per seguire i lavori. Consigliato dalle autorità e dalla gente, Mons. Kataliko, il vescovo, si è ritirato nei villaggi dell’interno portando con sé seminaristi, novizie e suore per proteggerli. Le suore oblate meno coraggiose, quelle giovani e quelle in formazione erano partite con il Vescovo. Restavano poche con la superiora. Ci domandarono: “Avete paura?” Risposi: “Assolutamente no!”  E loro: “Cosa possiamo fare per voi?” Io, “Niente va bene così”. Loro “Siamo preoccupate per voi…”. E io ancora: “Nessun problema. La nostra vita non vale più della vostra che siete qui. Restiamo assieme e state tranquille”. E loro: “Bene siamo contente che restiate, perché anche noi non abbandoneremo la nostra gente e il convento, che sarebbe subito saccheggiato dai soldati”. In città e nei dintorni c’erano continue battaglie tra le due fazioni in guerra. A Natale mentre eravamo in chiesa in parrocchia. Pallottole e proiettili di ogni tipo passavano bassi sopra il tetto della chiesa, e per incoraggiarci e per non aver paura cantavamo sempre più forte. Il parroco ci disse di attendere che fosse ritornata la calma e poi uscire per andare direttamente a casa senza voltarsi né a destra né a sinistra, e senza guardare ai numerosi morti a terra. A capodanno siamo andate a Messa nella parrocchia di Kitatumba, e si sono ripetute la sparatoria e la paura. Passavano i militari saccheggiando i negozi e violentando le donne. Li vedevi passare con il fucile in una mano o con il televisore, o le pentole o i piatti rubati, nell’altra. Un signore stava passando con la figlioletta sulla bici per portarla a scuola. I militari lo fermarono per rubagli la bici. Lui si oppose e loro lo uccisero davanti agli occhi della piccola spaventata.  Al bordo della strada, una mamma con la figlioletta stava vendendo i pochi prodotti del campo raccolti. Arrivano dei soldati, non saprei di quale dei due campi nemici, e presero la ragazzina per violentarla. La mamma disperata chiedeva che lasciassero la bambina e che prendessero lei. Loro la insultarono dicendogli: “Sei vecchia, non ti vogliamo”. Perse la figliola che probabilmente fu poi uccisa, e disperata e inconsolabile piangeva giorno e notte.

Dopo Butembo immagino si sia fatta viva la signora Obbedienza, amica delle superiore, e ti abbia dirottato chissà per dove….

Fu così. Dopo il drammatico passaggio dei militari, la nostra casa è stata completata velocemente e benedetta il 1° ottobre 1997 e abbiamo cominciato ad abitarla Remedios ed io. abbiamo ringraziato con tutto il cuore le suore Oblate, sono state delle vere sorelle, han fatto di tutto e di più. Sento sempre una grande riconoscenza nei loro confronti. Arrivarono poi altre consorelle per darci man forte: suor Raffaella Gritti, più tardi suor Mary Luz, spagnola e suor Akima egiziana. Il mio compito di “ariete sfonda-porte” era finito, Mi aspettavo di restare, infondo ero lì da un anno e mezzo, ma… Il “ma” arrivò con l’ordine di partire per il Togo, per iniziare una nuova presenza in quel Paese e aprire la prima nuova comunità. Nessuna di noi e nemmeno i nostri sacerdoti ci aspettavamo questo cambiamento. Il parroco fece un commento davanti alla nostra provinciale: “Suor Anna è passata come una meteora, che ci ha illuminati , abbiamo gioito  della sua luce per breve tempo,  ed ora?….”  Non vedeva bene che dovessi partire in quel momento. Se fossi un pugile direi che è stato un “tremendo colpo basso”. Non sono finita “al tappeto” perché so che il Signore mi regge in piedi, ma il colpo è stato duro da incassare. Paese nuovo, nuova lingua, nuova cultura, nuovo clima… le sfide erano tante. Ma il Signore non si lascia vincere in generosità e devo dire che ho voluto bene al Togo come al figlio più piccolo e il Togo ha voluto bene a me. Così fui in Togo dal natale ’97 fino al 2006. Nel popolo togolese non ho trovato quel astio presente in altri paesi verso i loro colonizzatori del passato. Stranamente hanno un buon ricordo dei tedeschi loro colonizzatori.

So che come “ariete sfonda porte” hai aperto diverse comunità quali?

Duru, Ngilima, Nduye, Butembo, Lomé, Asrama. Chissà se ce ne saranno altre… Sono sempre disposta al nuovo incontro dove trovo sempre il Signore che mi precede. E ogni incontro nuovo, nonostante i dubbi e le paure, si rivela un dono.

Seconda parte