Prima parte

“Le mie prigioni”
(non di Silvio Pellico ma di Suor Anna Brunelli)

Suor Anna per questa seconda parte del tuo discorso, ripartiamo dal Togo… come è andata in questa nuova missione?

Con il Togo, inizia un’altra fase della mia vita e anche  di quella di diverse consorelle tutte venute dal Congo (RDC). A Lomé, suor Irma Pedron, suor Lucia Giacomelli, e suor JosephineCalle erano arrivate in ottobre, io arrivai dal fresco clima di Butembo il 23 dicembre 1997. Ci siamo guardate in giro per vedere in che campo di apostolato potevamo impegnarci . Ho visto che c’era bisogno di assistenza e apostolato nelle prigioni e mi sono gettata a capofitto. Così è nata la mia vocazione di aiuto ai detenuti. Il parroco della Cattedrale a cui fa parte  la prigione,  mi disse che essendo bianca avrei trovato molte difficoltà .Padre Luigi ha chiesto al parroco di poter collaborare con me, e insieme abbiamo lavorato molto bene. Nella prigione di Lomé, che aveva millecinquecento carcerati, approfittavo del fatto che ero infermiera per curare gli ammalti sia uomini che donne. Portavo da casa tutto quanto mi occorreva per le cure. Spesso e volentieri ricorrevano a noi anche i poliziotti di guardia: “Sorella il mio bambino è ammalato aiutami con le medicine… Mia moglie ha la malaria… ”. Le guardie dovevano stare alle regole molto strette e perquisirmi ogni volta che entravo in carcere, e ci andavo ogni giorno. Dentro anche io diventavo reclusa, perché le porte venivano chiuse con diversi catenacci e lucchetti. In quel carcere morivano in molti di malattie e di fame. Non c’era una cappella dove celebrare o pregare, e ci creavamo degli spazi isolandoli con stoffe (pagnes) appese a mo’ di parete. Facevo anche da “postina” perché chi voleva scrivere alla famiglia, mi consegnava le lettere, lasciandole aperte per i controlli della polizia. A casa poi le affrancavo e le spedivo. Nella prigione non mancavano le torture, una delle quali era di lasciare il prigioniero per quarantacinque giorni rinchiuso solo in una cella di rigore.

Il periodo di servizio al carcere  di Lomé è stato breve… ma poi cosa è successo?Come è successo spesso nella tua vita, immagino tu abbia dovuto “aprire il varco” di nuove missioni

Dopo un anno e mezzo eccomi a Asrama, la nuova missione, dove ho vissuto le esperienze più belle. In poco tempo era come se fossi nata li a Asrama. Abbiamo iniziato la missione,Comboniani ,Comboniane assieme facendo nascere  la parrocchia dal nulla. Alla fine conoscevo tutta la gente e la gente mi conosceva, ci volevamo bene.  Uno dei pochi bravi cristiani,che abbiamo trovato al nostro arrivo, possedeva una grande piantagione di palme da olio, ci ha dato tutta la piantagione con la clausula di fare li  la missione,

Il primo lavoro è stato quello di scavare il pozzo. Il Vescovo ci aveva messo in guardia dicendo: “Scavate e se non trovate l’acqua lasciate perdere. In questa regione l’acqua è importantissima ed estremamente necessaria…” Nelle costruzioni e nello scavo del pozzo, ci ha aiutato Fratel Luciano Giacomelli e  grazie a Dio, l’acqua c’era ed era abbondante. Sono spuntate le case dei padri, delle suore, le scuole,  poi il laboratorio di taglio e cucito per le ragazze, la maternità e altre opere. Sono nate anche cappelle nei villaggi e nei quartieri con giovani comunità cristiane, nate  proprio dal soffio dello Spirito Santo E’ stato stupendo perché abbiamo visto nascere e crescere non solo gli edifici ma anche una bella comunità cristiana. Lavoravamo tutti in sintonia tra noi e con la gente. Devo dire che Fratel Luciano è stato veramente un dono di Dio. Era un bel esempio per la gente, perché ogni  domenica era in chiesa con la sua equipe  di muratori.

Dopo il decennio in Togo ti hanno rispedito di nuovo in RDC?

Non proprio e non subito. Terminato il primo periodo in Togo mi è stato chiesto di rendermi disponibile per qualche anno di servizio in Italia per le consorelle ammalate, Cosa che ho fatto volentieri assieme alla amica suor Enza Stoppele. Venuto il tempo di ripartire, era mio desiderio ritornare in Togo, ma la nuova Provinciale mi dirottòin RDC,  o meglio, nella capitale Kinshasa perché desiderava che riprendessi impegni come infermiera in un  ospedale…mi è toccato obbedire e così da allora rieccomi in RDC. Per me, “suora di brousse” (di foresta). essere bloccata nella bolgia della Capitale non mi entusiasmava  per niente.  Avevo dubbi su un impegno negli ospedali, che già hanno personale in abbondanza e ho lanciato la mia proposta: “Desidererei impegnarmi tra i carcerati della prigione di Makala?”. La Madre Provinciale mi disse: “Non è un compito facile, ma vai, vedi e decidi tu…” Non c’è voluto molto per decidere. Dopo esperienza di servizio nelle prigioni del Togo, mi sentivo pronta per dedicarmi ai carcerati di Kinshasa.  Alle prigioni di Makala già ci andava ogni domenica P. Firmo Bernasconi dei comboniani, così ho trovato subito chi mi avrebbe introdotto, spalleggiata e consigliata.

Come è stato l’impatto con questa realtà scioccante che può disorientare anche i più volenterosi?

Nella grande prigione di Makala, che era stata costruita per accogliere millecinquecento prigionieri,  ne trovai sei mila , che sono andati aumentando fino  a  novemila con punte di presenze che arrivano a undici, dodici mila. Per il sovraffollamento, lo scarso cibo e per le malattie non curate molti morivano e muoiono ancora. C’è un padiglione che accoglie tutti gli ammalati  senza distinzione di patologie, per cui è facile che le malattie vengono per così dire “condivise”.  Ci stanno assieme: psicopatici, malati di aids, di tbc, di infezioni intestinali, di malaria e via via… Andare a Makala era una sfida grossa per me tanto più che dopo pochi mesi P. Firmo, che i carcerati volevano fosse nominato loro “Aumonier” (cappellano) fu richiamato dai superiori in Italia per un nuovo servizio. P. Firmo aveva organizzato le Comunità di Base per riflettere sul vangelo e le situazioni concrete che i carcerati vivevano. I poveri carcerati non avevano neanche le panche per sedersi durante gli incontri, e presi io l’iniziativa di procurarne per ogni Cevb. Apprezzavano moltissimo le omelie del padre profonde e chiare in cui faceva risaltare che tutti siamo della stessa pasta e sulla stessa barca. Quando P. Firmo era occupato al suo posto veniva P. Alfredo Neres, un santo padre che dava una bella assistenza spirituale ai carcerati. Ancora oggi c’è qualcuno che mi domanda di loro  Quando seppi che P. Firmo doveva partire gli dissi: “Firmo cosa faccio ora io da sola??… Mi rispose: “Fai quello che puoi”… Bella risposta… che non mi consolava affatto.  All’inizio avevo un sacro timore, ora sento che è la mia famiglia e continuo con il mio impegno da ormai dieci anni. Mi trovai sola ma non mi persi d’animo e continuo a “fare quello che posso”.  Imparai a utilizzare i mezzi pubblici e a farmi valere presso i poliziotti secondini, a dare loro qualche tiratina di orecchie, ma anche a incoraggiarli quando lo ritengo necessario.

Immagino che anche i “capi” e referenti di  altre denominazioni e religioni frequentino il carcere…

Ci, non siamo gli unici a frequentare le carceri. I protestati di varie denominazioni e le Chiese Indipendenti a loro volta seguono i gruppi di carcerati della loro chiesa. Loro sono alle volte più generosi di noi nel aiutare i prigionieri. I cattolici in prigione sono una minoranza su novemila detenuti sono su per giù cinquecento.   La nostra presenza come Chiesa Cattolica  mantiene viva la loro speranza. Li animiamo dicendo che sono li di passaggio e che un giorno usciranno e saranno liberi, e che devono approfittare di questo tempo per  riflettere, per pregare, per imparare cose belle e diventare migliori. Anche i corsi che vengono dati hanno come scopo fondamentale quello di aiutarli a prendersi  carico di loro stessi….saper rispondere davanti al tribunale, seguire il loro Dossier giudiziario….. E’ indispensabile mantenere viva  la speranza e dare loro la possibilità di guadagnarsi da vivere quando saranno liberi.

Com’è la prigione di Makala?

Las prigione conta di undici padiglioni: nove per gli uomini, uno per i ragazzi e uno per le donne e mamme e ragazze minorenni.   Ci sono circa trecento ragazzi minori che restano in detenzione al massimo un anno e  circa centoottanta donne  La direzione carcerale  non offre nessuna attività per occupare i giovani.  Cosi come Chiesa Cattolica abbiamo  chiesto al Direttore di lasciare venire i Salesiani  esperti nell’educazione di ragazzi e di giovani per dare  corsi di formazione in vari settori per formarli come muratori, calzolai, parrucchieri. Ci ha detto che era d’accordo e che potevamo fare quello che meglio credevamo. Ora i salesiani stanno cercando i fondi per questo nuovo impegno.

Il Signore mi ha dato dei buoni collaboratori.: Abbiamo iniziato la scuola di Alfabetizzazione, per chi non sa ne leggere ne scrivere. Imparare il Francese, l’Inglese  e  infine dare corsi di  Informatica  e siamo giunti alla quarta promozione  Gli “studenti” non ottengono diplomi riconosciuti dallo stato ma una solida e buona preparazione. Ci sono persone che sono stati rimessi in libertà che poi hanno trovato facilemte occupazione. Più di uno mi ha ringraziato per quanto ha potuto imparare a Makala. Senza queste iniziative, a parte le pulizie, i prigionieri non avrebbero altre attività occupazionali o di formazione.

Curiamo anche altre attività. Visto che i prigionieri che possono, si comprano le bottiglie d’acqua i cui vuoti sono poi abbandonati in ogni angolo, abbiamo lanciato l’idea che i prigionieri partecipassero all’iniziativa  “Kinshasa pulita” impegnandosi all’interno del carcere per la raccolta dei innumerevoli vuoti di plastica disseminati nei cortili e nei padiglioni. L’acqua è una delle carenze della prigione. Molti bevono quella che trovano e spesso non ce n’è per lavarsi, con conseguenti odori nauseabondi. La mancanza d’acqua è penosa soprattutto per le ragazze e le mamme. L’anno scorso c’è stata una tal siccità d’acqua che le autorità hanno dovuto ricorrere alle autobotti per garantire il minimo del necessario.

Dare da mangiare ogni giorno a novemila persone non è un’impresa facile. Come è il cibo per i carcerati?

Quando arrivai davano loro lo stesso cibo che si da ai maiali: fagioli, mescolati con mais di qualità scadente e buttati in acqua a bollire senza essere puliti e con tutto lo sporco dei sacchi. Non c’era altro e mangiavano quella brodaglia impressionante. Solo chi aveva parenti danarosi che portavano cibo da fuori, potevano permettersi qualcosa di meglio. ma di quel cibo “importato”  ai carcerati sarebbe giunto un terzo o meno di quanto passava per le porte del carcere… il resto viene regolarmente sequestrato per sfamare i poliziotti affamati a loro volta. E’ normale che quando entro in carcere ci siano dei poliziotti che mi chiedono qualcosa per comprarsi da mangiare. A forza di incontri con il direttore e con molte proteste siamo riusciti a far migliorare il cibo soprattutto ora con i nuovo direttore che è più sensibile verso i carcerati. Il menù ora comprende anche riso, della carne e del pesce e i carcerati dicono che finalmente mangiano bene  anche se il cibo non è ancora sufficiente ,perché una parte viene sottratta dalle pentole.

Le cure mediche sono indubbiamente un’altra grossa sfida della prigione. Che problemi avete?

C’è un servizio di dispensario diurno e ci sono dei dottori e degli infermieri che vengono per seguire gli ammalati, ma fanno poco e niente se non prendere le medicine e portarsele via. Se uno sta male di notte non c’è assistenza medica. e se non è morto al mattino, può darsi che venga curato. Chi è ammalato nei padiglioni per accedere al dispensario ha bisogno di un permesso e di mettere una “blusa” particolare che lo identifica subito. Spesso devono attendere ore e ore per avere la blusa restando in piedi nei corridoi.Per facilitarli , noi come chiesa , abbiamo cucito venticinque bluse  e l’Assistente infermiere le da a chi ne ha bisogno. Per il periodo che mi era possibile farlo, dopo la Messa curavo gli ammalati  con le medicine che portavo da casa, usando come ambulatorio il corridoio vicino alla cappella.  Molti guarivano e mi dicevano “ Suor Anna tu fai i miracoli…”. Ora con il nuovo cappellano  la Messa termina con molto ritardo e non mi resta più il tempo materiale per curare gli ammalati. Siamo stati fortunati anche con la pandemia del Covid, perché non ci sono stati molti casi nonostante il sovraffollamento.. Inizialmente seguivamo le norme di prevenzione, come l’uso delle mascherine, il distanziamento, il lavare le mani… Noi abbiamo fornito mascherine e disinfettanti, ma ora quasi tutto è lasciato da parte. All’ingresso della prigione ci viene sempre misurata la temperatura ed è obbligo portare la maschera, anche se all’interno nessuno le usa più.

Immagino che le informazioni da parte dei capi di Makala vi giungano limitate e che siate all’oscuro di molte cose, è così?

E’ la realtà, ma a me c’è qualcuno che me ne da molte, di “sottobanco”. Venne in visita il Nunzio Apostolico e andammo a incontrare il nuovo Direttore. Il Nunzio chiese informazioni e lui disse che appunto era nuovo e che chi poteva dare  le informazioni  meglio di lui ero io….Sono già dieci anni che seguo i prigionieri di Makala e sono l’unica “mosca bianca”. Ma tra i prigionieri c’è anche un bianco italiano che aveva attività commerciali ed è stato incastrato con l’inganno dal ANR (il KGB della RDC). Vorrebbe essere liberato e poter ritornare in Italia…ma nonostante il nostro interessamento , niente si muove. Cerco di far intervenire l’Ambasciata Italiana ma devo lamentarmi perché non vedo nessuna presa di posizione per aiutarlo. Dopo l’uccisione del Ambasciatore Luca Atanasio ora abbiamo un nuovo Ambasciatore.

Immagino che con  Luca Attanasio Ambasciatore le cose erano differenti, perché so che era una persona eccezionale….

Considero Luca Attanasio e sua moglie Zakia  grandi amici. Sono venuti spesso  a rendere visita alle prigioni. Nel 2018, alla vigilia delle elezioni qui in RDC, Luca  è entrato in prigione per festeggiare il Natale con le mamme prigioniere, portando diverse cose in regalo. Ha organizzato un bel pranzo con l’intervento delle suore salesiane che gestiscono un  servizio di “cattering”. E’ rimasto a mangiare con noi e con le mamme prigioniere. Quale Ambasciatore l’avrebbe fatto? Era una persona che condivideva le situazioni penose della gente. Sensibile alle situazioni di sofferenza non mancava di dare il suo aiuto come per esempio per gli ammalati di aids, per i bambini malnutriti e via via… Luca sarebbe riuscito a liberare anche quel povero prigioniero italiano. Luca era un Diplomatico che ha vissuto il suo mandato come una missione speciale a favore della gente, dei poveri,degli ultimi. Sia lui che la moglie erano amici e ogni che mi incontravano volta mi dicevano: “ Suor Anna dicci quello di cui hai bisogno per i carcerati…tutto quello che possiamo lo facciamo…”. Mi hanno aiutato moltissimo. Un bel esempio di un bravo cristiano cattolico amato e stimato. Senza  esagerare l’Italia deve considerare  Luca Atanasio un eroe, un esempio per tutti i Diplomatici.

Ci sono strutture e persone che lavorano per garantire almeno i diritti più elementari per i carcerati?

Ci sono persone sensibili come Patrizia che è avvocato checon papà Jean Noel  danno un servizio prezioso e gratuito andando  nei vari uffici di polizia o tribunali della città per cercare la documentazione e far valere i diritti dei carcerati, coadiuvati da un altro paio di persone della “Commissione Giustizia e Pace.” Ci sono carcerati rimessi in liberta che vengono tenuti in prigione illegalmente ancora per anni perché non hanno i soldi per pagare gli addebiti amministrativi. Nessuno ha il coraggio di protestare e mettersi contro lo Stato. Molti, scoraggiati e delusi, si lasciavano andare, ma quando hanno visto che qualcuno s’interessa ai loro casi hanno ripreso speranza e grinta. Con dei corsi la commissione di Giustizia e Pace insegna loro quali sono i Diritti che li riguardano affinché sappiano parlare e difendersi, conoscere le deposizioni spesso fasulle di chi li condanna, e capire i tempi di detenzione sono loro inflitti. La maggioranza non ha soldi per ricorrere in appello, e quindi abbassano le orecchie e mettono la coda tra le gambe accettando le condanne. In prigione poi un condannato deve pagarsi anche lo spazio per poter dormire, fosse anche solo sulla nuda terra.

Il nuovo Direttore si rende conto che le prigioni di Makala si sono fatte una cattiva reputazione, già il solo nome rievoca situazioni catastrofiche. Sta facendo del suo meglio per renderla più umana. Oltre che a mettere il limite di capacità a non più di nove mila prigionieri, numero ancora troppo alto, ha come altra priorità cercare di garantire l’approvvigionamento dell’acqua che è una grave carenza.

Cosa ti sostiene in questo tuo difficile compito?

Sento che il Signore, che ha vissuto il carcere nell’ultimo giorno, è li presente tra i carcerati. Che a Makalaha un grande popolo al quale vuole farsi conoscere, per riversare su di loro la sua misericordia e la sua compassione. Vuole che loro sia sentano  figli Suoi e fratelli tra loro, e che scoprono che la strada della loro salvezza è passata per Makala.   Mi affianco a Lui per amarli come mamma , sorella e amica e dare loro dignità, attenzione e la speranza della libertà.

a cura di fr Duilio Plazzotta