Verranno fotosegnalati i bambini e le bambine a partire dai 6 anni. Le persone verranno trattenute, senza aver commesso nessun reato, in luoghi di detenzione creati ad hoc vicino alle frontiere, per una identificazione veloce, che in teoria dovrebbe finire in rimpatrio, se non si ha diritto a rimanere qui.

Si distribuiranno donne e uomini tra paesi, come se fossero pacchi, senza pensare a quale è, o sarebbe voluto essere, il loro progetto migratorio. E se il paese non li vorrà, perché alla solidarietà imposta dal patto europeo non avrà aderito, potrà respingerli a colpi di 20mila euro a persona. Questo è il costo, purché non arrivino.

La montagna Europa ha partorito ieri il Patto topolino su immigrazione e asilo, ci ha messo sei anni per arrivare fin qui, ma la presidente Ursula Von der Leyen lo aveva promesso che il parto sarebbe avvenuto prima delle elezioni europee e così è stato.

Non si voleva arrivare sotto data con i partiti di destra che alimentavano il tema migranti. La commissaria agli Affari interni Ylva Johansson lo aveva espresso senza mezzi termini: «Se il voto sul pacchetto fallisce, falliamo tutti».

E così ieri il voto pomeridiano ha portato all’approvazione di quell’insieme di misure a tema migratorio che tiene insieme i paesi membri e una parte dei parlamentari che li rappresenta: popolari, socialisti e liberali, che hanno votato a favore.

Anni di negoziato si sono così conclusi con un patto che include controlli più severi per chi arriva sul territorio di questa Europa comune; centri di cosiddetta accoglienza vicini alle frontiere esterne dell’Unione (quindi dell’Italia, uno dei paesi di primo approdo, insieme a Spagna, Malta e Grecia), da cui sia più facile rimpatriare chi non ha diritto all’asilo e un meccanismo di solidarietà definito obbligatorio ma di fatto fittizio, che permette la redistribuzione delle persone migranti tra gli stati membri.

Il fittizio riguarda i soliti paesi dell’est Europa con cui non è stato trovato l’accordo e che pagheranno 20mila euro per ogni persona migrante che rifiuteranno.

Permane dunque il regolamento di Dublino e del paese di primo ingresso responsabile della domanda d’asilo, ma si aggiunge (narrato come successo che potrà permettere il superamento di quel regolamento che tutt’oggi non si riesce a superare) la redistribuzione tra gli stati, in modo da sgravare i paesi costretti a prendere impronte e continuare a essere i primi nella gestione delle pratiche burocratiche, che prevedono sette giorni per identificazione, visita medica e controlli di sicurezza.

La prima scrematura prevede che, chi arriva da paesi che vedono una percentuale di richieste di asilo accolte non superiore al 20% verrà rinchiuso in centri di permanenza speciali, da cui non potrà uscire. Una detenzione insomma, che sulla carta dovrebbe durare tre mesi per l’esaminazione della pratica. Cui si aggiungeranno altri tre mesi per l’eventuale e, visti i numeri della percentuale di successo, prevedibile rigetto e improbabile rimpatrio.  

L’Unione europea, secondo il patto, potrà accogliere fino a 30mila persone migranti l’anno, facendo sempre riferimento alla clausola della solidarietà nella distribuzione. Per contenere le proteste di chi parla di paesi di primo approdo trasformati in CPR dell’Europa si è previsto un fondo di 600 milioni di euro da utilizzare in progetti destinati all’asilo e alla gestione delle frontiere. Se poi il numero degli sbarchi fosse particolarmente alto si può far richiesta al Consiglio europeo dello stato di crisi.

L’iter del patto, arrivato lo scorso febbraio in commissione parlamentare e ieri votato, non è però ancora concluso, serve ora il via libera del Consiglio, che di fatto dovrebbe essere una formalità. Intanto si sollevano le voci di chi dissente: la Cei, Conferenza episcopale italiana, si è espressa tramite il presidente della fondazione Migrantes, Gian Carlo Perego, che parla del patto come «deriva nella politica europea dell’asilo e fallimento della solidarietà». Alzano la voce anche le 161 organizzazioni umanitarie che avevano chiesto di non approvare il trattato definendolo pericoloso per l’umanità intera.

Ieri, il gruppo della sinistra, Gue/Left, presente al Parlamento europeo, aveva organizzato una conferenza stampa che precedeva la votazione del pomeriggio, scegliendo un edificio non casuale, l’Eurocamera di Bruxelles, dedicata ad Altiero Spinelli, uno degli ideatori del Manifesto di Ventotene, quella carta di confino in cui si sognava l’Europa. È lì che hanno usato parole durissime, parlando di «funerale pubblico del diritto d’asilo», di «vergognosa capitolazione alla narrativa xenofoba» e del «tradimento dei valori professati dell’Europa».

Jessica Cugini – Nigrizia