Mentre ci avviciniamo alla festa di Pentecoste la Chiesa ricorda, negli atti degli apostoli, quanto accaduto al centurione romano Cornelio. L’episodio descrive bene la portata del mistero pasquale nella vita dell’umanità intera. Mentre, dunque, Pietro sta parlando e prima ancora che i suoi ascoltatori pagani fossero battezzati, con grande stupore dei giudei presenti, lo Spirito Santo scende su di loro. Ciò significa che il mistero pasquale, cioè la partecipazione alla vita risorta di Cristo per mezzo dello Spirito Santo, raggiunge ogni uomo di qualsiasi razza o condizione, prima ancora che questi abbia raggiunto la pienezza della fede. Anche chi non possiede la legge o la circoncisione ma cerca sinceramente nel cuore la giustizia e la verità viene raggiunto dallo Spirito Santo e partecipa alla vita divina. Cosa ottengono allora coloro che si lasciano attrarre dallo Spirito Santo fino a conseguire la pienezza della fede? l’amicizia con Cristo e quindi la figliolanza con il padre. Il mistero pasquale cioè, non è solo il passaggio dalla vita alla morte ma più profondamente il passaggio dalla servitù all’amicizia. Significativamente quando Pietro incontra Cornelio che cade ai suoi piedi, nell’atteggiamento del servo appunto, lo solleva e gli dice: “Alzati, risuscita: anche io sono un uomo”. Ed entra con lui conversando amichevolmente. Instaurando, cioè, un’amicizia che è squisitamente umana ed al contempo, pienamente divina, perché e’ un riflesso dell’amicizia di Cristo per ogni uomo. Gesù nel Vangelo spiega meravigliosamente questo passaggio dalla servitù all’amicizia con lui. Come il padre ha amato me – dice Gesù – così io ho amato voi. Gesù annuncia che il Padre ci ama non con l’amore che noi potremmo meritare ma con l’amore che Egli ha verso il suo Figlio unigenito. Ci accoglie come una madre o un padre accoglierebbero nella loro casa gli amici del loro figlio, per il semplice fatto che sono suoi amici. Quando Gesù invita a rimanere nel suo amore ci ricorda che questo amore non è solo un sentimento ma propriamente uno “spazio di vita”[1], una casa, una realtà nella quale ci muoviamo e troviamo accoglienza, protezione, sostegno. Quando non riusciamo ad amare dovremmo ricordarci che Gesù non ci ha chiesto semplicemente di rimanere nell’amore – cosa praticamente impossibile a noi – ma di rimanere nel suo amore che ci precede. Per questo Pietro può dire che Dio non fa preferenze. Mentre gli uomini selezionano i loro amici, Dio non si sceglie gli amici ma li genera, li conquista. Dio ci fa suoi figli ed amici tramite l’amicizia di Cristo. E per questo Gesù dirà: non siete voi che avete scelto me, ma io che ho scelto voi. Per rimanere nel suo amore, dunque, dobbiamo dare fiducia alla sua parola ed alla sua grazia totalmente gratuita, ma è proprio per questa fiducia che cominciamo a sperimentare la sua amicizia e con essa la possibilità di condividere la sua vita risorta. Perché amandoci Gesù dona la vita per i suoi amici. Non solo nel senso che muore per noi ma anche nel senso che la sua vita vive in noi. Ciò significa che per la fede possiamo vivere secondo potenzialità che non sono più solo biologiche, psicologiche, culturali ma propriamente spirituali, cioè, legate alla all’azione dello Spirito Santo in noi e quindi alla partecipazione a quell’amore che ha la sua sorgente in Dio. Perché Dio è amore e quindi l’amore è Dio. Dio è quello spazio di amore in cui possiamo metterci in virtù dell’amicizia di Cristo per noi e non in virtù dei nostri meriti. Questa possibilità di lasciarci trasformare dalla partecipazione alla vita intima di Dio non va inteso come un cambio magico ma come una graduale trasformazione che implica un prima ed un dopo. Per questo Gesù dice: non vi chiamo più servi, come all’inizio, ma amici perché adesso siete in grado di conoscere la volontà del padre, cioè quella che voi diventiate miei discepoli e che portiate molto frutto. Questo passaggio dalla servitù all’amicizia da’ compimento al passaggio pasquale dalla morte alla vita perché descrive il passaggio da una volontà ribelle, che risponde solo alla sottomissione, alla legge o alla paura, ad una volontà amante che è capace di libera adesione e quindi di rispondere all’amore di Dio il quale si caratterizza per la disponibilità a dare la vita per gli amici. Non c’è amore più grande. Mentre l’amore piccolo del mondo ha come criterio la soddisfazione quello grande di Dio ha come criterio il sacrificio. Ma quello che lo Spirito Santo rivela al nostro cuore per la partecipazione al mistero pasquale di Cristo è che la pienezza dell’amore e la pienezza della gioia sono intimamente connessi. Noi troppo spesso temiamo di soffrire per amore e ci illudiamo che esista una gioia separata da esso. L’amicizia con Cristo ci conduce a scoprire gradualmente che amare nel dono di sé, secondo la logica pasquale, anche quando implica un costo, conduce sempre alla gioia. La gioia di Cristo che è la gioia della vita risorta in noi e poi anche la pienezza della nostra stessa gioia, cioè una gioia che non è solo la soddisfazione per realizzazioni che dipendono dalle circostanze esterne sempre precarie ma la gioia che permane in tutte le situazioni perché deriva dal sentirsi, in tutte le situazioni, preceduti dall’amore. In questo consiste infatti l’amore di Dio: non che noi lo abbiamo amato per primi. Ma che Dio ci ha amati per primo ed ha mandato il suo figlio unigenito nel mondo perché la nostra vita sia salvata, sia piena, sia gioiosa.

 

[1] Luigi Verdi