Con la Seconda Domenica di Pasqua (7 aprile 2024) inizia il Tempo Pasquale, che avrà il suo termine nella Festa della Pentecoste (19 maggio 2024), cinquanta giorni dopo la Pasqua. E’ un periodo di 7 settimane, durante il quale siamo invitati ad assaporare quanto abbiamo celebrato durante la Settimana Santa.

Questa Domenica si chiama anche “Dominica in albis” (= Domenica durante la quale si deponevano le vesti bianche, indossate dai catecumeni, la notte di Pasqua per il loro battesimo).

Questa Domenica si chiama inoltre “Domenica della Divina Misericordia”, istituita da Papa Giovanni Paolo II, il 20 aprile del 2000, ricordando il messaggio lanciato dalla suora polacca santa Faustina Kowalska (1905-1938).

Ma la misericordia di Dio non è una novità di questi ultimi tempi. Gesù infatti ne parlò ampiamente, soprattutto nel Vangelo di Luca (basta leggere Luca 15, 133, con le famose tre parabole). Ma anche nell’Antico Testamento si parla di misericordia. Ascoltiamo Jules Cambier, biblista belga, missionario a Kinshasa (RDC). Per la saggezza di Israele, la misericordia si trova alla confluenza di due correnti di pensiero: la compassione e la fedeltà. Il primo termine esprime l’attaccamento istintivo di un essere a un altro (Geremia 31, 20 e Salmo 103, 13). Il secondo termine designa di per sé la pietà, relazione che unisce due esseri e comprende la fedeltà. Sempre Dio manifesta la sua tenerezza in occasione della miseria umana; e noi allora dobbiamo mostraci misericordiosi verso gli altri, ad imitazione del Creatore. Gesù poi non invita solo a imitare Dio, ma ad essere perfetti come Lui (Matteo 5, 48). Questa perfezione del discepolo, l’evangelista Luca inoltre la esprime così: “Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso” (Luca 6, 36).

Il Vangelo di oggi (Giovanni 20, 19-31) ha lo scopo di farci capire che ora siamo invitati a credere in Gesù, appoggiandoci alla testimonianza degli Apostoli. Per questo Gesù ha detto a Tommaso: “Perché mi hai veduto, hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!” (Giovanni 20, 29). La Chiesa infatti, secondo il testo del Credo che ripetiamo ogni Domenica, è “apostolica”, cioè basata sulla testimonianza degli Apostoli, che, come dice l’apostolo Giovanni, sono i veri testimoni: “Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo visto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della Vita – la Vita infatti si manifestò, noi l’abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza e vi annunciamo la vita eterna, che  era presso il Padre e che si manifestò a noi,  – quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. E la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo” (1 Giovanni 1, 1-3).

Nel Vangelo di oggi si narra che, la sera di Pasqua, l’apostolo Tommaso non era con gli altri. Forse era più coraggioso dei suoi amici e non temeva le minacce delle autorità dei Giudei. Tornato nel Cenacolo, gli altri gli dissero: “Abbiamo visto il Signore!”. Il testo ci riferisce del rifiuto di credere di Tommaso dicendo: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi… e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo” (Giovanni 20, 25). Molti leggono in queste parole l’incredulità di Tommaso, come si può vedere nel celebre quadro del pittore Caravaggio (1571-1610). Ma non è così. Tommaso voleva dire solamente: “Magari! Fosse vero!”.

Otto giorni dopo, Gesù si manifesta di nuovo agli Apostoli e Tommaso era con loro. Otto nella Bibbia significa sempre il Messia, il Cristo. In questo modo si vuole farci capire che Gesù è il Cristo, il vero Messia. Anche la cadenza settimanale della Domenica (di otto giorni in otto giorni) ci aiuta a rafforzare la nostra fede in Gesù, il Cristo, il Messia, il Salvatore dell’umanità, come abbiamo celebrato nel Triduo Pasquale. Non per niente il Concilio Vaticano II (1962-1965) ha definito la Domenica come “la Pasqua della settimana”.

Apparendo agli Apostoli otto giorni dopo, Gesù si rivolge a Tommaso, dicendogli, in una traduzione letterale dal greco: “Continua a portare il tuo dito qui e vedi le mie mani; e continua a portare la tua mano e gettala nel mio fianco. E non continuare a diventare incredulo, ma credente!” (Giovanni 20, 27). Tommaso risponde: “Mio Signore e mio Dio!”. E’ la più alta espressione di fede in Gesù come Cristo e come Figlio di Dio, di tutti i Vangeli. E’ a questo passo che i Vangeli vogliono condurci!

Tommaso è chiamato Didimo, che in greco significa gemello. Ma gemello di chi? Può essere visto come gemello di Gesù, perché, quando si trattava di andare a Betania a vedere Lazzaro, l’amico malato, nonostante la minaccia delle autorità, si è detto disposto a morire con il Maestro (Giovanni 11, 16). Ma Tommaso può essere visto anche come gemello di ognuno di noi. Infatti ognuno di noi, partecipando all’Eucaristia, deve sentirsi disposto a donare la vita per Gesù, che scopriamo negli altri, soprattutto nei più poveri e abbandonati, mettendo in pratica il comandamento della carità (Giovanni 13, 34). Solo così possiamo diventare veri discepoli di Gesù ed entrare nel Regno di Dio.

San Daniele Comboni (1831-1881) diceva giustamente dei suoi Missionari  che: “Senza carità non c’è santità”. L’annuncio del Vangelo nella Missione deve andare di pari passo con la rigenerazione dell’Africa.

 

Tonino Falaguasta Nyabenda

Missionario Comboniano
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