Stiamo celebrando il “mistero pasquale” che comprende cinque momenti culminanti della vita del Signore: Passione, Morte, Risurrezione, Ascensione e Pentecoste (50 giorni dopo Pasqua). L’Ascensione conclude il periodo simbolico di quaranta giorni in cui il Risorto si manifesta ai suoi discepoli: “Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni.” (Atti 1,1-11, prima lettura). I “quaranta giorni” di cui parla qui San Luca non rappresentano un tempo cronologico. Infatti, nella conclusione del suo vangelo, egli parla unicamente del giorno della Risurrezione. Infine, notiamo che la festa è spostata da giovedì a domenica per permettere una più numerosa partecipazione dei fedeli.
Il brano del vangelo scelto per questa festa (Marco 16,15-20) fa parte della cosiddetta “finale canonica” del vangelo di Marco (Marco 16,9-20), che gli studiosi ritengono non scritta dall’evangelista, ma aggiunta da un redattore anonimo verso la fine del I secolo o inizio del II. È un sommario dei racconti delle apparizioni del Risorto che troviamo in Matteo e Luca, perché il vangelo di Marco sembrava concludersi in un modo brusco e stroncato, con le donne impaurite che scappavano dal sepolcro (Marco 16,8). Questa aggiunta, comunque, è ritenuta dalla Chiesa parte integrante del vangelo.
L’Ascensione, festa del mandato missionario
Vorrei sottolineare la dimensione missionaria dell’Ascensione che non sempre viene messa sufficientemente in rilievo. Generalmente riteniamo la Pentecoste come la “festa della missione”, con l’effusione dello Spirito, la nascita della Chiesa e l’inizio della predicazione apostolica. Tutto questo è vero. Però, non possiamo lasciar passare sotto silenzio che il “mandato missionario” avviene il giorno dell’Ascensione, almeno nei vangeli sinottici, Matteo, Marco e Luca. Oggi, quindi, è la festa dell’invio della Chiesa in missione!
L’Ascensione è, contemporaneamente, il punto di arrivo per Gesù, cioè la fine del suo ministero, e il punto di partenza per la Chiesa, inviata in missione. I tre sinottici, sottolineano il legame stretto tra l’Ascensione e l’invio in missione. Al movimento verticale di Gesù verso il cielo corrisponde quello orizzontale degli apostoli verso il mondo. Gesù conclude la sua missione sulla terra e si rende “invisibile” per dare spazio, visibilità e responsabilità alla missione dei suoi discepoli sulla terra.
Il settenario della missione
Il brano del vangelo ci offre alcune indicazioni sulla missione:
1. La FINALITÀ: proclamare il vangelo. “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo”. La missione riprende come Gesù l’aveva iniziata: “Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo” (Marco 1,14-15).
2. La MODALITÀ: la predicazione della Parola. “Allora essi partirono e predicarono dappertutto”. Perché “è piaciuto a Dio salvare i credenti con la stoltezza della predicazione” (1 Corinzi 1,21). È stoltezza per tutti, infatti, oggi come ieri, perché l’oggetto della predicazione è “il Crocifisso”. È questo l’ultimo nome di Gesù che troviamo nel vangelo di Marco: “Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso” (16,6). Possiamo portare al collo il crocefisso in oro o in argento, ma non possiamo ignorare che adoriamo un uomo crocifisso, “scandalo per i giudei e stoltezza per i gentili” (1 Corinzi 1,23)!
3. I MEZZI: andare, partire. “Andate…” ed “essi partirono”, perché la missione si fa, prima di tutto, con i piedi! Il primo nome della fede cristiana è “la Via” – così viene definita negli Atti degli Apostoli – e uno dei primi nomi per designare i cristiani è “gli addetti della Via” (Atti 9,2). Se Gesù si è definito “la Via” ogni suo discepolo/a è chiamato/a a diventare un sentiero che conduce i dispersi verso di essa. Una delle raffigurazioni dell’Ascensione mostra solo i piedi di Gesù sotto la nube. Gesù ci lascia i suoi piedi per continuare a percorrere i sentieri dell’umanità. Ecco perché Papa Francesco insiste tanto sulla “Chiesa in uscita”.
4. I DESTINATARI, i LUOGHI e i PROTAGONISTI della missione: tutti, dappertutto e tutti i cristiani. “Andate in tutto il mondo” e “allora essi partirono e predicarono dappertutto”. La missione non ha confini e non esclude nessuno. Il mandato missionario è rivolto a tutti e coinvolge tutti. Oggi si sottolinea, giustamente, che ogni credente è una missione: “Io sono una missione su questa terra” (Evangelii Gaudium, 273). Inoltre, non si tratta soltanto di raggiungere i confini geografici, ma pure quelli esistenziali, come la società, la politica, l’economia, la cultura, l’ecologia, la tecnologia, i media, l’ambito professionale…
5. La sua CARATTERISTICA: l’universalità! La missione è rivolta “a ogni creatura”. È tutto l’universo che deve essere evangelizzato, in vista dei “nuovi cieli e una terra nuova, nei quali abita la giustizia” (2 Pietro 3,13; cfr. anche Apocalisse 21,1).
6. La NECESSITÀ e L’URGENZA della missione! “Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato”! Questa affermazione ha una portata drammatica. È in gioco la salvezza del mondo! Oggi tendiamo a relativizzarla fin troppo, sino a negare la necessità della missione: “tanto, tutte le religioni sono uguali!”. Il sacro rispetto per la coscienza della persona, il diritto inalienabile alla libertà religiosa, il dovuto e arricchente dialogo tra tutti i credenti, non esimono il cristiano dal dovere di evangelizzare. San Paolo incarna questa necessità premente: “Annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo!” (1 Corinzi 9,16). Il nostro battesimo è la “consacrazione alla missione”, mentre tanti cristiani l’hanno assunto “ad uso e consumo personale”.
7. I SEGNI della missione. “Il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano”. Il testo parla di quattro segni o frutti: scacciare i demòni; parlare lingue nuove; trattare con serpenti e veleni; guarire i malati. Notiamo che questi segni/frutti avvengono in quelli che accolgono il Vangelo. Possiamo domandarci dove sono tali segni.
Senza negare una interpretazione letterale, perché i segni/miracoli non sono mai mancati nella Chiesa, credo che tali segni abbiano una porta simbolica profonda valida per tutti i tempi. Cristo ci conferisce tali poteri: il potere di scacciare i demòni della guerra e dell’odio, dell’ingiustizia e dell’egoismo che schiavizzano tuttora l’umanità; il potere di parlare lingue nuove, non quelle di Babele che hanno portato alla divisione dell’umanità, ma quelle della Pentecoste che ci uniscono nell’armonia della diversità; il potere di vincere le numerose trappole e seduzioni del Serpente e i veleni nascosti nella “logica mondana”; e, soprattutto, il potere di portare consolazione e speranza all’umanità ferita.
Infine, per concludere, non possiamo dimenticare che l’Ascensione è collegata all’attesa del ritorno del Signore, sul quale incombe uno dei più inquietanti interrogativi del vangelo: “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Luca 18,8).
Per la riflessione settimanale vi propongo di meditare sulla seconda lettura: Efesini 4,1-13.
padre Manuel João Pereira Correia mccj
Verona, 9 maggio 2024