Già in passato ho avuto modo di parlare del “pontificato” di Fratel Tony Piasini. Durante i suoi lunghi anni di missione Fratel Tony si è trovato in missioni dove gli spostamenti erano resi difficili dai numerosi fiumi e torrenti da attraversare e spesso i ponti erano disastrati o non esistevano. Mi raccontava che lungo il percorso che va da Bondo a Boeli e poi sale verso Bangasou in Centrafrica ci sono su per giù duecento di questi corsi d’acqua da attraversare. La sua avventura come “pontificatore” è iniziata nel 1991. Mi raccontava: “Molti vecchi ponti furono causa di incidenti con perdite di vite umane. Immagina cosa significa passare con le nostre macchine pesanti su un ponte fatto di soli due tronchi, vi assicuro che la “fifa” è da infarto…eppure si rischiava.”

Per facilitare gli spostamenti della gente e dei mezzi Tony ci si mise d’impegno e con la sua equipe di operai costruì ponti forti e sicuri. Generoso e pronto a rispondere all’appello si rendeva disponibile per aiutare i confratelli delle altre diocesi. Racconta ancora che: “Iniziando questo impegno non avevo nessuna preparazione e oggi sono stupito e ringrazio il Signore del Suo aiuto e della Sua generosità senza limiti. Lavorando nel fango per mettere giù le pietre squadrate a mano, a fianco a fianco della mia gente, ovviamente qualche regalo in termini di salute l’ho ricevuto, e dovetti fare cure ad Anversa per la filaria e per la bilarzia, bestiacce che non sono facili da eliminare”. Non solo ponti… Tony era impegnato, oltre ai ponti, anche in altre opere come la costruzione di scuole, dispensari, chiese…lavoro abbondante e generoso per un valtellinese con buone spalle.

L’impegno per la costruzione del ponte di Api certamente è il fiore all’occhiello del suo “pontificato”. Racconta ancora “Quando ci hanno chiesto di costruire il ponte di Api, ho avuto la sensazione che ci stavamo imbarcando in un compito che era di molto al disopra delle nostre forze, molto più grande di noi, ma sapevo che c’era unità, intesa e determinazione tra gli operai e collaboratori. Con e per loro mi sono lanciato nell’avventura. Davamo tempo per incontri tra noi per studiare i piani, per lavorare in sintonia, e per assicurarci l’aiuto dei capi che, stimolati dal profumo dei soldi, spesso tendono a mettere i pali tra le ruote”.

Pochi giorni fa, P. Eliseo ha pubblicato qualcosina che ho scritto a proposito del saccheggio della foresta nella RDC. per il prezioso legname che fornisce alle termiti a due gambe che lo divorano senza scrupoli e lo digeriscono trasformandolo in soldi. Ho puntato il dito contro l’Uganda che è il Paese vicino più vorace nella nostra zona. Un sacrario ecologico è distrutto dall’avidità, con il beneplacito delle autorità del nostro Paese che sono preoccupate solo di intascare la loro parte.

Dicevo tra le altre cose che i grossi mezzi usati per i trasporti, sempre stracarichi, danneggiano le strade e le piste e di conseguenza fanno danno supplementare alla gente. Proprio due giorni fa un grosso camion stracarico di prezioso legname ha scardinato il grande ponte metallico sul fiume Kibali e l’ha distrutto trascinandolo nell’acqua con tutto il carico che trasportava. Non conosco che fine abbia fatto il povero autista e i suoi aiutanti.

Sono trascorsi un paio di mesi quando un altro camion sempre in sovraccarico, non so di quale mercanzia, ha distrutto il ponte sul fiume Bomokandi a Gombari. Il crollo di questo ponte già poneva grossi problemi per rifornimenti verso Isiro.

Questi dei ponti sono danni della voracità umana, che lasceranno il segno e conseguenze disastrose nella viabilità su quella strada internazionale. Già ne paga le conseguenze la via alternativa che va verso Faradje e Dungu per raggiungere Isiro, allungando di centinaia di chilometri il percorso.

Qualcuno si domanderà: ma non si sono poliziotti o militari che facciano controlli e impediscano il passaggio di mezzi sovraccarichi ben oltre la portata dei ponti? Più che forze dell’ordine, sono agenti del disordine e basta una bustarella per fare passare anche i bestioni più pesanti, magari di notte perché nessuno veda, tanto più che il legname è ben sistemato dentro ai containers.

Sono sotto accusa non solo i camion, complici della ruberia di legname ma anche altri che giungono perfino dalla lontana Somalia, con “bilici” con cisterne cariche di carburante. Gli autisti trovandosi in territorio tollerante viaggiano a tutto gas. Pochi giorni fa, Lisetta del COE, e altri quattro volontari che partiva per rientrare a Rungu sono stati testimoni di un incidente: uno di questi elefanti della strada ha investito a piena velocità. una moto con due persone. Il capo del quartiere Zinia che conoscevamo bene e conduceva la moto è stato spedito di botto in Cielo, il suo compagno se l’è cavata con profonde ferite. Gli amici in macchina sono riusciti a evitare il camion, che non ha rallentato, rimanendo traumatizzati.

A Gombari, quando ancora c’era il ponte sul Kibali, l’ingegno congolese è entrato in aiuto diverse persone che credono nel famoso detto: “non tutti i mali vengono per nuocere”. Sono diventati traghettatori di mercanzie, di mezzi e di persone. Scaricano i camion in arrivo e con le loro piroghe trasportano tutto sull’altra riva per caricare i camion venuti in soccorso. Anche i passeggeri delle rare corriere sono trasbordati con piroghe In piroga si portano anche bici, moto e bagagli. Ora, con il crollo del ponte sul Kibali, sono obbligati a ridurre le loro iniziative redditizie.

Da Dungu per Isiro esiste un’altra via, detta “Route Royale” progettata e voluta dai coloni belgi con l’intento creare una via che unisse i fiumi Congo e Nilo. I colonizzatori ci hanno lavorato senza finire l’opera, ma lastricando tutto il percorso con pietre, che in parte resistono ancor oggi. Su questa strada ci sono diversi ponti alcuni in cemento come quello del fiume Bomokandi e quello di Gada, altri fatti di tronchi. Questi ultimi li avevo riparati rimettendo tronchi nuovi, mentre per il ponte il cemento del Bomokandi cercai di consolidare i pilastri corrosi dall’acqua con cemento e sassi. Durante gli ultimi anni dei camionisti hanno voluto riaprire questa strada, ma sempre con i mezzi in eccedenza di peso. E anche qui la “frittata fu fatta”… sono riusciti a incrinare seriamente le arcate tra i pilastri. Risultato: il ponte non è più praticabile se non per bici e moto. Altro percorso compromesso cui nessuno si interesserà,

Quindi per i duecento dieci chilometri che da Dungu portano a Isiro resta solo la strada che passa da Rungu. Anche qui diversi ponti sono “delicati” e bisogna trattarli con rispetto e cautela. Restano un serio problema, perché non adatti a grossi carichi i ponti di ferro sul fiume Gada e sul fiume Rungu. Il ponte sul Rungu è già un “politraumatizzato”: ha subito diversi interventi d’innesti metallici e con saldature non sempre a norma e aggiunte più o meno ortodosse. Durante i primi anni di questo secolo anch’io ho dovuto saldare parti del ponte e aggiungere pezzi di rinforzo. Recentemente è stato risistemato e tiene ancora ma non si prevede fino a quando. Quale sarà il prossimo ponte a cedere sotto “il dolce peso” dei camion?

Se i congolesi conoscessero la nostra storia recente direbbero: “Ma a voi non è crollato il ponte “Morandi” di Genova? Malfatto o per colpa della mancata manutenzione? E poi non sono decenni che discutete per un ponte sullo stretto di Messina che resta un sogno o forse un incubo? Chissà quanti soldi vi hanno succhiato per fare progetti irrealizzabili… che ci sguazzi dentro anche Mafia e Ndrangheta. Sì, la mafia esiste anche qui da noi in foresta importata da gente senza scrupoli. Non siete i più indicati e qualificati a darci lezioni”.

E siamo al ritornello di sempre…purtroppo…”Quelli che ci rimettono nell’indifferenza locale e mondiale sono sempre i poveri, quelli che non hanno voce. Il Signore ci chiede di alzare la voce al loro posto … e che questa voce sia un grido non un pigolio.