Nel Bel Paese abbiamo imparato a nostre spese il codice della strada. Prima con lo studio e la scuola guida, poi con le multe che ci richiamavano alle intransigenze delle leggi e delle forze dell’ordine. Ho preso la prima multa tra Lucca e Pisa, non alla guida di una macchina o di una moto, ma di un’umile bicicletta. Era il lontano 1971 ed ero novizio. Con i dovuti permessi, in una giornata libera, assieme a un confratello, siamo partiti con i nostri “lentocipedi”, con andatura da relax, alla conquista turistico-religiosa di Pisa. Sulla statale, non c’era gran che di traffico e noi pedalavamo tranquillamente appaiati, parlando del più e del meno. Dopo una larga curva in leggera salita, vediamo due carabinieri in servizio stradale. Uno alzò la famosa paletta bianco-rossa. Ci guardammo attorno. Non c’era nessuna macchina in arrivo. In coro domandammo: “E’ per noi?”. Ci disse: “Si proprio per voi! Non sapete che non si può viaggiare appaiati? Dobbiamo farvi la multa”. Le nostre tasche furono alleggerite da cinquecento lire di quel tempo. Con il verbale in tasca e il morale spompato vergognandoci di essere dei novizi religiosi colti in fallo, abbiamo continuato il nostro viaggio da pellegrini.
Poi col passare degli anni la collezione di multe è cresciuta per differenti ragioni: Divieti di sosta, eccessi di velocità non esagerati, passaggi con il “giallo”, e via dicendo. La maggior parte sono state “multe al merito”, altre non meritate, per una raccolta da album “Panini” abbastanza limitata. Oggi giorno, per uno che viene dalla foresta equatoriale, è più complicato osservare le regole sempre nuove, salvarsi da radar, dalle telecamere, essere al passo per i rinnovi, con le visite mediche più esigenti e giustificarsi con la polizia stradale. E’ un problema conservare i punti della patente senza perderli tutti. Non sto a farla lunga, anche perché tutti i compatrioti sono più preparati e informati di me. Tra l’altro la mia patente italiana ha ancora un anno di validità e non ho nessuna intenzione di rinnovarla. E’ meno costoso ed è più salutare utilizzare la grande varietà di servizi pubblici.
Da decenni mi trovo in RDC in una città del nord est. Un grande paese in continua evoluzione. Anche il codice della strada elasticizzato del Congo, cambia di anno in anno. Nel 1980, presentando la patente B italiana ho avuto da subito quella zairese prima e quella congolese poi, per i veicoli delle categorie A B C D, non meritate. La mia “B” era limitata per problemi di vista. In quel periodo, sono stato un esigente istruttore di scuola guida per i nostri postulanti comboniani con i dovuti permessi delle autorità.
Se un tempo le regole erano discretamente severe, oggi in Congo si viaggia nel caos globale, a proprio rischio e pericolo. Il mercato cinese delle moto ha conquistato questo Paese e altri paesi africani, Una Senke 125 quattro tempi, costa un quinto di una Yamaha Ag 100, motore da due tempi giapponese. Sono moto spartane, rigide “spacca schiena”, ma fanno un gran buon servizio e consumano molto meno. Sono alla portata di molte tasche e hanno letteralmente invaso il Paese. Qui a Isiro dominano le strade. Anch’io uso questo tipo di moto e ne sono soddisfatto. Molti giovani girano senza patente, senza documenti della moto, senza assicurazioni, senza testa e senza leggi. Veri pirati da foresta. La polizia e i militari chiudono un occhio, e con poche migliaia di franchi congolesi, chiudono anche l’altro occhio. Alle barriere, difficilmente disturbano gente importante e religiosi
I camion con rifornimenti, stracarichi, che vengono dall’est riducono le strade e piste a un percorso a buche come il famoso Emmental svizzero, fanno crollare ponti, e non raramente si rovesciano o s’impiantano nelle più grosse voragini della strada bloccando tutto il traffico. Molte piste in foresta mettono a prova nervi e riflessi. Anch’io ho avuto la mia buona dose di cadute che, di per sé, aiutano a fare esperienza e ad aguzzare le capacità e i riflessi irrobustendo le ossa. Fino ad ora mi è andata discretamente bene. Un giorno sulla strada principale che va all’est e chiusa da alte erbe, è sbucato all’improvviso un bel maiale che mi ha tagliato la strada. Benché non andassi veloce l’ho centrato alla sua giusta metà rovesciandolo. La moto mi ha lanciato in aria e sono ricaduto di testa. Era la prima volta che portavo un casco. Mi è andata bene a parte il mal di collo. Ho ripreso la moto e ho raggiunto il villaggio di Beli dove ero atteso per il lavoro. Il maiale?… non so che fine abbia fatto!
Viaggiare in moto è sempre un bel rischio. Tutti si sentono padroni della strada e devi prevedere, prevenire e parare le mosse degli altri. Molti giovani girano a tutto gas anche in città e non è raro che qualcuno sia investito mentre cammina. Escono da strade secondarie all’improvviso e senza dare la precedenza. Ti vengono letteralmente addosso in contromano. Fanno inversioni di marcia o partenze improvvise. Se devi svoltare a sinistra, è bene controllare prima che non stia arrivando a gran velocità qualche altro motociclista e attendere che ti sorpassi spostandoti e fermandoti a destra, altrimenti ti centrerà in pieno. Non c’è da stupirsi nel vedere un ragazzino di una decina d’anni o poco più guidare una moto magari trasportando un passeggero. Non parliamo poi dei “triporterurs” questi piccoli motocarri sempre d’origine cinese, che viaggiano a manetta carichi all’inverosimile di legna mattoni o altre mercanzie, con sopra appollaiati ragazzini-manovali per il carico e lo scarico. Sono manovrabili ma anche instabili sulle tre ruote. A proposito di “triporteur” ho una certa esperienza personale: Pur essendo prudente mi sono trovato alcune volte ribaltato sul fianco. La prudenza, la calma e le velocità basse, e anche qualche preghiera all’Angelo Custode, devono essere di regola.
I conduttori hanno un senso dell’equilibrio che supera molto il mio. E in certi percorsi difficili è meglio farsi trasportare da questi equilibristi naturali. Quanta gente può salire su uno moto? In Italia è permesso il conduttore e un eventuale passeggero. Qui il conduttore e altre due, tre quattro o cinque persone. Vengono i brividi nel vedere un motociclista che carica sulla moto, mamme che portano due o tre bambini anche piccoli incastrati tra loro e il conduttore con i più piccoli legati sulla schiena alla moda africana. Uno dei piccoli può stare sul serbatoio con le mani aggrappate al manubrio davanti al conduttore stesso. Immaginiamo cosa può succedere in un incidente…
Oltre ai “pirati della strada” esistono anche gli “eroi della strada”. I mezzi poveri come le bici e le moto, made in Cina, sono stati la salvezza dei rifornimenti in tempi di carestia per le condizioni delle strade. Partendo da Isiro i “Kumbakumba” con le loro biciclette, e i motociclisti con povere moto, andavano a rifornirsi ad Ariwara o a Beni-Butembo percorrendo diverse centinaia di chilometri su strade disastrate e con condizioni climatiche ben poco favorevoli. Non era raro che polizia e militari ai posti di blocco, ne approfittassero alleggerendo i loro bagagli o obbligandoli a servizi di trasporto extra. Gente che per paghe da miseria, spesso ci hanno rimesso seriamente in salute. Con i grossi carichi sono spesso obbligati a guidare seduti sul serbatoio con i piedi penzoloni per garantirsi l’equilibrio evitando cadute. Sanno condurre bene i loro mezzi su piste difficili e rischiose e riparli in caso di necessità. Meritano un monumento e magari una decorazione al valore civile.
Le moto taxi in città dominano, ma le trovi anche nei villaggi. Il trasporto in moto-taxi può avere i suoi guai: Dopo una giornata di lavoro chiesi a un moto-taxista di riportarmi a casa a ventidue chilometri. Il prezzo era conveniente, un solo litro di benzina. La moto che non era più in tenera età, mancava anche dei pedalini per appoggiare i piedi e dovevo cercare appiglio sulla forcella posteriore. Il motore brontolava e scoppiettava come una pentola di fagioli. Rispolverando una frase storica, dissi: “Eppur si muove!”. Tutto è andato liscio fino alla barriera all’entrata della città. Dovevamo fermarci per aspettare che il poliziotto alzasse il bambù. Il mio socio non riuscì a frenare e mandò all’aria la stanga della barriera. L’Angelo Custode ci risparmio dalla decapitazione. Facile immaginare la rabbia mista a gioia dei poliziotti, che di buono avevano l’occasione di spillare una buona somma. Feci la parte dell’avvocato difensore e riuscii a evitare il peggio con una semi-multa.
Con una moto o una bici si può far servizio, oltre che da taxisti, da “toilekisti” (toleka= andare oltre) umile servizio di bici-taxi. Mezzi utili per servizio ambulanza, cioè trasporto ammalati ai dispensari o per ospedali lontani centinaia di chilometri.
Se una persona muore anche lontano più di cento chilometri, nella maggior parte dei casi, è trasportata nel suo villaggio in moto. Si fissa sul mezzo una sedia di fabbricazione locale con braccioli e si fa sedere la salma legandola per bene e avvolgendola in un lenzuolo. Di solito viaggiare come passeggero è alquanto stressante, ma in questo caso il passeggero non si lamenta. Per i viaggi funebri brevi si piazza il morto tra il conduttore e un passeggero. Per indicare che si trasporta una salma, basta mettere un ramo con foglie fissato sul manubrio, e all’arrivo al villaggio aggiungerci qualche claxonata per richiamare l’attenzione. Solo in città si può ricorrere a qualche “pick up” tradotto in carro funebre per l’occasione, con seguito di moto-taxi per parenti e amici.
In questi anni l’evoluzione della specie a due ruote è stata importante, anzi impressionante. Noi missionari fin da tempi memorabili abbiamo sempre usato le moto, che allora avevano nomi nostrani come Guzzi, Gilera e Aprilia. Le nobili e quattroruote e i camion, permettevano ottimi servizi e i garage diocesani di riparazione avevano un bel daffare per mantenere tutti i mezzi in buono stato. Oggi si preferisce far uso delle moto cinesi (o giapponesi per quelli con portafoglio più fornito) anche per l’apostolato nei numerosi villaggi delle missioni e parrocchie, mentre le vetture, visto i costi stratosferici, sono utilizzate con parsimonia per i servizi di necessità. I garage sono in crisi per mancanza di lavoro. In caso di necessità la gente sa sbrogliarsela. Anche i pezzi di ricambio per moto, sempre “made in Cina” costano pochissimo e sono facilmente reperibili.
Chissà cosa riserva il futuro dei trasporti in questi paesi dell’Africa, tenendo conto anche di altri aspetti come l’attenzione della natura, la polluzione dei gas, e non per ultimo il rispetto delle persone. Chissà che non ci sia un ritorno ai mezzi biblici rispettosi del creato, come il carretto tirato dall’umile asinello…forse anche lui “made in Cina”.
Fr. Duilio Plazzotta