Padre Luigi Consonni

Prima lettura (At 8,5-8.14-17)

In quei giorni, Filippo, sceso in una città della Samarìa, predicava loro il Cristo. E le folle, unanimi, prestavano attenzione alle parole di Filippo, sentendolo parlare e vedendo i segni che egli compiva. Infatti da molti indemoniati uscivano spiriti impuri, emettendo alte grida, e molti paralitici e storpi furono guariti. E vi fu grande gioia in quella città.
Frattanto gli apostoli, a Gerusalemme, seppero che la Samarìa aveva accolto la parola di Dio e inviarono a loro Pietro e Giovanni. Essi scesero e pregarono per loro perché ricevessero lo Spirito Santo; non era infatti ancora disceso sopra nessuno di loro, ma erano stati soltanto battezzati nel nome del Signore Gesù. Allora imponevano loro le mani e quelli ricevevano lo Spirito Santo.

Al tempo di Gesù la divisione fra giudei e samaritani è molto profonda e non si prospetta alcuna possibilità di riconciliazione. Se un giudeo nell’insultare un connazionale lo apostrofa da “samaritano” scatena una violenta lite. Pertanto è particolarmente significativa l’iniziativa di Filippo di evangelizzare in una città della Samaria. All’apostolo non è mancato il coraggio, l’audacia e la determinazione attribuibili all’esperienza del Risorto e alla Pentecoste.
L’annuncio è puntuale e preciso: “predicava loro il Cristo”. L’iniziativa abbatte barriere ritenute insuperabili a causa dell’odio consolidato. Tuttavia “Le folle, unanimi, prestavano attenzione (…) da molti indemoniati uscivano spiriti impuri (…) molti paralitici e storpi furono guariti. E vi fu grande gioia in quella città”. Sono gli stessi segnali dell’azione pastorale di Gesù.
Il testo non dice come fu presentata la persona di Gesù, quali i fatti e le parole messe in evidenza, gli argomenti più persuasivi, le resistenze e le difficoltà sorte negli uditori, e altro che sarebbe interessante conoscere. Rileva solo che le “folle, unanimi, prestavano attenzione alle parole di Filippo”.
Filippo conosceva già l’ambiente e la vita della gente? Ebbe l’appoggio di conoscenti? C’è stata qualche preparazione previa al suo arrivo? A queste domande non vi è risposta. L’efficacia delle sue parole è confermata “dai segni che egli compiva” e dai miracoli, evidenti manifestazioni della presenza del Regno. Tutto fa riferimento alla predicazione, allo stile di vita e all’agire di Gesù.
Il successo dell’azione pastorale non passa inosservato alla chiesa madre di Gerusalemme; infatti gli apostoli “seppero che la Samaria aveva accolto la parola di Dio e inviarono a loro Pietro e Giovanni”.
La visita è tesa a confermare il legame con la comunità di Gerusalemme. L’ordine di Gesù, di annunciare il Vangelo a tutti i popoli, incontra in Pietro e Giovanni la dovuta attenzione affinché gli effetti della predicazione e le adesioni di nuovi credenti rispecchino la fede e la comunione fraterna, necessaria per la loro integrazione nel nuovo popolo di Dio che va formandosi e crescendo.
Pietro e Giovanni “scesero e pregarono per loro perché ricevessero lo Spirito Santo (…) imponevano loro le mani e quelli ricevevano lo Spirito Santo”. Il motivo è che “non era ancora disceso su nessuno di loro, ma erano soltanto battezzati nel nome del Signore Gesù”. Sul contenuto di questo brano (e altri) la Chiesa ha riconosciuto il sacramento della cresima.
Di fatto lo Spirito, con il battesimo, sigilla nel credente gli effetti della morte e risurrezione di Gesù Cristo, stabilisce la nuova alleanza e la condizione di figlio di Dio adottivo, con tutte le conseguenze che ne derivano.
La predicazione e la testimonianza di Filippo aprono la mente e il cuore nel determinare e aderire al dono offerto, conseguenza della trasformazione interiore e del cambio di vita. Inoltre sancisce l’adesione alla comunità e allo stile di vita personale e sociale. Il processo è attribuito al “soffio” della nuova creazione, che il Risorto alitò sui discepoli chiusi nel cenacolo.
Con l’imposizione delle mani da parte di Pietro e Giovanni, “quelli ricevettero lo Spirito Santo”. Ma ritengono necessario mediare un altro “soffio” dello Spirito, possibile riferimento alla Pentecoste. Con ciò emerge che l’azione dello Spirito non è esaurita una volta per sempre con il Battesimo, né con la Cresima. Nell’insegnare a pregare, Gesù conclude dicendo: “quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!” (Lc 11,13).
La permanente presenza e azione dello Spirito Santo, nella vita personale e comunitaria, in ordine alla causa dell’avvento del Regno nel contesto e nella specifica circostanza è ampiamente certificata da momenti decisivi e qualificanti della missione, come indica la seconda lettura.

Seconda lettura (1Pt 3,15-18)

Carissimi, adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi.
Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, perché, nel momento stesso in cui si parla male di voi, rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo.
Se questa infatti è la volontà di Dio, è meglio soffrire operando il bene che facendo il male, perché anche Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio; messo a morte nel corpo, ma reso vivo nello spirito.

Il testo riguarda il comportamento dei cristiani nella persecuzione. A tal fine l’apostolo esorta: “adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori”, assimilando nell’intimo la fiducia in Gesù Cristo e nella causa del Regno, per la quale Gesù si è consegnato. Di conseguenza, nei cristiani, il pensiero, il progetto di vita, il modo di procedere e l’azione, pur nella persecuzione, conformano la realtà nella quale percepiscono la presenza del Cristo.
L’adorazione, e la contemplazione della comunione – Lui in loro e loro in Lui -, consolida in essi la speranza riguardo al senso e alla finalità della missione, nel percepire nuovi orizzonti del futuro escatologico, già presente, che coinvolge tutti e tutto, progetto e volontà del Padre.
È lo Spirito di Cristo Risorto in loro che, invocato opportunamente, motiva, sostiene e illumina il cammino e il modo di procedere. Allo stesso tempo fa sì che siano “sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che c’è in voi”, in modo da rendere plausibile la fede nell’ultimo e definitivo, orizzonte di verità nell’oggi.
Dare “ragione della speranza” è fondamentale per la plausibilità della fede escatologica, per non cadere nella cieca fiducia che coglie la ragionevolezza del contenuto senza percepirne l’importanza; in tal caso si tratta di fideismo, non di fede autentica.
È imprescindibile dare spiegazioni che tolgano l’idea di credere nell’assurdo. La ragione della plausibilità consiste nel capire che essa, da un lato, non abbraccia tutta la verità nella quale la persona è immersa, pur intuendone la grandezza. Il contrario è come il pretendere di abbracciare un albero di grande diametro con le sole braccia.
La speranza cristiana si consolida non per l’istinto di sopravvivenza dell’anima dopo la morte o per il ragionamento sollecitato dalla paura del vuoto, del nulla, al termine della vita terrena. Essa prende consistenza, spessore e forza, dalla fiducia nell’insegnamento, dalla pratica di Gesù e dalla determinazione di imitarlo con l’audacia, il coraggio e la creatività nella pratica dell’amore a favore della persona, della comunità e dell’intera umanità.
Questo perché la comunione con Gesù Cristo purifica dal peccato, rigenera a nuova vita, vince la fragilità, la debolezza, la vulnerabilità, e polarizza l’imitazione della Sua pratica coraggiosa e creativa della carità a favore della persona e della società, per un mondo più giusto ed umano con l’accoglienza dell’avvento del regno di Dio.
Dare ragione della speranza è manifestare le proprie convinzioni, “con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza”, anche “nel momento in cui si parla male di voi (…) quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo”. Ciò è possibile per l’equilibrio umano, psicologico, etico e spirituale.
La perseveranza nell’amore di Gesù Cristo porta con sé l’assumere la stessa missione e anche le stesse sofferenze da Lui vissute; “questa, infatti, è la volontà di Dio”: partecipare delle stesse sofferenze di Cristo per amore all’umanità, “perché anche Cristo è morto una volta per sempre per i peccati (…) messo a morte nel corpo, ma reso vivo nello spirito”.
Il discepolo si fa carico, come Gesù, del peccato di incomprensione, sfiducia, opposizione e rigetto della causa del Regno di Dio e, quindi, dello stesso processo di redenzione.
Il vangelo riprende questo tema.

Vangelo (Gv 14,15-21)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi.
Non vi lascerò orfani: verrò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi.
Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui».

Gesù disse ai suoi discepoli: Se mi amate, osserverete i miei comandamenti”. Il condizionale fa intendere che amarlo è espressione di fiducia nella sua persona e nel progetto del Padre che Gesù sta realizzando. Il che declina, inevitabilmente, l’osservanza dei suoi comandamenti – che si riassumono nell’unico comandamento: “amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi” (Gv 15,12) – per estendere e ampliare l’avvento e l’accoglienza del Regno di Dio nel mondo.
Qualificante è il “
come”, da declinare nel contesto e nella circostanza in cui si trovano i soggetti. Il “come” richiede l’audacia, il coraggio e la creatività propri dalla conversione per la causa dell’avvento del Regno. Si tratta dell’amore che elabora con creatività e coraggio i rapporti interpersonali e sociali, la fraternità e la responsabilità al bisogno individuale e comunitario di giustizia, di armonia e di pace.
Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama”. I comandamenti non sono già determinati, sono elaborazione dell’insegnamento e della pratica di Gesù, nel contesto e nella circostanza specifica in cui si trova il discepolo e la comunità. Con essi si tratta di far emergere la sovranità di Dio per la pratica della carità nella vita personale e comunitaria, nell’orizzonte della giustizia e del diritto.
Per costoro, Gesù assicura che pregherà “
il Padre ed egli vi darà un altro Paraclito – avvocato, difensore, consolatore (titolo attribuito allo Spirito Santo) – perché rimanga con voi sempre”. Per mezzo dello Spirito Gesù, consapevole della provvisorietà della sua presenza fisica, rassicura i discepoli: “Non vi lascerò orfani: verrò da voi”.
La risurrezione evidenzia il nuovo rapporto fra Gesù e lo Spirito. Per lo Spirito eterno, Gesù Cristo
“vive per la potenza di Dio” (2Cor 13,4) e questi – l’uomo nuovo – diviene “Spirito datore di vita” (1Cor 15,45). La singolare identificazione, enunciata da san Paolo, tra Cristo e Spirito fa comprendere che il Risorto vive per la forza dello Spirito eterno in Lui, allo stesso tempo in cui lo Spirito eterno della vita opera in Lui e, per mezzo di Lui, nei credenti.
Questa mutua “
inabitazione” di uno nell’altro consente di percepire Cristo come lo “Spirito datore di vita”, e lo “Spirito di Gesù Cristo”. Si stabilisce un rapporto inscindibile e un’azione strettamente congiunta che S. Ireneo paragona alle due mani di Dio.
* [Nota: Inabitazione. Queste parole di Gesù, ci spiegano in modo semplice il significato del mistero della fede cristiana. L’«inabitazione trinitaria», è già suggerita dalla Sacra Scrittura e, poi, costantemente ripresa dalla riflessione cristiana, fin dall’epoca dei Padri della Chiesa.
La comprensione di questo mistero è cresciuta, nel tempo, non solo per lo studio dei teologi ma, soprattutto, grazie a quella comprensione carica di sapienza che contraddistingue alcuni santi mistici e che si acquisisce con il vivere, seriamente, i divini misteri. Perciò oggi siamo in grado di percepire meglio il significato dell’inabitazione trinitaria.
L’idea dell’abitare, del dimorare, mobilita il simbolismo della casa. La casa è un modo di vivere lo spazio, il tempo e le relazioni. Essa ci consente di entrare in contatto con il mondo, protetti, identificati, attrezzati, in comunanza con altri soggetti che possono coabitare sotto lo stesso tetto. Abitare vuol dire sentirsi avvolti, protetti e difesi. Riferito alla relazione con Dio, l’abitare implica la capacità di riconoscerlo come sicurezza e baluardo, e suggerisce l’idea che in Lui si possa trovare un rifugio sicuro, una potente difesa].
All’affermazione di Gesù Cristo: “Voi lo conoscete – lo Spirito, il Paraclito –perché egli rimane presso di voi e sarà in voi”, aggiunge: “Non vi lascerò orfani, verrò da voi”. Ebbene, il messaggio non indica che lo Spirito procede da una realtà esterna a loro, ma dal loro intimo.
Altre affermazioni lo confermano: “
Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva chi crede in me (…) dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva”. E aggiunge l’evangelista: “Questo egli disse dello Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui” (Gv 7,38-39). È la presenza del Cristo, dell’azione dello Spirito che, per la fede escatologica, fa sgorgare dall’intimo del credente fiumi di acqua viva.
In quel giorno” (si riferisce all’ultimo e definitivo intervento di Dio, l’oggi di tutti i giorni, a favore della persona, della comunità, dell’umanità e del creato), quando Cristo, al quale tutto sarà sottomesso, sottometterà tutto al Padre affinché Dio sia tutto in tutti (1Cor 15,28) “(…) voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi”, si svelerà il mistero della comunione con la Trinità, pur rimanendo quest’ultima nel mistero per la sua condizione di infinitezza e inesauribilità.
Tuttavia il mistero della comunione trinitaria è partecipato, e anticipato, nel presente, nei limiti della condizione umana del credente che
“accoglie i miei comandamenti e li osserva”, e per l’amore in cui è responsabilmente coinvolto. Pertanto, afferma Gesù, “Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui”, per l’azione dello Spirito eterno, “lo Spirito della verità”.
È Il mistero della Pasqua, l’avvento del Regno, l’entrata nell’orizzonte della salvezza di ogni persona e di tutti coloro che si lasciano coinvolgere, pur appartenendo ad altre religioni o non conoscendolo esplicitamente, nella pratica della legge dell’amore con quella passione e tenacia che portò Gesù Cristo alla consegna di sé stesso.