Prima lettura (At 4,32-35)

La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune.

Con grande forza gli apostoli davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti godevano di grande favore.

Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano il ricavato di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; poi veniva distribuito a ciascuno secondo il suo bisogno.

 

La moltitudine di coloro che erano diventati credenti avevano un cuore solo e un’anima sola”. Il brano è un ritratto delle prime comunità cristiane, polarizzate attorno al progetto di vita del vangelo per il comune senso di responsabilità e comunione fraterna. Caratteristica è l’assenza della proprietà privata e la condivisione dei beni: “nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune”.

Un “cuore solo e un’anima sola” indicano il solido vincolo di unione, accompagnato dal sentimento di mutua appartenenza e condivisione dei beni di prima necessità per la vita fraterna e solidale. Il vincolo ha un carattere di stabilità e permanenza, come l’alleanza della quale si ha piena coscienza e responsabilità.

La comunità è sostenuta dall’entusiasmo, dalla testimonianza degli apostoli: “Con grande forza gli apostoli davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti godevano di grande favore”. La comunione fraterna declina il sentimento e la pratica della mutua appartenenza, la rigenerazione dell’essere, del mondo interiore, la nuova vita e la condivisione dei beni.

Si tratta del patrimonio comune e non dal possesso personale, in attesa dell’imminente ritorno del Risorto e del “nuovo cielo e nuova terra” (Ap 21,1), della storia alla fine del tempo, compimento dell’evento presente escatologico.

In tale contesto gli apostoli amministrano la distribuzione dei beni. La loro autorità, l’assoluta fiducia dei credenti e la loro trasformazione personale è accompagnata dalla volontà di ristrutturare l’ordine sociale: “portavano il ricavato di ciò che era venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli”.

Anche oggi fiducia e autorevolezza garantiscono il corretto comportamento etico nell’amministrare i beni, il convivio sociale e la corretta politica. Gli effetti realizzano la volontà e il desiderio della comunità nello sviluppare e mantenere autentici rapporti di accoglienza, fraternità e trasparenza: “Nessuno, infatti, tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano il ricavato di ciò che era stato venduto (…) poi veniva distribuito a ciascuno secondo il suo bisogno”.

Pur considerando che le prime comunità cristiane vivevano nell’attesa dell’imminente “ritorno” del Risorto e di instaurare, con Lui, l’accoglienza dell’avvento del Regno di Dio – della sua sovranità e la dinamica del suo amore – sorprende positivamente lo stile di vita, la comunione fraterna e la solida sintonia nella condivisione dei beni.

Fra l’altro le prime comunità erano poco numerose, il che facilita l’entusiasmo della prima ora, oltre l’attesa dell’imminente ritorno del Risorto. E così emergono le condizioni ideali di vita, di condivisione, di fraternità, il comune senso di appartenenza e di destino.

L’oggi è ben lontano da quel modello. Esso è alla portata di alcuni gruppi ben integrati nella fede escatologica di Gesù, e di conseguenza particolarmente dedicati nel conseguire buoni risultati. In ogni caso il testo testimonia il legame fra l’autentica fede che coinvolge nel mistero dell’amore di Dio – manifesto nella vita, nell’insegnamento e nella pratica di Gesù Cristo – la proprietà, l’uso del denaro e la pratica sociale della carità, declinata nella solidarietà e condivisione dei beni per la necessità di ogni persona e della comunità intera.

In questa dinamica, carità, solidarietà ed etica formano il fondamento della politica, dell’organizzazione della società attenta alle esigenze personali e alla giustizia sociale. La politica è etica o non è politica, e l’impero della ricchezza, frutto della speculazione finanziaria e altro, ha conseguenze molto gravi per i poveri, testimoniando così la distanza tra la fede in Gesù e il vissuto quotidiano.

Individualmente, o in alcuni gruppi, emergono generose forme di condivisione, ma resta la grande sfida dell’uso e della distribuzione dei beni e della ricchezza a livello sociale. La dimensione sociale della carità nella politica è resa possibile per l’interiorizzazione e la pratica dei valori etici e spirituali, insegnati e resi evidenti dall’esempio di Gesù e trasmessi, nel profondo dell’animo, dagli effetti della sua morte e risurrezione.

A questo secondo aspetto si riferisce la seconda lettura.

 

Seconda lettura (1Gv 5,1-6)

Carissimi, chiunque crede che Gesù è il Cristo, è stato generato da Dio; e chi ama colui che ha generato, ama anche chi da lui è stato generato.

In questo conosciamo di amare i figli di Dio: quando amiamo Dio e osserviamo i suoi comandamenti. In questo infatti consiste l’amore di Dio, nell’osservare i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi.

Chiunque è stato generato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede.

E chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù è il Figlio di Dio? Egli è colui che è venuto con acqua e sangue, Gesù Cristo; non con l’acqua soltanto, ma con l’acqua e con il sangue. Ed è lo Spirito che dà testimonianza, perché lo Spirito è la verità.

 

Il credente è generato da Dio in virtù dalla fede escatologica – “qui e ora” – di Gesù che assume e attiva come propria, e che lo rende partecipe della stessa sostanza del Padre: “chiunque crede che Gesù è il Cristo, è stato generato da Dio”. La stessa fede di Gesù rimanda alle sue parole: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi – la Trinità – verremo a lui e prenderemo dimora in lui” (Gv14,23).

In cosa consiste essere generati? Che ricaduta ha nel vissuto personale e nei rapporti sociali? Essere generati riscatta dal peccato, libera dalla schiavitù del male, ricostituisce l’amicizia e la familiarità con Lui, rende partecipi della vita divina.

La prima domanda, la consapevolezza dell’evento generativo, prevale di gran lunga sul peccato legato alla fragilità e alla debolezza umana. Il che consolida il dono dell’amore, la fiducia nella nuova vita e l’autostima nel sostenere l’intelligenza della fede nel contesto e nelle situazioni di ogni giorno.

Tuttavia la debolezza umana, l’esposizione alla seduzione del male e alla caduta nel peccato è poca cosa, comparata alla generazione operata da Dio. Pur sapendo che la magnanimità dell’amore di Dio rigenera la persona, la coscienza si scontra con l’enorme distanza tra la grandezza immeritata del perdono e la pochezza dell’amore umano e, per di più, ha davanti a sé la barriera che, da un lato, impedisce di dare credito all’amore di Dio e, dall’altro, lo declina nella superficialità e nella banalizzazione del buonismo che sempre perdona.

La seconda domanda, sulla ricaduta dell’essere generati nel vissuto personale e nei rapporti sociali, si riferisce all’instaurazione delle condizioni per attivare l’insegnamento e la pratica dei rapporti interpersonali e sociali per crescere nei valori umani, etici e spirituali, che conformano la vita e il senso umano, cristiano, in sintonia con l’accoglienza dell’avvento del regno di Dio per la nuova società, il nuovo mondo.

E l’apostolo afferma: “Chiunque è stato generato da Dio vince il mondo; è questa è la vittoria che la vinto il mondo: la nostra fede”. Per “mondo” l’apostolo intende quel modo di pensare e agire che allontana dalla comunione con Dio e con gli uomini. Esso è vinto dalla “nostra fede”, a condizione che sia radicata nella stessa fede di Gesù in modo solido e determinato per vincere il conflitto e la lotta con il “mondo”.

“E chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù è il Figlio di Dio?”, nel quale si conforma il senso di mutua appartenenza, la comunione di vita e di destino. La vittoria manifesta l’Amore rigenerativo in chi, “generato da Dio” e reso figlio nel Figlio, immerso nella vita di Dio si apre fiducioso alla misericordia.

La coscienza ricettiva del dono verifica la consistenza e la portata della fede nell’amare Dio, le persone e l’umanità: “chi ama colui che ha generato, ama anche chi da lui è stato generato”. In altri termini, il credente che sinceramente ama Dio è cosciente del dono della generazione, ama anche colui che Dio genera alla stessa maniera, e partecipa dello stesso dono e della stessa realtà (per estensione l’intera umanità e il creato nel suo complesso).

Per la morte e risurrezione di Gesù Cristo, e l’attualizzazione dei suoi effetti, oggettivamente ogni persona, e l’umanità intera, sono generati o rigenerati. Pertanto, guardando con gli occhi di Dio, pieni di amore, si attivano nuovi sentimenti: la pratica della carità, la misericordia per tutti indistintamente, includendo anche i nemici, proprio come Gesù ha ordinato che si faccia.

L’apostolo specifica: “In questo conosciamo di amare i figli di Dio: quando amiamo Dio e osserviamo i suoi comandamenti”. L’amore a Dio consiste nel dono del suo amore a tutti gli uomini, già oggettivamente redenti per l’azione di Gesù Cristo. Così si stabilisce la circolarità che fortifica e coinvolge nell’inesauribile mistero dell’amore, nella sovranità del suo Regno.

I comandamenti di Dio sono mediazioni dell’amore. Al riguardo il testo chiarisce un possibile fraintendimento: “In questo consiste l’amore di Dio, nell’osservare i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi”. Non lo sono perché amore attira amore, come la calamita attrae la limatura di ferro, per il coinvolgimento e l’immersione sempre più profonda nel mistero di Dio. Senza amore tutto diventa pesante, un obbligo, un dovere imposto dall’esterno, uno scambio di favori, un operare fuori dalla sua sovranità.

L’amore è dono della pratica di Gesù, autenticato nella sua dimensione divina dalla risurrezione, come testimonia il vangelo.

 

Vangelo (Gv 20,19-31)

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.

Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».

Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».

Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

 

Nessuno si aspettava che Gesù apparisse e, infatti, fu una sorpresa sconcertante, al punto che Tommaso non credeva a quanto riferirono. Allora, in un secondo momento, quando era presente, “venne Gesù, stette in mezzo e disse loro “Pace a voi!” e, “Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco”, non solo per identificarsi come il crocifisso del venerdì precedente, ma per manifestare la vittoria sul potere del male e sulla forza del peccato nella sua persona. Le ferite mortali, adesso, hanno perso il loro potere di morte e la loro forza distruttiva.

Ora gli apostoli constatano nel Risorto una vita sorprendente, che mai avevano pensato potesse esistere, e ciò li lascia ancor più sconcertati, pieni di paura e fortemente scossi, sebbene “gioirono al vedere il Signore”. Con la sua presenza ed il suo saluto – “Pace a voi!” – Gesù offre loro armonia, fiducia e speranza, senza il minimo riferimento al loro comportamento durante la passione.

L’evento della risurrezione si deve all’amore che sostiene la consegna, “fino alla fine” (Gv 13,1). L’amore, che motiva la fedeltà alla causa dell’avvento del Regno, è lo stesso che risuscita: è la risurrezione contenuta nella carne. In tal modo è evidente il legame tra presente e futuro, intimamente uniti. La risurrezione non è un super miracolo ma il trionfo dell’amore, giacché l’amore che dona senso alla vita è lo stesso che riscatta il corpo dalla morte.

Su questo sfondo, ecco le sorprendenti parole di Gesù dirette agli apostoli dopo la “figuraccia” del Venerdì Santo: “Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”. Il rapporto Padre-Figlio nell’ambito trinitario è il modello del rapporto di Gesù con i discepoli. Esso è possibile per l’azione dello Spirito Santo; infatti, “Detto questo, soffiò e disse loro: ‘Ricevete lo Spirito Santo’”. Il soffio ricorda l’inizio della creazione, e la risurrezione è appunto l’inizio della nuova creazione, l’ultima e definitiva della persona, dell’umanità, del creato, che si fa presente nella persona di Gesù.

Nell’evento si manifesta la sovranità di Dio in Gesù, e l’ambito della salvezza personale e sociale, finalità della missione. L’avvento del regno di Dio coinvolge l’umanità di Gesù e, di rimando, ogni discepolo e la comunità, nella misura della loro fedeltà alla dinamica d’amore che ha caratterizzato l’insegnamento e le opere del Maestro.

La sovranità di Dio, accolta dai destinatari, si manifesta nel perdono alle persone che hanno peccato: “A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati”.

Soffermandoci sul termine “perdono”, lo si può leggere come dono – per – te. È dono della misericordia di Dio per ognuno, ed il suo effetto è la nuova nascita, la nuova creazione della persona nell’ambito umano, psicologico, morale, sociale ed ecologico.

L’efficacia del dono è visibile se restituito, da un lato, a Dio nella lode e, dall’altro, nel conformare i rapporti interpersonali, sociali ed ecologici bisognosi di trasformazione, rigenerazione e nuova vita. Questa singolare circolarità costituisce la dinamica di tre diversi aspetti intimamente legati fra di loro:

— Perdono di sé. La rigenerazione della persona è realizzata per la fede negli effetti della morte e risurrezione, attivata dalla presenza dello Spirito Santo. Attenzione che Jacques Guillet conclude il suo volume sulla Fede di Gesù con una formula molto efficace: “La fede che ci salva non è la nostra, è la fede di Gesù Cristo”. La fede è il dono che trasforma e rigenera a nuova vita. Gesù, in diverse circostanze, alle persone da lui guarite conferma che “la tua fede ti ha salvato”. Il perdono è dono per te, generato dalla fede di Gesù che, per l’amore fino al dono di sé, trasmette la sua stessa sostanza ed esistenza.

— Perdono dell’“altro”. Il punto precedente permette di guardare l’“altro”, autore di torti e offese, con gli stessi occhi di Gesù, nel donare il riscatto – la gratuità della giustificazione – e la nuova alleanza per un futuro pieno di speranza per la ricostruzione del rapporto.

— Perdonare Dio. Per la morte tragica di un bambino; per non essere intervenuto ad impedire il massacro di migliaia o milioni di persone; per aver “permesso” che il male continui a seminare violenza e ingiustizie… Si ritorna a Dio il dono che lui stesso ha donato con i suoi stessi sentimenti. Ritornare il dono – caricando su sé stessi le sue “mancanze” – ristabilisce il rapporto, fortifica l’alleanza e sostiene la speranza di un futuro pieno di vita.

È Dio che rende capaci di amarlo come Lui ama, incluso il sentimento profondo nei suoi riguardi. È doveroso ritornare a Lui il dono, con gli stessi atteggiamenti con i quali l’ha donato a ogni persona e a tutta l’umanità. In tale circostanza “sarete come Dio” (Gen 3,5), ossia l’uomo diventa il modo umano di Dio nel mondo e, la comunità, il corpo di Cristo per l’azione dello Spirito Santo.