Se c’è una missione rimasta nel cuore dei comboniani del Congo, quelli ben “stagionati” e di molti altri che il Congo la guardano in giù, da lassù oltre le nuvole, questa missione è Rungu. Io che faccio parte della prima categoria, cioè di quelli che ancora possono sentire i palpiti del cuore ricordando la gente e quanto abbiamo vissuto in quel luogo. A Rungu quando ne ho l’occasione, ci ritorno con piacere.

              I primi di dicembre del 2023, noi comboniani di Isiro avevamo organizzato un pellegrinaggio a Rungu per fare memoria dei quattro padri comboniani e di tanta altra gente e religiosi uccisi nel 1964 dai Simba, ribelli mulelisti. Quel giorno siamo partiti ma all’ottavo chilometro c’era una bella voragine nella strada con un camion ben incastrato nel fango. Era impossibile passare e frustrati dal fallimento, abbiamo dovuto fare retromarcia .

              Ecco che nei giorni scorsi mi arriva l’invito per recarmi a Rungu per il problema del pozzo di casa e scuole delle Volontarie del Coe (Centro Orientamento Educativo di Barzio, LC), che non sono presenti. Lisetta, che è la “capa” responsabile che controlla le attività del Coe a Rungu sta scendendo dalle Alpi alla foresta dell’Ituri, per riprendere e dare nuovo slancio alle attività a loro affidate. Diversi incidenti hanno causato la loro assenza per alcuni mesi: Nadia che è il cardine delle attività, è scivolata e si è rotta malamente la spalla sinistra. Da diversi mesi è in Italia in attesa, non tanto dolce e piuttosto dolorosa, dell’intervento che va alle lunghe a causa dei famigerati ritardi sanitari causati dal Covid. Georgine la fedelissima volontaria Angolana, direttrice della scuola materna San Francesco, che ha avuto un ictus e un’emiparesi a destra. Si sta rimettendo piano piano, restando con il cuore in ansia per i suoi quasi cinquecento piccoli di cui si sente ed è in realtà buona e santa mamma. E infine Maria Antonietta, la brava e quotata maestra “pendolare di Rungu”, che si trova divisa tra impegni di famiglia e il desiderio di darsi sempre di più per la missione. Altre volontarie e altri volontari hanno dato anni della loro vita per la gente di Rungu con il suo vasto territorio di missione, che conta diverse decine di villaggi anche molto lontani. Ricordare i loro nomi e le qualità, a partire da Don Francesco Pedretti, il fondatore del COE, sarebbe doveroso perché se lo meritano, ma richiederebbe tempo e spazio.

              Ritorniamo al pozzo. Non occorrono spiegazioni per richiamare l’importanza dell’acqua nelle missioni. Il pozzo scavato ai piedi della collina non lontano dalla casa delle volontarie, ha fornito buona e abbondante acqua per qualche decennio. Da qualche tempo, entra molto fango dovuto a una cavità che si è formata tra l’anello di base e il primo grosso cilindro in cemento (cilindro detto “Buse” in francese) nel fondo del pozzo. Duabo l’amico che amministra la baracca in mancanza delle volontarie mi ha invita per vedere quale soluzione potevamo adottare per salvare il pozzo ora che siamo in piena stagione secca.

               Duabo con Kilima, nostro ex meccanico è sceso a prendermi con la Land Rover e mercoledì mattina siamo partiti presto per raggiungere Rungu a sessanta cinque chilometri a nord. La strada è importante perché va sia verso il Sud Sudan sia verso l’Uganda e in questo periodo è quella più trafficata. L’altra strada che va all’est è interrotta da un ponte che si è rotto sotto il peso eccessivo dei camion. Non si sa né si prevede quando il ponte sarà riparato. La strada è ben secca ma conserva preziosamente i suoi disastri con buche, profondi solchi, che la renderanno impraticabile con il ritorno delle grandi piogge.

              I primi sei chilometri sono stati da incubo… Moltissime moto stracariche che mettevano a dura prova i nervi di Kilima rischiando di venirci addosso in ogni momento. La polvere ci ha obbligato a tenere i finestrini chiusi, nonostante il gran caldo e la voglia di una boccata d’aria fresca per tutto il viaggio. Ed eccoci al grande intoppo: Alla barriera del sesto chilometro ogni mercoledì c’è mercato che invade la strada e impedisce la circolazione. E’ uno dei tanti mercati che durante la settimana, nella periferia della città, procurano alla gente il necessario per vivere. Un grosso camion cisterna (“bilico”) era fermo e ben piazzato in mezzo alla strada, completa l’opera bloccando ogni possibilità di fuga. I conduttori delle moto poi ce la mettono tutta per rendere più complicata e ingarbugliata la situazione. La gente e i commercianti non si ritirano di un millimetro. Una macchina in senso contrario forza il blocco e tenta di passare di violenza. Piano piano ce la fa. Kilima approfitta e tenta a sua volta con cautela di passare, ma deve fare retromarcia e la macchina scivola, rimediando una bella “grattata” contro il camion cisterna. Finalmente arriva un poliziotto che a suon di insulti e spinte riesce a d aprire un varco sufficiente per darci passaggio. Ne traggo la lezione del giorno: meglio evitare di partire per Rungu di mercoledì. Finalmente passiamo la barriera e possiamo continuare il viaggio. Innervosito da tutto il trambusto vissuto, Kilima ha il piede pesantuccio sull’acceleratore, e buche e colpi fanno soffrire la mia schiena già malmessa. Le difficoltà ora sono di altro genere… davanti ci precedono camion-cisterne che sollevano tanta polvere da nascondere i camion stessi e rendere difficili e pericolosi i sorpassi. Strombazzate, perizia, e pazienza ci permettono di avanzare. Dopo tre ore finalmente arriviamo a Rungu.

              E’ sempre una gioia rimettere i piedi in questa missione e riabbracciare i vecchi amici. Ci accolgono, Susanna la cuoca che per il nostro arrivo sta preparando un buon pranzetto, Emanuel il factotum della casa, Justin simpatico “guardiano” della casa dei padri con qualche problema di testa ma che è di una disponibilità rara. E via via tanti altri. Scaricati i bagagli prendo subito visione del pozzo e ci mettiamo al lavoro. L’incamiciatura del pozzo fatta con anelli irregolari in cemento è solida e sembra ben ancorata al terreno, per cui non è scesa. Il mio ex operaio, Jules, è già sceso nel fondo e dopo aver pompato acqua ha estratto e mandato in superfice un buon mucchio di fango. M’informa che la cavità circolare dell’intercapedine tra il primo anello di base e la prima “buse” inizia a una ventina di centimetri dal fondo. Non è il caso che scenda a verificare perché il mio equilibrio non mi da garanzie e rischio di restare per sempre nel fondo del pozzo.

Dobbiamo trovare una “buse” in cemento da un metro di diametro e uno di altezza che dovrebbe passare bene nel diametro dell’incamiciatura irregolare del pozzo. Con Duabo partiamo alla ricerca. Una “buse” un po’ malconcia la troviamo alla scuola degli “Ambrosoliens” e un’altra, ben conservata e solida, alla scuola elementare “Angela Andriano”. Con l’aiuto dei ragazzi sordomuti “grandi” le carichiamo e le trasportiamo con la vecchia Toyota pick up. Il tempo di lavoro della giornata è scaduto, gli operai e i ragazzi rientrano a casa loro. Resto libero e colgo l’occasione per visitare il “quartier generale” dove viveva tra la gente P. Paolo Tabarelli con i suoi ragazzi “Forgerons sans frontières” (fabbri senza frontiere) a cui ha dato un senso di vita e formati come bravi elettrotecnici, per guadagnarsi il “pane quotidiano”. Alcuni “forgerons” vi abitano ancora con le loro famiglie.

Faccio fatica a camminare e Amadi, un bravo fogeron “ben riuscito”, ancora molto attaccato a P. Paolo che senz’altro dal Cielo lo aiuta, mi porta in giro con la sua vecchia e sgangherata moto. Rivedo con piacere molte persone amiche. Passiamo anche in parrocchia. Il nuovo giovane parroco è partito a Nangazizi, la missione a 25 km verso Isiro e sarà di ritorno a sera tardi. Mi fa piacere rivedere la grande e artistica casa dove ho vissuto con i diversi confratelli, e che ha un tetto tanto spiovente che non teme la neve…non si sa mai con i cambiamenti climatici. E conservata bene e il giardino arricchito da belle siepi che occupano la metà dello spazio che un tempo era libero. Ci sono anche rimasugli delle mie tendenze artistiche. Passiamo poi dalla chiesa costruita con arte, in perfetto stile gotico belga dai padri domenicani, nostri predecessori, arricchita dalle opere del grande artista P. Leon, Agostiniano. Cala la sera e rientro per pregare rosario e vesperi con Beatrice, la Direttrice della “Andriano” e un gruppetto si volontari.

Giovedì mattina dopo la preghiera e la Messa, finalmente incontro il parroco, un giovane sacerdote diocesano, bravo e con gran voglia di essere un buon apostolo tra la nostra gente. Arrivano poi i tre collaboratori: Kilima che si mette a riparare la Land Rover che ha problemi con ammortizzatori e le barre stabilizzatrici del telaio, ed Emanuel e Jules che lavoreranno nel pozzo. Do loro le istruzioni per preparare l’impalcatura per calare le “buse” nel fondo del pozzo e togliere la pompa e le tubature che impedirebbero il lavoro. Li lascio lavorare e approfitto per una visita alla scuola per “sordomuti” (mi dicono che è un termine in disuso in Italia, sostituito dal più reale “audiolesi”) dedicata a P. Giuseppe Ambrosoli. Senza vantare meriti, con l’appoggio della mia comunità sono stato colui che ha dato avvio all’iniziativa. Il merito va però alle “ragazze” del COE che hanno saputo sviluppare la scuola rendendola una vera cittadella con tanto di internato, e ateliers. Di questa visita ne parlerò in seguito.

Tenendo conto della mia difficoltà a camminare, dopo un paio di ore, Emanuel è venuto a cercarmi con la macchina, per riportarmi a casa e vedere se avevano ben preparato le cose e poi continuare con il lavoro al pozzo. Hai, hai, hai… la “buse” era ben imbragata ma il sistema di sollevamento e discesa ideato non mi convinceva, senza contare che l’impalcatura non mi sembrava per niente solida. Dissi che bisognava mettere pali a forcella come rinforzi laterali. Avvalendosi della loro esperienza dissero che andava bene così. Instetti…ma erano decisi a farmi vedere che il sistema avrebbe funzionato. In quelle condizioni, la macchina avrebbe tirato la corda non perpendicolare al palo che portava la carrucola. Duabo alla guida della Toyota cerco di mettere in trazione la grossa corda per sollevare la “buse” posizionata al centro pozzo e liberarla dai due supporti di ferro su cui poggiava. Alzata la “buse” di pochi centimetri tutta l’impalcatura scricchiolava e si stava già piegando rischiando il disastro. Finalmente capivano che il vecchio bacucco aveva ragione. Ripartimmo da capo rinforzando per bene l’impalcatura. Cercai poi un albero perpendicolare alla trave della carrucola, altre corde per allungare quella che ora si rivelava corta. Duabo ora poteva posizionare la Toyota come si deve. La “buse” dopo essere sollevata e liberata dai supporti è discesa veloce e dritta dritta nel fondo del pozzo salvando la situazione. Abbiamo visto che un’unica “buse” era sufficiente a risolvere il problema. Per completare l’opera Jules è sceso nel pozzo per estrarre più fango possibile, e riempire l’intercapedine esterna con molta ghiaia, che avrà funzione di consolidamento e di filtro. A mio avviso ora il pozzo è recuperato bene.

All’albeggiare del venerdì abbiamo preso la via del ritorno, trovando poco traffico di camion che, per così dire, era compensato dalle molte moto stracariche. Alcuni camion stazionavano ai lati della strada per guasti o forature. Mi ha colpito la straordinaria capacita di un conduttore che assieme a qualche aiutante, in una zona isolata, aveva letteralmente smontato il grosso motore della motrice, mettendo a terra nella polvere ben in ordine pistoni, bielle, albero motore e tutto il resto. Immagino che dovranno scendere a Isiro per recuperare qualche pezzo magari d’occasione per rimontare il motore e fare in modo che il mezzo con il suo carico possa arrivare in città. Mi domando quanti giorni e forse settimane resteranno lì ai bordi della foresta per attendere i pezzi e rimontare il tutto. Pochi chilometri oltre Nangazizi, in un grande spiazzo vicino a una cappella protestante a cui è caduto il tetto, c’erano diversi camion in attesa di caricare grosse assi di mogano da esportare in Uganda. Commentiamo tra noi, che anche i Paesi vicini collaborano a saccheggiare questo polmone verde dell’Africa, abbattendo un’infinità di piante di legno nobile, che cadendo si trascinano dietro altri alberi creando grosse radure. La gente la necessità di legno da ardere, unica risorsa combustibile per cucinare. C’è anche il bisogno di creare spazzi per le coltivazioni dei campi. La foresta soffre di gravi danni. Non esiste l’idea di ripiantare e rimboscare. Ho cercato spesso di suggerire inutilmente di organizzare una “festa degli alberi” dove ogni studente o allievo delle scuole primarie e secondarie, pianti e si prenda cura di un albero.

Il viaggio di rientro è stato veloce e i sessantacinque chilometri sono durati solo due ore e un quarto rese lunghe dalle numerose buche, generatrici di qualche dolore supplementare alla schiena. Ringrazio il Signore per questo veloce ritorno a Rungu. Chissà se avrò ancora qualche nuova occasione per ritornare a rinfrescare i ricordi.