Padre Vincenzo Percassi

Il cuore del Vangelo di questa domenica è espresso dalle parole di San Paolo: il compimento della legge è l’amore. È un vangelo perché nella nostra esperienza comune il compimento della legge è una lotta persa. Chi non ha sperimentato, anche nelle relazioni più intime, quelle appunto dove l’amore dovrebbe dominare, che l’altro può farmi male, può farmi soffrire, può ferire la mia vita. E chi non si è accorto di essere stato capace di ferire la vita anche di persone che amava. L’amore di cui parla San Paolo è coestensivo con la vita stessa. Piu amo e più mi sento vivo e quindi sono in grado di dare vita all’altro. Ma un amore così, che dà vita e non fa mai male ad alcuno, deve essere necessariamente eterno. Tutti infatti amano occasionalmente le persone e le cose che sono amabili. Ma perché l’amore diventi il compimento della vita occorre desiderare un amore che non muore e che rimane vitale anche dinanzi a ciò che normalmente potrebbe ucciderlo e cioè dinanzi all’offesa. È Cristo che ha aperto per noi la possibilità di amare al di là di ciò che uccide. Dove due o tre sono uniti nel mio nome io sono in mezzo a loro. L’amore dello Spirito Santo che ha risuscitato Gesù dai morti attende di diventare coestensivo con la nostra vita di peccatori, cioè di persone la cui capacità di amare è stata gravemente ferita dal peccato. È questo spirito santo che abitando nei nostri cuori ci rende capaci di uscire dal nostro naturale individualismo e isolamento per incontrare l’altro e costruire comunione non a partire dalle proprie forze ma a partire dalla preghiera, dalla fiducia in colui che della comunione è l’origine: dove due o tre sono uniti nel mio nome li sono io. Questo amore è eterno e forte come la morte proprio perché partecipa della resurrezione di Cristo. In tal senso si comprende perché Dio descriva il profeta Ezechiele come una sentinella il cui ruolo non è semplicemente questione di giustizia ma più integralmente questione di vita o di morte. Il profeta deve educare il popolo a rimanere sintonizzato sull’amore di Dio perché da esso dipende la sua vita o la sua morte. Amare l’altro, allora, non può significare semplicemente sentire affetto, ma più integralmente desiderare che l’altro abbia la vita. Amare significa custodire l’interesse per l’altro e per la sua vita; significa porsi dinanzi alle debolezze dell’altro come sentinella e non come giudice o addirittura come nemico. In pratica amare significa coltivare il senso di responsabilità per la vita dell’altro come per la propria. Questo amore non può venire dalla nostra natura ferita. Noi viviamo in genere da addormentati piuttosto che da sentinelle. È l’amore di Dio versato nel cuore di chi crede che ci fa sentinelle, cioè capaci di vedere prima e più lontano e soprattutto di amare anche quando tutti dormono, anche quando gli altri non amano in cambio. Questo amore di origine divina è ricevuto e ci fa debitori verso Dio e debitori gli uni verso gli altri. L’unico cruccio che dovrebbe caratterizzare ogni nostra relazione è quello di chi dice: non ho ancora fatto abbastanza per te. Purtroppo, questo non si realizza nelle nostre interazioni di ogni giorno proprio per il fatto che troppo spesso si pensa che l’amore sia un credito e non un debito. Si pensa che, quando amiamo e’ merito nostro e quando non amiamo e’ colpa degli altri. Se vogliamo imparare ad amare nello Spirito Santo, allora, occorre chiedersi se ci consideriamo creditori di amore da parte degli uomini – il che è possibile – oppure se abbiamo davvero creduto che la resurrezione di Cristo, donandoci lo Spirito Santo, ci rende debitori di un amore divino che attiva in noi una vita più forte della morte e quindi una vita che non dovrebbe temere di donarsi all’altro. La prova del fuoco, allora, che mette in luce la qualità divina dell’amore che ci abita, è data da come la nostra sensibilità reagisce di fronte ad un’offesa piccola o grande che sia. Gesù, nel vangelo, parlando di correzione fraterna e di riconciliazione vorrebbe darci qualche indicazione su come onorare il debito di amore nei confronti dello Spirito Santo. Egli dice: prendi l’iniziativa nel cercare chi ti ha offeso. Non aspettare che sia l’altro. Sei tu la sentinella se hai creduto al Vangelo. Quando correggi ricorda che non si tratta di giudicare, condannare, cambiare l’altro, dare una lezione ma di “guadagnare un fratello”, di aiutare, di cercare di capire, di ricostruire la relazione. Non dire mai a nessuno del male che un altro avrebbe fatto prima di averlo detto alla persona interessata. Ogni altra scelta sarebbe solo pettegolezzo, giudizio avventato, diffamazione, critica inutile se non disruttiva. Se l’altro non ti ascolta non dare per scontato che sia lui nel torto ma cerca qualcuno per verificare insieme l’obbiettività delle accuse. Se niente funziona chiedi nella preghiera ciò che non puoi ottenere con il tuo sforzo. Dove due o tre sono uniti nel suo nome egli è in mezzo a loro e qualsiasi cosa possano chiedere nel suo nome può essere ottenuta. Quanto al fratello che non ti ascolta consideralo come un pagano oppure un pubblicano. Non smettere, cioè, di rattristarti per la sua perdita e la sua distanza dalla comunione. Quando uno ti diventa indifferente e non misuri più la sua distanza da te, quando il peccato dell’altro è diventato solo un suo problema e non più tuo, è segno che l’amore in te sta morendo. Ed hai cessato di essere sentinella.