“Guardate al futuro nel quale lo Spirito vi proietta, per fare con voi ancora cose grandi” (Vita consacrata 110)
Mentre si avvicina il capitolo generale, è giusto presentare i nostri sentimenti di riconoscenza verso il Signore per quello che la nostra famiglia comboniana è, e fa. Sono sentimenti e considerazioni emerse in vari incontri del passato e del presente. Il consiglio generale si auspica che tutti possiamo partecipare al Capitolo Generale con fiducioso ottimismo, pur senza sottovalutare i problemi che toccano anche la nostra vita missionaria e religiosa.
1. CELEBRARE IL CAPITOLO FIDUCIOSI E INSIEME
1.1 CON L’OTTIMISMO DI COMBONI
Ricordiamo alcuni sentimenti di Comboni presenti nei suoi scritti. Sono sentimenti che dobbiamo apprezzare, imitare e vivere. Sono i sentimenti di ringraziamento per i suoi missionari e missionarie, e di stima per il loro lavoro. Comboni, orgoglioso dei suoi collaboratori e contento delle loro opere, scrive così di loro:“Non ci sono difficoltà, sofferenze, fatiche, privazioni e sacrifici che i miei buoni Missionari e Suore non siano disposti a soffrire (…). Siamo pronti a sopportare la vita più dura, (…) e la morte per riuscire nella nostra impresa. E’ questo il solo tributo piccolo e debole che possiamo offrire a Dio”. (Scritti 2592) E ancora: “ Sono convinto che in fatto di abnegazione e spirito di sacrificio, nessuna missione ha missionarie e missionari così solidi come la mia” (S 6751).
Comboni è anche fiducioso in Dio. Guarda al futuro con ottimismo, convinto che l’opera che ha nelle mani è voluta da Dio. Scrive sin dall’inizio della sua missione, nel 1866: “Confidenza in Dio tutta. Quello che so di certo è che il Piano è volontà di Dio. Dio lo vuole per preparare altre opere di sua gloria. Quello ancora so di certo è che incomincerà fra non molti anni un’era novella di salute per l’Africa Centrale
(S. 1390) Questi sentimenti di ottimismo di Comboni devono accompagnare le valutazioni e programmazioni durante il Capitolo Generale.
1.2 CON AMORE MISSIONARIO:
Il nostro Istituto ha scritto pagine di grazie, di sacrificio e di donazione nel libro della storia della missione. Il passato dell’Istituto è orgoglio di Dio e di Comboni. Dio ha benedetto il nostro Istituto, ma ha anche qualcosa da suggerirci. Possiamo usare, simbolicamente, alcune parole dell’Apocalisse per descriverci, per dire che Dio ha qualcosa da ricordarci: “Conosco le tue opere dice il Signore. Conosco la tua fatica e la tua costanza. Sei costante e hai molto sopportato per il mio nome, senza stancarti. Ho però da rimproverarti che hai abbandonato il tuo amore di prima. Ravvediti,dunque, e compi le opere di prima (Ap. 2,2-5). Il Signore ci sta dicendo che è bene ritornare a quella forza originaria, a quell’amore di donazione totale che , in passato,ha sostenuto l’Istituto nei momenti più difficili.
2. PRIORITÀ , PROPOSTE E RISPOSTE
Presentiamo alcuni suggerimenti o proposte sentite ed emerse nei nostri consigli di comunità e incontri. Molti confratelli manifestano desiderio di rinnovamento, di rinascita. E’ chiaro che il rinnovare non significa aggiustare o mettere pezze nuove in vestiti vecchi. Ogni rinnovamento, ogni rinascita domanda una rottura. Rottura: questa è una parola che crea ansia a chi è custode dello status quo. Rottura non è dimenticare e distruggere. Rottura non è per la non continuità, ma è ricerca di un piano diverso e credibile di attuazione. Capacità di rottura significa capacità di far “sorgere il nuovo dal bonum del passato ” . In altre parole: non tagliare le radici alla pianta, ma potarla, per avere frutti più abbondanti. Ricordiamo anche le parole di Comboni:“Il passato è sempre una scuola per l’avvenire”( S. 1709).
Ecco,allora, alcuni suggerimenti su urgenze e priorità ritenuti importanti da parecchi di noi, senza pretese di insegnare o imporre, ma con sola intenzione di favorire la riflessione.
2.1 Lettura alla luce del Vangelo: I problemi e le sfide sono troppo grandi perché la risposta si possa trovare solamente in un capitolo generale. Dobbiamo invece continuare il cammino del capitolo, obbedire al Capitolo, e, guidati dal Vangelo e il carisma comboniano, continuare con le valutazioni, riflessioni per il bene della missione.
Tutti gli Istituti hanno fatto letture e tentato rinnovamenti, e tutti sottolineano che i Capitoli generali devono essere assimilati di più. Bisogna andare più in profondità; una Regola di vita o un Capitolo non si assimila se non si assimila il Vangelo. Il passaggio non e’ dalla Regola o dal Capitolo Generale al Vangelo, ma il contrario. Una Regola di vita e un Capitolo Generale devono sempre essere battezzati dalla parola di Dio.
2.2 Riqualificazione spirituale: Tutti desideriamo rimettere Dio al centro della nostra vita religiosa e missionaria. Tutti desideriamo rigenerarci, attingendo alla parola di Dio, al carisma e alla vera tradizione teologica e spirituale. E’ chiaro che molte cose, pur avendo avuto un passato glorioso, sono arrivate al capolinea e quindi dobbiamo senz’altro entrare in fase di rigenerazione della nostra spiritualità: scegliere Cristo e il Vangelo, come unica ragione di vita e di “servizio” apostolico. Diciamo pure che Dio vuole riportare a sè questo Istituto; lo vuole tutto per se’ per una missione specifica comboniana.
2.3 Vita comunitaria : La comunità non e’ opera nostra, ma volere di Dio, e può essere accolta solamente come dono: Chi ne fa un progetto suo distrugge la comunità invece di costruirla (Bonhoeffer).Lasciare che la vita fraterna favorisca l’individualismo, significa lasciar crescere il tumore nella carne dell’Istituto e condannarlo a morte. Un religioso che gestisce da solo la propria vita, sempre assente dalla mensa fraterna, dalla mensa della condivisione e dalla messa eucaristica, si stacca dalla fecondità della propria vocazione. La chiesa missionaria ha bisogno di comunità vive che siano un richiamo alla grazia dello stare e del lavorare insieme.
2.4 Formazione: La formazione ha sempre avuto la attenzione e la preoccupazione dei Consigli Generali e provinciali. Nonostante i numeri e le problematiche, siamo invitati a guardare al futuro con speranza e fiducia . Siamo convinti che la formazione deve formare credenti: Credenti in Dio e nel suo Vangelo; credenti nell’uomo e nella sua cultura; credenti nella missione come unica passione della vita; credenti nel sogno di Dio, quel sogno che porta a creare, osare, sfidare e donarsi senza riserve. Va ricordato che la formazione è una corsa senza traguardo di arrivo. Chi crede di essere arrivato si è già bloccato da tempo col freno dell’ignoranza. Un missionario che non si aggiorna, che non rimane nel cammino di una continua formazione personale e comunitaria fa danno a sé stesso, all’Istituto e alla missione.
2.5 Economia e Povertà : Lo stile di vita povero e la vicinanza ai poveri sono i temi più sottolineati in tutti i capitoli generali. Il nostro essere consacrati fa nostra la scelta fatta da Cristo, scelta di solidarietà, disponibilità, provvidenza e vicinanza agli ultimi e dimenticati. Il nostro annuncio, non dobbiamo dimenticarlo, si svolge in un mondo lacerato da divisioni; in un mondo dove l’abisso tra ricchi e poveri si fa sempre più profondo. E’ quindi doveroso questionarci sul nostro stile di vita, cercando di evitare quel modello di fare missione che ci fa gestire molti soldi, da cui e’ difficile restare completamente liberi. Per coerenza al voto di povertà ed al nostro carisma, dobbiamo anche restare vigilanti su un certo spirito borghese e di consumismo, che la società di oggi ci propone continuamente. Uno stile di vita comoda si ritorce sempre contro la disponibilità a lasciare sicurezze ed abitudini, a prendere il largo e andare in qualsiasi missione. Uno stile di vita borghese ci mantiene nel rischio della contraddizione di vivere tra poveri con la sicurezza dei ricchi.
2.6 Condivisione dei beni: La testimonianza di povertà si esprime nella comunione, condivisione e autolimitazione dei beni economici, secondo lo spirito e la pratica delle prime comunità cristiane. I tempi non sono facili e l’economia dell’Istituto e delle province sta soffrendo. Parecchie province e molte comunità hanno difficoltà ad andare avanti. La situazione non deve spaventarci, fiduciosi che la provvidenza viene sempre in nostro aiuto. Siamo però chiamati al risparmio intelligente, al vivere la nostra povertà più evangelicamente e ad essere creativi e comunitari nel procurare il necessario per le attività missionarie e il nostro sostentamento. Sono da lodare quelle comunità che in tempi di crisi si sono private di beni e comodità per pensare ai più bisognosi, insieme ad altre associazioni, come la Caritas, Acse e centro Astalli. Da ringraziare anche l’esempio e iniziative di comunità che hanno dimezzato il proprio budget per mandare aiuti ai confratelli in terra di missione. Ricordiamoci a vicenda un principio evangelico fondamentale valido per vivere la nostra consacrazione: evitare il pericolo di una vita comoda,egoista, impoverita nella sua spiritualità, lontana dalla gente e poco appassionata della missione tra i più poveri.
2.7 Internazionalità e Intercuturalità: L’internazionalità è un cammino di grazia in cui credere sempre di più. E’ un cammino irreversibile, che ci impegna nell’accogliere con gratitudine “ il dono del diverso” nei confratelli e in tutto l’Istituto. E’ ovvio che l’Istituto è cambiato, ha subito una evoluzione , e non è più quell’Istituto di anni fa. L’internazionalità,inoltre, è una delle testimonianze di cui il mondo di oggi ha particolarmente bisogno. Ma questa grazia dell’internazionalità’, se non gestita bene, potrebbe trasformarsi in un peso faticoso. C’è da dire subito che l’internazionalità’ non è un mezzo per aumentare in quantità e salvare l’Istituto dall’estinzione. L’internazionalità genuina non entra nei giochi della sopravvivenza. Un Istituto cresce con i numeri,ma soprattutto con la qualità. Un Istituto può anche scomparire. L’importante è che abbia compiuto bene la sua missione. L’internazionalità’ deve essere simbolo della Trinità: differenza ed uguaglianza allo stesso tempo. La vita comunitaria internazionale va contro il peccato della torre di Babele, cioè il negare la diversità, la pluralità. L’internazionalità deve diventare Pentecoste, cioè celebrazione delle diversità ricondotte ad unità di Spirito. Vivere l’internazionalità’ non e’ cosa facile. Dobbiamo continuare con la consapevolezza che l’altro sarà sempre diverso, ma ricco di qualità e talenti. L’Internazionalità è una sfida, come è una sfida vivere il futuro dell’Istituto, cioè un Istituto completamente nuovo, ricreato da una nuova geografia vocazionale, rigenerato nelle nuove generazioni. La Regola di vita ci ricorda anche che la ricchezza più grande dell’Istituto sono le persone. Proprio perché di questo siamo convinti e in questo senso si vuol operare, non possiamo esimerci dal dovere di denunciare alcune distorsioni che occorrono tuttora in questo campo e che, per comodità, sintetizziamo nel termine “preziosismo culturale”. Senza dubbio, sbagli ve ne sono stati e ve ne sono ancora nelle nostre comunità . Vi sono confratelli, però, che si abbandonano troppo facilmente a dietrologie e vittimismi. Ciò genera chiusura e ostilità; in tale clima, il riferimento alla propria cultura, allora, viene usato non come momento per costruire e arricchirsi reciprocamente, quanto piuttosto per recriminare diritti, spazi di responsabilità o incarichi e giustificare atteggiamenti spesso discutibili. Dobbiamo impegnarci nel credere, vivere e amare ogni cultura e nazionalità come dono voluto da Dio e da Comboni. E’ giusto, allo stesso tempo, evidenziare anche la “zizzania” seminata da chi, in vari modi, vorrebbe usare la cultura per non mettersi in discussione o, peggio, per poter fare i propri comodi. La cultura “santificata” e Il “preziosismo culturale” possono diventare un limite alla risposta vocazionale della persona verso Dio e la Missione.
Concludendo
La missione è partire, studiare tattiche, rinnovare metodologie e programmi di apostolato. Essa è anche e soprattutto credere. Credere in Dio che ci ha dato il privilegio della vocazione missionaria; e ha manifestato di aver bisogno di noi per continuare la sua opera nel mondo. Missione per noi è anche credere in Comboni e nel suo carisma. Comboni non si aspettava che i suoi missionari fossero a sua immagine e somiglianza. Voleva solo missionari e missionarie con profondo amore per la missione. Quando Comboni vedeva amore per la missione era capace di redimere e canonizzare i suoi missionari (S. 6851 ) Anche per Comboni, la missione esigeva una donazione totale,ad vitam: “Il più felice dei miei giorni sarà quello in cui potrò dare la vita per voi” (S 3159)
P. Teresino Serra
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