Fin dall’infanzia ho amato le mie montagne carniche ricoperte da belle e resinose abetaie, con larici, faggi e altri alberi slanciati e belli. Ogni albero, come ogni uomo e come ogni animale, ha il suo carattere, il suo odore, la sua bellezza e la sua forza: Il noce con il suo legno profumato e la preziosa radica con le stupende marezzature, la quercia orgogliosa e preziosa, il frassino con il suo stupendo legno chiaro e via via.

C’erano poi gli alberi da frutta: il ciliegio, il melo, il pero, il susino… Gli alberi erano spesso il “parco giochi” di noi bambini che imitavamo Tarzan e amici… Vivendo in montagna abbiamo appreso presto quanto le piante fossero importanti per l’umanità. La scuola ha collaborato a formarci nel rispetto e attenzione alle piante. Ricordo con una certa nostalgia la “festa degli alberi” quando scolaretti delle elementari ci veniva consegnata una pianticella di abete o di qualche albero da frutta e sotto la guida di Franco, la nostra guardia forestale, li piantavamo in un terreno preparato, seguendo nel tempo la loro crescita, come “genitori responsabili”.

Le mamme raccoglievano la legna morta caduta nel sottobosco per avere combustibile per il riscaldamento invernale e per cucinare. È vero che qualche pianta veniva sacrificata soprattutto se era d’impiccio per gli altri alberi o contorta e mal messa. Se veniva deciso il taglio di piante per le necessità di costruzioni e mobili, la scelta era dettata dalla Guardia forestale che sceglieva e indicava le piante da abbattere. Tutto quello restava delle piante abbattute, veniva distribuito con ordine e utilizzato dalle famiglie. Dopo qualche tempo venivano ripiantati nuovi alberelli per rimboscare e garantire belle piante in futuro. Si sa che gli alberi consolidano il terreno e lo proteggono dalle erosioni.

Ci sarebbe da scrivere e da raccontare molti ricordi in proposito. Purtroppo il progresso industriale con il conseguente inquinamento atmosferico, ha portato seri danni alle piante, basti pensare alle “piogge acide”, alle violente tempeste che mettono al suolo centinaia di piante, agli incendi, che in genere sono crimini provocati dall’uomo.

Ho lasciato la mia terra e da decenni mi ritrovo in missione tra la gente della RDC, enorme Paese equatoriale che possiede la più grande foresta che da respiro e vita a tutta l’Africa. Nel 1980 iniziammo con il corso per apprendere il Lingala, una delle quattro lingue ufficiali e più conosciute tra le trecento parlate dalle varie etnie del Paese. Diverse persone ci parlarono di usi, tradizioni e costumi. Venne anche il domenicano belga P. Pie, veterano e anziano della vita in missione. Tra l’altro ci fece una raccomandazione: “Prima di abbattere un albero pensateci molto, e se potete non tagliatelo. In caso contrario rimpiazzatelo subito con una nuova pianta e insegnate a fare lo stesso alla vostra gente”. Se ricordo bene le sue parole, significa che “hanno lasciato il segno”. Ho cercato più volte di suggerire che nelle scuole sia dato spazio per educare i bambini e i ragazzi al rispetto della natura e creare a una “Festa degli alberi”. Le proposte non hanno avuto seguito. C’è la convinzione che la foresta si rigenera da sola e non serve piantare alberi.

Nei giorni scorsi dopo un periodo di pausa forzata, ho fatto due uscite verso nord, sulla strada che porta in Sud Sudan e verso est su quella che va in Uganda. Sono rimasto scandalizzato e arrabbiato da quanto ho visto. Ero a conoscenza di ciò che accadeva, ma ora potevo vederlo personalmente alla grande. A una decina di chilometri da Nangazizi nel vasto piazzale di una cappella protestante era visibile una grande catasta di assoni di mogano lunghi su per giù tre metri, di una quindicina di centimetri di spessore per una trentina di larghezza. Diversi camion con rimorchio erano in attesa di fare il loro prezioso carico e partire per l’Uganda.

Pochi giorni dopo, faccio un assaggio dell’ingordigia Ugandese entrando in una pista, ideata e voluta dai belgi, chiamata “route royale”, trovo di nuovo i grossi assoni di legno pregiato e senza difetti, ben tagliato con le micidiali motoseghe, accatastati a intervalli lungo i dodici chilometri che ho percorso in savana. E’ solo una “briciola” delle tantissime tonnellate di legname destinato all’Uganda e attraverso questo Paese chissà a quale altro acquirente. Briciole sono anche i proventi che restano in RDC nelle mani dei grandi. I poveri soffrono, tacciono e osservano. Restando nella loro povertà e ricevendo qualche regalino “fumo negli occhi”. Altri assoni dello stesso stampo con qualche difetto vengono abbandonati anche ai bordi della strada, per nutrire le fameliche termiti. Spesso questi assoni di scarto vendono tagliati a pezzi per impedire che la gente li utilizzi mandando in crisi il mercato. Ripeto che sono scandalizzato da tutto questo prezioso legno sprecato.

Non ho tempo di addentrarmi nella foresta e rendermi conto della ferita inflitta a questo sacrario naturale dell’ecologia e biodiversità. Quanto danno si fa abbattendo un albero che nella caduta trascina con sé altre piante. Quanto buon legame di questi alberi abbattuti resta lì a marcire in foresta? Quanta legna che potrebbe essere utilizzata per i bisogni della gente che deve prenderne altrove? Quanto danno si fa alla natura e alla biodiversità? Quante piste si aprono per permettere ai camion di evacuare il legname sacrificando di nuovo altre piante? Senza tener conto dei danni che questi grossi mezzi fanno alle strade dei villaggi rendendole pericolose e impraticabili.

In quest’angolo d’Africa, l’unica risorsa energetica di cui la gente dispone è la legna da ardere che taglia e raccoglie dalle piante abbattute per far spazio alla coltivazione dei campi. Si fa uso di molta legna per cucinare, per riscaldare, e ancor più abbondantemente per la cottura dei mattoni per costruzione.

Dice Papa Francesco nell’enciclica “Laudato si” (N° 35): “Anche le risorse della terra vengono depredate a causa di modi di intendere l’economia e l’attività commerciale e produttiva troppo legati al risultato immediato. La perdita di foreste e boschi implica allo stesso tempo la perdita di specie che potrebbero costituire nel futuro risorse estremamente importanti, non solo per l’alimentazione, ma anche per la cura di malattie e per molteplici servizi. Le diverse specie contengono geni che possono essere risorse-chiave per rispondere in futuro a qualche necessità umana o per risolvere qualche problema ambientale”.

              Parlando con alcune persone del grave saccheggio della foresta polmone d’Africa ho espresso il mio malessere difronte a tale scempio. Bisogna prenderne coscienza e agire con azioni di protesta a tutti i livelli. Chiederne conto alle autorità, che intascano i soldi dei loro interessi, senza curarsi di chi soffre. Un amico mi dice: “Che cosa volete insegnarci voi che avete sfruttato e continuate e riempire le tasche con i soldi tratti dallo sfruttamento dalle nostre risorse? Avete fatto stragi di elefanti per prendervi l’avorio. Avete finanziato guerre e ribellioni, in combutta con i Paesi vicini, per mettere le vostre manacce sporche sui nostri territori minerari per rubare oro, diamanti, cobalto, coltan…e adesso anche il legname prezioso. Una storia che non ha fine. Continuate a farlo a danno della povera gente”.

 E’ il potere del “dio denaro” e di un’ingordigia che non ha limiti. Noi che ci crediamo i migliori, i più buoni e innocenti, dobbiamo batterci il petto per non aver alzato la voce. La nostra voce è talmente debole che sembra un sussurro. Cosciente delle nostre responsabilità, faccio il “finto avvocato difensore” e dico che la gente del mondo intero sta rendendosi conto che è ora di essere uniti, di agire e di gridare il nostro disaccordo e la nostra…vergogna.

Quanto poi la Chiesa cattolica e le altre religioni sono responsabili di un silenzio colpevole? La nobile gerarchia cattolica resta tranquilla, ben addormentata e con la bocca chiusa dai regalucci che, chi è al potere, fanno per zittirla e renderla complice. Prenderà coscienza del danno che provocano questi atteggiamenti? Mi auguro che l’enciclica “Laudato si” sia presa in considerazione in ogni comunità parrocchiale, nei seminari, nei conventi, nelle comunità di base, affinché i cristiani riflettano e prendano coscienza di tutti i disastri che la “casa comune” subisce, delle responsabilità, dei diritti, soprattutto del diritto a protestare e a chiederne conto allo Stato e alla comunità internazionale.

Dio ci ha dato una stupenda e ricca “casa comune” da contemplare e amare. Comune dev’essere l’interesse a salvaguardarla e proteggerla per il bene di tutti e per il futuro rendendola vivibile e accogliente per tutta l’umanità. E’ il modo migliore per lodare e ringraziare Dio Padre per tutta la creazione.

Fr Duilio Plazzotta