MEMORIA E PROFEZIA
ANIMA DELLA CHIESA E RISERVA DELL’UMANITÀ

Relazione di P. Pascual Chavez SDB (nella foto) al Convegno Diocesano a Brescia
sulla Vita Consacrata sul tema «Vita Consacrata: testimonianza e
profezia nella storia e nella vita della Chiesa».

«Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea:là mi vedranno»” (Mt 28,10).

1. La parola d’ordine di Gesù: tornare in Galilea.

Per due volte, nell’incontro con Gesù Risorto, le donne che lo avevano seguito fino al sepolcro ricevono la missione di annunciare ai discepoli che il Signore è risorto dai morti e li precede in Galilea. Questa citazione (Mt 28,7,10) corrisponde all’annuncio che Lui stesso aveva fatto loro durante l’Ultima Cena (Mt 26,32).

È risorto, Fratelli e Sorelle, è risorto! Gesù è vivo, smettiamo di cercarlo tra i ricordi, smettiamo di cercarlo tra i morti del passato, è vivo, è qui, possiamo trovarlo. Gesù è vivo, ma i discepoli, come sappiamo, fanno fatica a riconoscerlo, sono tutti ancora legati al proprio dolore, alla delusione delle proprie aspettative disattese. La gioia cristiana, Fratelli e Sorelle, è una tristezza superata e c’è un solo modo per superare il dolore: non amarlo, non attaccarsi ad esso. A volte sembra che abbia ragione Federico Nietzsche, che vedendo la mancanza di quella gioia pasquale nei cristiani si sentì portato, con evidente sarcasmo, a invitarli a cercare un altro “redentore”.

«Altre e migliori canzoni dovrebbero essi cantare per farmi credere nel loro redentore; più redenti dovrebbero apparirmi i discepoli di questo Salvatore». (1)

Il testo di Matteo ci presenta donne che fuggono spaventate e sconvolte dal sepolcro e sulla via del ritorno incontrano Gesù che affida loro un compito: convincere i discepoli a tornare in Galilea, dove lo troveranno. E così accade che, come ci racconta Luca, il cuore ottuso e indurito degli apostoli farà fatica ad ascoltare queste donne (Lc 24,13-35). In Galilea, lì, vicino al lago, tutti erano stati chiamati e lì tutto cominciò. Ora gli apostoli sono invitati, in un certo senso, a tornare alle origini, alle fonti, per riscoprire e rileggere la loro storia alla luce della risurrezione. Anche noi, come i discepoli, siamo invitati a ritornare alle fonti, alle origini della nostra fede e della nostra vocazione, a quell’esperienza rigenerante e dirompente che, per prima, ci ha fatto incontrare il Maestro come Signore della nostra vita e ci ha messo a camminare dietro a Lui. Ma è necessario lasciarsi trovare dal Risorto, è necessario non opporre l’incredulità alla sua luce, la tristezza alla sua gioia, la rassegnazione alla sua novità! Il Signore è e ci aspetta in Galilea, alle origini della nostra fede.

Se la crocifissione e la morte del loro Maestro aveva condotto i discepoli al disincanto e alla dispersione, la sua risurrezione e l’incontro con Lui serviranno a comprendere che, nel futuro, solo Gesù costituisce la speranza di un nuovo cammino comune. Un Gesù, però, che non è più fisicamente con loro, ma sempre davanti a loro. È ora di andare in Galilea! Lì c’è il nostro passato e il nostro futuro, la nostra memoria e la nostra profezia, le nostre radici e la nostra fecondità. La vita religiosa, quindi, è chiamata oggi dal Signore ad andare dove lo incontriamo per la prima volta e dove Egli ci attende per ripartire come testimoni trasfigurati, perché lo hanno visto vivo e Lui li ha mandati nel mondo.

2. Toccando terra nella nostra Vita Religiosa oggi

Forse mai come oggi la vita consacrata si è sentita così minacciata e “condannata all’estinzione”, al punto che ci sono congregazioni e istituti che hanno deciso non solo di non fare più alcun tipo di promozione vocazionale, ma anche di chiudere le porte a chi chiama, chiedendo di entrare. Secondo i responsabili di questi istituti non sarebbe né umano né responsabile ammettere nuove reclute di religiosi e religiose ad amministrare strutture o a prendersi cura degli anziani o magari a svolgere servizi sociali o ministeriali. Quale futuro possiamo offrire loro?

È vero che questo scenario riflette soprattutto il mondo dell’Europa occidentale, mentre in altre parti del mondo, come in alcuni paesi dell’Asia e dell’Africa, la vita consacrata conosce una crescita e uno sviluppo inimmaginabili. Qualcuno direbbe che si tratta di una ripetizione di quanto accadeva anche in Europa, quando i paesi erano poveri, le famiglie erano numerose e l’atmosfera era religiosa e chiaramente cristiana. Se così fosse, l’attuale crescita fuori dall’Europa non farebbe altro che alimentare poche speranze per un rilancio della vita consacrata.

La situazione attuale della vita consacrata in Europa non va vissuta in senso solo o soprattutto negativo; al contrario, può diventare un’opportunità, un passaggio in cui ciò che muore deve morire per dare origine alla nascita di qualcosa di nuovo. Nel nostro caso, una vita consacrata, forse più povera e debole, meno visibile, ma più profetica e più concentrata su ciò che è essenziale, che è la gloria di Dio e non la sua stessa sopravvivenza, è rappresentare Dio e non difendere le proprie opere; una vita consacrata meno clericale ma più evangelica, “più leggera” e più vicina alla gente, più capace di leggere le esigenze del nostro tempo e di cogliere le domande che esso pone, di offrire, con la testimonianza di una vita gioiosamente e gratuitamente donata, risposte con un linguaggio comprensibile a tutti.

La nostra lettura e comprensione del tempo che viviamo e delle sue difficoltà richiede di avere come sfondo una visione teologica che si fonda sulla convinzione che Dio salva nella storia, e quindi permette a ciascuno di restare con gioia dentro il tempo che Dio ha donato e amarlo, perché Dio lo ama e ci ama.

Allo stesso tempo possiamo – dobbiamo – accettare la realtà ed essere trasparenti gli uni con gli altri: i dati oggettivi ci dicono che stiamo invecchiando e siamo in declino. E questi fatti sono storia di salvezza.

Gli aspetti della crisi culturale e morale che toccano maggiormente anche il nostro mondo possono essere sintetizzati nel modo seguente:

• Il primo e fondamentale aspetto della crisi europea va ben oltre le nostre capacità: è la mancanza di fede, il tentativo di esiliare Dio, di renderlo insignificante, di rimuoverlo dalla carta geografica, dalla vita delle persone e dalle loro relazioni, ancor più quindi, dalla coscienza personale. In una situazione simile è molto difficile pensare che i giovani possano avere una vita come la nostra, che vuole essere una rappresentazione di Dio, una memoria esistenziale di Gesù Cristo.

• La cultura individualistica e il cosiddetto “diritto al divertimento” sono entrati nel ritmo della vita di molte persone religiose; alcuni nostri fratelli vivono un presunto ed indiscusso “ateismo pratico”; A volte le nostre case e il nostro stile di vita ci allontanano dai poveri e dagli esclusi e ci allineano piuttosto alle categorie sociali che godono di un buon tenore di vita.
Tutto ciò ha un impatto negativo sulla spiritualità dei religiosi e sulla dinamica delle nostre comunità.

• Il mondo in continuo cambiamento, la società che non offre certezze, l’instabilità delle persone – conseguenza di una certa immaturità psicologica – e la difficoltà o incapacità che spesso hanno i giovani di assumere impegni definitivi, mettono in crisi la proposta di un impegno “per sempre”, così tipico della vita consacrata, proprio perché è vocazione e non volontariato.

• La frammentazione è un’altra caratteristica della vita delle persone e dell’attuale società europea. Un fenomeno che non è estraneo anche a noi. Sarà necessario lavorare per realizzare una vera armonia tra le diverse dimensioni della vita del religioso (missione, comunità, vita evangelica), ma ciò è possibile solo a partire da una profonda vita di fede, da una forte coerenza vocazionale derivante da una formazione robusta che porti alla piena identificazione con Cristo obbediente, povero e casto. Dobbiamo insistere sull’approfondimento delle relazioni interpersonali nella comunità, affinché si crei quella comunione che è segno della novità del Regno che aiuta a resistere alle forze che portano alla disintegrazione.

• Il timore del nuovo e dell’ignoto, che si osserva nella società europea, sempre più popolata da persone provenienti da contesti culturali diversi, si percepisce anche nella vita consacrata. Non solo i nostri destinatari provengono da contesti multiculturali, ma anche i nuovi fratelli e sorelle.

Questo multiculturalismo, come fenomeno sociale, deve trovare la sua grande ricchezza nell’interculturalità attraverso l’integrazione della diversità nell’unità. Dove ci portano questi cambiamenti? Ci chiediamo: cosa significano per il nostro stile di vita e per le nostre prospettive apostoliche? Questo discernimento è un compito urgente che deve coinvolgere tutti i fratelli e le sorelle nei diversi istituti.

3. Ricollocazione della vita religiosa nell’Europa di oggi

Le sfide che ci attendono mostrano però alcuni spazi nuovi e adeguati, aperti alla vita religiosa nell’Europa di oggi, anche se siamo consapevoli della nostra fragilità. Sembrerebbe – ed è un paradosso! – che quanto più l’Europa ha bisogno della vita consacrata, tanto meno questa è preparata per la sua missione. Per questo motivo ci si deve saper rinnovare.

• La sfida più grande che la vita consacrata deve affrontare è se stessa (gli atteggiamenti di rassegnazione, di pessimismo, di nostalgia del passato o di chiusura nelle strutture, ecc.), ripartendo dall’avere piena fiducia che il Signore, come nel Mar Rosso, certamente apre la strada per superare le difficoltà. E non solo. Il Signore ci dice: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose» (Ap 21,5). Ciò significa uno sguardo mistico, contemplativo, che sa vedere Dio in tutte le cose e guardare ogni cosa con lo sguardo di Dio, e riconoscere dunque la novità di Dio oggi!

• Poi segue la sfida del linguaggio, che consiste nella capacità di far comprendere la vita consacrata. Molto spesso ci rendiamo conto che le persone hanno una conoscenza limitata e distorta delle persone religiose. È necessario individuare nuove modalità per far capire ciò che siamo e ciò che viviamo. Non è solo questione di “abito”, ma di capacità di farsi percepire come persone appassionate di Dio, che vivono comunitariamente per l’ideale del Vangelo, che esprimono un’autentica fraternità, che operano non per volontà di potenza ma per trasformarsi in Samaritani dei poveri…

• Un’altra sfida è riaffermare valori che ci contraddistinguono e che forse non vengono più compresi. Il definitivo di una scelta di consacrazione, castità, obbedienza, povertà, ecc.; la difficoltà nel far comprendere il valore di queste scelte non ci esonera dal testimoniarle con gioia e dal continuare a proporle ai giovani che, pur confusi e frammentati, sono ancora affascinati da scelte radicali e da figure realmente profetiche e alternative.

• Oggi siamo sfidati a vivere il voto di povertà come stile di vita, ma anche come capacità di collocarci sulla frontiera dell’emarginazione. Lasciamo che i poveri siano i nostri maestri. La povertà è vissuta anche come libertà dalle strutture: a volte ci sembra di annegare nella gestione di strutture che non hanno futuro. Forse ci sono strutture che non rispondono più alle esigenze di oggi… Forse dobbiamo pensare alla nostra vita in modo diverso, liberandoci con coraggio da tante cose che ci impediscono di essere come coloro a cui vorremmo essere vicini. Questo modo di vivere la povertà è fedeltà allo Spirito ed è una testimonianza alla quale la società odierna è molto sensibile.

• C’è una grande sfida che si riferisce alla posizione della vita consacrata nella Chiesa: sembra necessario “declericalizzare” la vita consacrata in una Chiesa che spesso si presenta molto clericale; in alcune Congregazioni, infatti, il modo di esercitare il ministero sacerdotale sembra aver annullato alcuni aspetti più caratteristici della vita consacrata. Ciò è più che mai necessario in una visione sinodale della Chiesa.

• Una sfida importante oggi – anche a livello formativo – è l’uso appropriato delle nuove tecnologie, affinché esse ci aiutino ad incrementare il nostro servizio e non costituiscano un ostacolo, soprattutto rispetto alla tendenza a rifugiarsi nella virtualità, compromettendo o addirittura annullando la comunità fraterna per la mancanza di comunione. Siamo tutti consapevoli del modo in cui alcune tecnologie influiscono sulla nostra vita comunitaria, sulla nostra vita personale: anche in questo ambito è necessario fare discernimento.

• La situazione “generazionale” della vita consacrata in Europa (tanti anziani e pochi giovani) costituisce una doppia sfida. Soprattutto, la sfida di valorizzare gli anziani che sono tra noi, affinché non si sentano un peso nelle nostre comunità, ma siano valorizzati come una risorsa di esperienza, fedeltà e saggezza. Contemporaneamente, educarci ed educarli ad invecchiare bene, per poter continuare  dare il nostro contributo positivo alla comunità e alla missione.

D’altra parte, c’è la sfida di un’adeguata integrazione dei religiosi più giovani, perché spesso manca una generazione intermedia che faciliti questa integrazione; dobbiamo affrontare il problema di come dare maggiore risalto ai giovani. A volte sono iperprotetti, perché sono pochi o magari non vengono assegnate loro delle responsabilità; a volte, al contrario, sono sovraccarichi di lavoro e hanno la responsabilità di svolgere impegni eccessivi.

• Un’ulteriore sfida è la testimonianza della comunione a tutti i livelli (anche tra Istituti e tra carismi diversi chiamati a passare sempre più dalla ‘concordia’ alla ‘sinergia’): incontrarsi insieme, riflettere insieme, lavorare insieme in una società divisa, che si chiude nella privacy e nell’individualismo.

4. Linee di azione e impegni

Dalle sfide precedenti scaturiscono le linee di azione e gli impegni per affrontarle: costruire comunità dove il dono della fraternità è vissuto con gioia: in una società spesso multiculturale, che per questo soffre tensioni, la testimonianza di comunità composte da persone di diverse origini geografiche e culturali che vivono con gioia il dono della fraternità, è una testimonianza importante della forza trasformatrice del Vangelo e, allo stesso tempo, è una parabola che indica le strade future per le società europee; offrire seri itinerari di cammino spirituale a persone che cercano risposte alle loro preoccupazioni religiose e hanno una certa nostalgia di Dio. Ciò richiede naturalmente che approfondiamo la nostra esperienza spirituale e creiamo ambienti e progetti comunitari che aiutino in questo senso; recuperare la centralità della missione e servirla con maggiore trasparenza. La vita consacrata deve smettere di pensare soprattutto a se stessa e, al contrario, mettere al centro delle sue preoccupazioni le sfide della missione. In questo contesto è fondamentale ripensare i carismi e le loro espressioni; valorizzare l’esperienza della partecipazione dei laici che desiderano vivere il carisma di un Istituto. Il ruolo dei religiosi in questo contesto è quello di accoglienza, formazione, accompagnamento; sostenere le nuove presenze apostoliche messe in atto negli ultimi tempi da diversi Istituti religiosi. Ritornare alle periferie, ai margini,
ad essere meno istituzionalizzati significa, tra l’altro, recuperare una dimensione in cui la vita consacrata è sempre stata particolarmente significativa; vivere profondamente l’esperienza dell’interculturalità, nella prospettiva del reciproco arricchimento, senza sensi di superiorità, e tornare, in Europa, a “respirare con entrambi i polmoni”: uno sguardo più attento all’Oriente potrebbe offrirci spunti per riflettere e agire.

5. Futuro della vita consacrata

Giovanni Paolo II ci aveva invitato a «riproporre ancora una volta con coraggio l’iniziativa, l’inventiva, la santità dei fondatori e delle fondatrici in risposta ai segni dei tempi emergenti nel mondo di oggi» (VC 37). Ma per questo è necessario riconoscere alla vita consacrata uno “status giuridico” aperto, in grado di rispettare e apprezzare un certo genio di esplorazione e invenzione. Se ci si indurisce all’interno di schemi fissi, per paura di perdere il controllo o perché il fascino del passato ci impedisce di pensare in modo nuovo e creativo, corriamo il rischio di terminare come il nuovo vino in otri vecchi. Un disastro assicurato per vino e l’otre …: “Vino e otri si perdono” (Mc 2,22).

“Ecco, faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?” (È 43,19). Lo Spirito sta invocando cose nuove; anzi, le sta già suscitando, con la sua creatività e chiamando i nostri carismi a nuove stazioni, nei dolori del travaglio di un’Europa che si ritorce nei dolori di un parto doloroso e inaspettato. Che non accada anche a noi di costatare con il Profeta Isaia: “Abbiamo concepito, abbiamo sentito i dolori quasi dovessimo partorire: era solo vento; non abbiamo portato salvezza al paese e non sono nati abitanti nel mondo” (Is 26,18)». (2)

Sulla stessa linea insiste Papa Francesco quando esorta la Chiesa e in particolare i religiosi a migliorare il loro atteggiamento nei confronti del cambiamento, anche in relazione al carisma che non è mai una realtà statica, ma profondamente dinamica, perché è opera dello Spirito.

«Un carisma non è un pezzo di museo, che rimane intatto in una vetrina … No, il carisma … devi aprirlo e lasciarlo uscire, in modo che entri in contatto con la realtà, con le persone, con le loro angosce e i loro problemi … Sarebbe un grave errore pensare che il carisma rimanga vivo concentrandosi su strutture, schemi, metodi o forme esterne. Dio ci liberi dallo spirito del funzionalismo». (3)

Oggi come ieri lo spirito si comporta in modo libero e creativo; e ovviamente può suscitare, e in effetti produce, “nuove forme” di vita consacrata, come ha fatto in tutta la storia del cristianesimo. A questo proposito, cito un testo dell’esortazione apostolica Vita Consacrata: Lo Spirito, tuttavia, nella novità non si contraddice. Ne è prova il fatto che le nuove forme di vita consacrata non hanno soppiantato le precedenti. In così multiforme varietà s’è potuta conservare l’unità di fondo grazie alla medesima chiamata a seguire, nella ricerca della perfetta carità, Gesù vergine, povero e obbediente. Tale chiamata, come si trova in tutte le forme già esistenti, così è richiesta in quelle che si propongono come nuove (VC 12)».

Cercando di interpretare ciò che stiamo vivendo come vita consacrata, che definisco personalmente come una crisi di identità, credibilità e visibilità, penso che i problemi sono sorti dopo il Concilio Vaticano II. Allora si cercò di aggiornare la vita consacrata alla nuova sensibilità del mondo, in particolare dei paesi poveri o in via di sviluppo, caratterizzati dalla lotta di liberazione, dall’euforia del processo di trasformazione sociale, dalla svalutazione della religiosità popolare, espressioni tutte di una stigmatizzazione del capitalismo liberale e una canonizzazione del socialismo e del marxismo.

Le nuove caratteristiche che assunse la vita consacrata qua e là erano il primato della prassi, con la conseguenza dell’attivismo e la predominanza della funzione sul carisma, svuotando così la vita consacrata della propria identità. Perciò, sebbene secondo una lettura superficiale delle statistiche alcuni si lasciano portare dal pessimismo e iniziano a cantare il requiem per la vita consacrata in generale o per il proprio istituto, una lettura più serena e profonda dei dati e la realtà attuale ci dice che i religiosi sono stati davvero i primi a comprendere il fenomeno della globalizzazione e le sue conseguenze, nel denigrare il loro volto disumano e quindi a schierarsi a favore degli esclusi. E non parlo in un modo generico della vita consacrata, ma anche dei religiosi nella diversità degli istituti secondo i loro carismi specifici. Loro sono, oggi come ieri, l’anima della Chiesa e una riserva di umanità. E oggi come ieri, la chiave del rinnovamento sarà sempre il ritorno a Cristo come prima missione per essere testimoni di Dio nel mondo, la creazione di comunità umanamente attraenti, socialmente rilevanti, vocazionalmente feconde e la ricollocazione nelle frontiere sociali e geografiche, culturali ed esistenziali della missione, dove ci attendono gli uomini e le donne più bisognosi, i poveri e gli esclusi.

Perciò, dobbiamo affrontare questa nuova situazione, cioè che in Europa e nel mondo occidentale in generale, la vita consacrata potrà avere un numero inferiore di membri, rispetto a quelli con cui ha potuto contare nel secolo scorso, e con nuove configurazioni; e ciò è dovuto alla convergenza dei fattori sopra indicati, almeno fino a quando non si verificherà un cambiamento di tendenza. Tuttavia, ciò non significa che i religiosi conteranno meno nei diversi contesti sociali. La rilevanza sociale non dipende dalla quantità, ma dalla qualità. Da qui la necessità di tornare all’essenziale, a Cristo, al Vangelo come Regola suprema di vita, alla sequela Christi.

Non è questione quindi di sopravvivenza della vita consacrata e degli istituti, ma di profezia. Non siamo validi perché siamo utili, ma perché siamo significativi e rilevanti, in grado di sollevare interrogativi e coinvolgere persone che vogliono condividere la passione per il regno, incarnando la profezia di Cristo con una vita paradossale, quella del Vangelo. Per raggiungere questo obiettivo dobbiamo liberarci dalla cultura del decadimento e dal successivo pessimismo, inoculato in molte persone e comunità e invece sprigionare l’entusiasmo delle persone appassionate di Dio e dell’uomo.

In questo senso, Papa Francesco ha sottolineato l’importanza della Parola di Dio nella vita per vivere «il futuro con speranza» e ha aggiunto che «la vita religiosa può essere compresa solo da ciò che lo Spirito opera in ciascuno dei chiamati».

«C’è chi si concentra troppo sull’esterno (strutture, attività…) e perde di vista la sovrabbondanza di grazia che esiste nelle persone e nelle comunità. Allora allontanatevi dallo spirito di sconfitta, dallo spirito di pessimismo: questo non è cristiano. Il Signore non smetterà di essere vicino alla gente, lo farà in un modo o nell’altro, ma l’importante è Lui». (4)

Ciò implica il compito ineludibile di ricollocarsi, di lasciare morire ciò che deve morire (opere, strutture, forme di organizzazione e di azione) affinché la vita consacrata possa riemergere con una fedeltà dinamica, che le consenta di privilegiare le opzioni essenziali (il primato di Gesù Cristo, il Vangelo senza glossa, la comunione con la Chiesa, l’impegno per il Regno, il servizio agli uomini), quelle che le danno identità, dinamismo e fecondità propri, e permettono di adattare le sue strutture alla missione, e quindi di rispondervi.

Tutto ciò richiede una forte spiritualità personale, una vita comunitaria di grande qualità umana e religiosa, una presenza sul territorio capace di sollevare domande, di coinvolgere le persone e di trasformare l’ambiente.

6. Minoranze creative

E dobbiamo essere consapevoli che siamo destinati ad essere sempre più “samaritani”, (5) il che significa, da un lato, vivere la situazione di marginalità che questo termine comporta e, dall’altro, essere persone profondamente assetate di Dio e profondamente solidali con i poveri e gli esclusi.

Se è vero che in questa vita samaritana, oggi, come persone e come comunità e istituti, ci sentiamo minoranze, dobbiamo essere “minoranze creative”, (6) secondo un’espressione felice di Toynbee, se davvero vogliamo diventare lievito trasformatore. (7)

Le comunità diventeranno “minoranze creative” se non si centrano sull’“io” di ciascuno dei membri che le compongono, ma sul “noi”, se sono costituite da persone mature che non rendono culto a se stesse, ai propri sentimenti ed emozioni, ai propri interessi e alla virtuale relazione, tutti elementi divisivi, ma al contrario si propongono di vivere l’amore fraterno, favorire la reciproca crescita umana e vocazionale, favorire un fecondo rapporto interpersonale, rafforzare il senso di appartenenza e lo spirito di famiglia, insomma contribuire alla costruzione di una visione comunitaria più accogliente, gioiosa, attraente, condivisa e impegnata.

E quando si è minoranza occorrono tre principi fermi:

un’identità chiara: un chiaro senso da definire, anche per noi stessi, chi siamo e cosa vogliamo essere nella società;

un forte senso di appartenenza: un bisogno convinto di una comunità in cui condividere lo stesso progetto di vita e, di conseguenza, la stessa missione;

un profondo impegno per l’eccellenza nella qualità umana, cristiana e professionale. Solo così possiamo relazionarci con tutti ed essere disposti a collaborare con gli altri per la costruzione di un mondo più umano, di un’umanità più solidale, di un futuro più attraente. Non è bastata una donna, una sola, povera e umile ragazza di Nazareth, per superare la crisi più profonda e permanente dell’umanità che è il peccato, la morte, la disperazione?

Cosa significa questo? Vuol dire che la forza e la vittoria di questi uomini e donne non sta in loro, ma nella loro conversione. La conversione a cui sempre la Chiesa ci chiama è un desiderio di vita e di felicità, un desiderio di Dio, che si lascia cambiare, che permette a Dio di cambiare il nostro cuore, la nostra vita, i nostri pensieri, i nostri giudizi, i nostri sentimenti. La conversione è la libertà di lasciarsi trasformare dallo Spirito Santo che ci conforma a Cristo, Figlio del Padre.

La conversione è sostenuta e animata dalla fede che il mondo cambia se lasciamo che Dio ci cambi. Il nostro cambiamento sembra niente, sembra ridicolo rispetto alle sfide dei cambiamenti epocali di cui l’umanità avrebbe bisogno; sembra ridicolo e destinato a fallire soprattutto perché noi stessi siamo i primi a vedere che si cambia così poco e così lentamente, a vedere che si cade e si regredisce e che bisogna sempre ricominciare. Ma se sappiamo che solo Dio può cambiarci, che differenza c’è tra la nostra conversione personale e la conversione del mondo intero? Ciò che manca a Dio non è certamente il potere; ciò che manca a Dio è la nostra libertà che permette di realizzare l’impossibile.

7. Svegliare il mondo e illuminare il futuro

Non si potrebbe formulare meglio, cari fratelli e sorelle, la nostra missione nella Chiesa e nel mondo oggi. La forma di vita di Gesù non è modellata sulle esigenze e sullo sviluppo dei dinamismi propri della natura o della cultura, ma direttamente sui valori del Regno e, di conseguenza, sul superamento di quei beni che a livello ordinario della creazione servono all’uomo per crescere e svilupparsi. E solo vivendo con convinzione, gioia e radicalità questo progetto evangelico di vita si può trasformare il mondo facendolo lievitare con l’energia del Regno.

«Sono uomini e donne che possono svegliare il mondo e illuminare il futuro. La vita consacrata è profezia. Dio ci chiede di uscire dal nido che ci contiene ed essere inviati alle frontiere del mondo, evitando la tentazione di addomesticarle». (8)

Conclusione: ripartire dalla Galilea

Ho voluto concludere questo mio intervento con queste parole di Papa Francesco, perché esse enunciano e sintetizzano assai bene quanto è chiamata ad essere e fare la VC oggi. Se la Chiesa oggi sta cercando di recuperare la freschezza del Vangelo e la forza e credibilità della Chiesa primitiva, vuol dire che tutti siamo convocati ad una sempre più fedele conformazione con Cristo facendo del suo Vangelo la regola suprema, il principio di valutazione delle nostre scelte personali, comunitarie e istituzionali. Solo così riusciremo a scuotere questo mondo ove dilaga la cultura della indifferenza. Tutti si attendono da noi una testimonianza di vita credibile e feconda, vissuta in pienezza, gioiosa e felice, bella e attraente. In questo modo i giovani vedranno che è bello vivere in amicizia con Gesù, che è possibile vivere il Vangelo facendolo ‘regola suprema di vita’, che Gesù e il suo Vangelo riempiono di senso, di luce, di dinamismo e di gioia la vita.

Ripartiamo dunque, ancora una volta, dalla Galilea!

Pascual Chávez V., sdb

Note:
1) https://it.wikisource.org/wiki/Cos%C3%AC_parl%C3%B2_Zarathustra/ Parte_seconda/Dei_Preti

2) B. Secondin, Conclusione della Conferenza ai Religiosi della Emilia-Romagna, 1 febbraio, 2018, Cfr SettimanaNews, Testimonials, Testimoni, Profeti.

2) https://www.agensir.it/quotidiano/2015/9/3/papa-francesco-a-schonstatt-il carisma-non-e-un-pezzo-da-museo/
3) https://www.agensir.it/quotidiano/2015/9/3/papa-francesco-a-schonstatt-il carisma-non-e-un-pezzo-da-museo/
4) Ib.
5) “Pasión por Cristo, pasión por la humanidad” cfr. https://vidadelacer.org/ index.php/documentos/vida-religiosa/808-congreso-de-vida-consagrada-roma 2004.

6) Minoranze creative, cioè uomini che nell’incontro con Cristo hanno trovato la perla preziosa, quella che dà valore a tutta la vita, e, proprio per questo, riescono a dare contributi decisivi ad una elaborazione culturale capace di delineare nuovi modelli di sviluppo. Perché senza tali forze umane, che vivono la ricchezza trovata in modo convincente anche per gli altri, non si costruisce niente. (J.
Ratzinger, Lettera a Marcello Pera, 15 aprile 2010).

7) Michael Metzger, The Church as a creative minority, January 28, 2020 https://religionunplugged.com/news/2020/1/28/the-church-as-a-creative-minority

8) http://www.donorione.org/Public/ContentPage/papa_francesco_dialoga_con_i_superiori_generali_resoconto_ampio.asp