Oggi è la sesta Domenica del Tempo Ordinario. Ma è anche il giorno 11 febbraio, festa della Madonna di Lourdes e 32° Giornata Mondiale del Malato. Papa Francesco ci ha inviato un messaggio per questa occasione che ha come titolo:”’Non è bene che l’uomo sia solo’: Curare il malato curando le relazioni”. E’ un bel messaggio che si basa anche sulle letture di oggi. Si parla infatti di lebbra, sia nella prima lettura (Levitico 13, 1-2 e 45-46) come nel Vangelo (Marco 1, 40-45). Il malato è come un lebbroso: è attaccato da una potenza maligna che lo vuole portare alla morte.     

Il biblista Pierre Grelot (1917-2009), ci parla della lebbra come la considera la Bibbia. Tutte le affezioni cutanee sono considerate lebbra, che è un’impurità contagiosa. Il lebbroso quindi è escluso dalla società, come dice la prima lettura di oggi. E’ un segno del peccato. Gli Egiziani, che rifiutavano la liberazione di Israele, furono colpiti dalla lebbra (Esodo 9, 9-12 ed è la sesta piaga).  Addirittura il servo sofferente (secondo Isaia 53, 3-12) ne è colpito, ma perché portava su di sé i peccati degli uomini. E grazie a questo servo sofferente e alle sue piaghe, saremo guariti. 

E’ quello che ci narra il Vangelo di oggi. Il lebbroso, secondo la tradizione biblica, doveva starsene lontano dalla società, vivere nella solitudine. E, se qualcuno si fosse avvicinato, doveva gridare: “Impuro! Impuro!”, perché si allontanasse e non avesse sentito il rumore del campanello sempre attaccato alle caviglie… Il lebbroso era un morto vivente, tagliato fuori dalla famiglia e dal culto. La legge mosaica, che vigeva anche al tempo di Gesù, doveva separare tra puro e impuro, tra bene e male, tra il giusto e il peccatore. Doveva dividere e segregare. Nel tentativo sempre vano di difendere la vita, non poteva che constatare la morte.  

E’ solo nel 19° secolo che Hansen Gerhard (1841-1912), norvegese di Bergen, scoprì,  nel 1871, la maniera di curare scientificamente questa malattia. Effettivamente, prima di questa data, guarire un lebbroso era come risuscitare un morto: solo Dio può farlo, perché è solo lui il padrone della vita (2Re 5, 7). Ma Gesù non è la “buona notizia”? “Non sono i sani che hanno bisogno del medico – ha detto un giorno il Signore,- ma i malati” (Matteo 9, 12). E poi come commento il Cristo ha aggiunto: “Io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori!”. La lebbra appunto non è solo una malattia della pelle, ma è qualsiasi peccato, qualsiasi distorsione del cuore umano.   

Fin dagli inizi dell’umanità, noi sperimentiamo la cattiveria, la violenza, la morte del fratello contro il fratello (come la storia di Caino e Abele ci insegna). Per fortuna che Gesù è la “buona notizia” di uno che tocca il lebbroso e lo sana, come anche perdona il male, guarendo il peccatore con il suo amore misericordioso. “Se vuoi, puoi mondarmi!” invoca il lebbroso del Vangelo. Egli sa che il Rabbi di Nazareth può toglierlo dalla situazione di segregazione e di morte apparente nella quale vive. Ma Gesù vuole veramente salvarlo? “Ne ebbe compassione- dice il testo di Marco, – tese la mano, lo toccò e gli disse: ‘Lo voglio, sii purificato!’”. Non si parla di guarire dalle piaghe della lebbra, ma di purificazione che tocca anche il cuore. 

Stendere la mano, toccare, è un gesto creatore. Gesù con la sua compassione cambia la morte in vita. Questo gesto, di stendere la mano, sarà completo quando sulla Croce Gesù stenderà tutt’e due le braccia (Giovanni19, 16). E questo contatto è per la nostra salvezza. Questo contatto è la nostra fede. Grazie alla fede, noi ci avviciniamo a Gesù e sperimentiamo la sua forza salvatrice.  

Purificando i lebbrosi e reinserendoli nella comunità, Gesù abolisce la separazione tra il puro e l’impuro. Egli mostra in questo modo che il Regno di Dio è presente, nel quale una umanità nuova è chiamata a viverci, grazie all’amore che Dio Padre inonda su di essa.  

Allora perché celebriamo la Giornata Mondiale del Malato? Ogni malato è in qualche modo un “lebbroso”. Lo portiamo nell’ospedale, perché sia separato dagli altri. Per curarlo meglio, forse. Ma spesso perché abbiamo paura e vogliamo allontanarlo dalla famiglia, dalla società, come al tempo della Legge Mosaica si faceva con i lebbrosi. Che fare? Lo dice chiaramente Papa Francesco: “Curare il malato, curando le relazioni!”. Certo le medicine fanno bene. Ma, come dice sempre Papa Francesco: “La prima cura di cui abbiamo bisogno nella malattia è la vicinanza piena di compassione e di tenerezza… Per questo, prendersi cura del malato significa anzitutto prendersi cura delle sue relazioni, di tutte le sue relazioni: con Dio, con gli altri (= familiari, amici, operatori sanitari), con il creato, con se stesso”. E poi aggiunge ancora: “Ricordiamo questa verità centrale della nostra vita: siamo venuti al mondo perché qualcuno ci ha accolti, siamo fatti per l’amore, siamo chiamati alla comunione e alla fraternità. Questa dimensione del nostro essere ci sostiene soprattutto nel tempo della malattia e della fragilità, ed è la prima terapia che tutti insieme dobbiamo adottare per guarire le malattie della società in cui viviamo!”. 

San Daniele Comboni (secolo XIX) sosteneva la necessità della fraternità e della carità, soprattutto nelle situazioni di grande sofferenza, nella quale versava la società dell’Africa Centrale. Così scriveva nel “Piano per la rigenerazione dell’Africa”, pubblicato il 18 settembre del 1864: Questo Piano “troverà un’eco di approvazione, ed un appoggio di favore e di aiuto nel cuore dei Cattolici di tutto il Mondo, investiti e compresi dallo spirito di quella sovrumana carità, che abbraccia l’immensa vastità dell’Universo, e che il Divin Salvatore è venuto a portare sulla Terra”.

 

Tonino Falaguasta Nyabenda –  Vicolo Pozzo 1 – V E R O N A