Padre Vincenzo Percassi

Ad un certo punto del suo ministero Gesù ha cominciato ad insegnare apertamente ciò che prima forse aveva suggerito in maniera più velata. Sarebbe allora impossibile comprendere questo suo insegnamento senza disporsi ad un ascolto attento, ad una riflessione prolungata, senza prima insomma acquisire una certa familiarità con Gesù, con la sua vita e il suo modo di pensare. Il cuore di questo insegnamento più impegnativo di Gesù è che il compimento della volontà del padre passa attraverso la sofferenza. La volontà del padre non è la sofferenza. La volontà del padre è la pienezza della vita che nelle parole di Gesù si chiama resurrezione. Ma proprio perché questa pienezza di vita vale più di ogni altra cosa, nel perseguirla occorre la disposizione interiore di chi è veramente disposto a tutto. Ciò su cui occorre fermare l’attenzione, allora, nel discorso di Gesù, non è quanto sia difficile il cammino ma quanto sia preziosa la meta. Nessuna vita che si accontenti di qualcosa di meno della resurrezione può dirsi una vita compiuta e quindi salvata. A che ti servirebbe guadagnare il mondo intero se perdi te stesso? Anche il migliore degli uomini e la più fortunata delle esistenze umane non avrebbe nulla da usare come baratto dinanzi alla morte. Cosa può dare un uomo in cambio per la sua vita? Il destino umano si conclude con un fallimento: la morte. A meno che in esso non intervenga qualcuno capace di aprire un sentiero proprio attraverso la morte e quindi attraverso ogni possibile fallimento umano. Gesù è l’unico che può invitare altri a seguirlo, non semplicemente verso la gloria, ma proprio attraverso la sofferenza e la morte perché, in quanto figlio del Dio vivente, è l’unico che ha qualcosa da dare in cambio per la sua vita e la vita del mondo. Questo è il vangelo per tutti: la vita che hai è eterna; e se l’affidi a Gesù può essere eternamente felice perché è Lui che verrà nella gloria a giudicare il mondo. Chi prende seriamente questo annuncio non rimane semplicemente in attesa di un destino futuro ma sperimenta in sé stesso, un desiderio di vita divina; come un’inestinguibile inquietudine che combatte dentro se stessi col più banale e comune desiderio di una vita normale, tranquilla, umanamente felice. Lo esprime benissimo Geremia quando dice: volevo tacere, volevo vivere normalmente, volevo smetterla di combattere per un bene più grande e contro il male comune, ma non potevo. Tu hai prevalso e la tua vita brucia nelle mie ossa, nella mia natura più intima e più fragile. Geremia viveva quello che San Paolo si augurava per ogni credente. Non appiattitevi sugli schemi del mondo, non fatevi dominare dall’abitudine, ma piuttosto lasciatevi trasformare dallo Spirito di Cristo che vive nel mondo. Da quella sana inquietudine, da quella tensione verso il di più, che ti porta ad offrire a Dio non delle cose, ma te stesso come un sacrificio vivo e santo. Proprio come ha fatto Cristo. Cercate di vivere, insomma, cercando non ciò che salva dai problemi ma ciò che salva dalla morte: ciò che è buono, gradito a Dio è perfetto, cioè ottimale, capace di far crescere la propria umanità, rendendola degna di eternizzarsi. Questa inquietudine, per quanto fastidiosa a volte possa sembrare, è l’unico atteggiamento che trasfigura, che fa crescere e rende la personalità interiore più forte della paura, dello scoraggiamento, della timidezza, della subordinazione a qualsiasi maggioranza politica o culturale come potevano esser gli scribi, gli anziani, i sommi sacerdoti al tempo di Gesù. Perché, dunque, questa trasformazione non è sempre così evidente anche nei credenti? Perché un po’ tutti come Pietro, in fondo, anche solo inconsapevolmente, pensiamo che sia la volontà di Dio a doversi adattare alle nostre attese piuttosto che il contrario. Per fare la volontà di Dio, allora, è necessario accettare che il Vangelo metta brutalmente in discussione tutta la nostra vita e la nostra mentalità, come ha fatto Gesù nei confronti di Pietro. Occorre, cioè, convincersi che la conversione vera non consiste nel cambiare da una religione all’altra oppure solo nel modificare un qualche aspetto negativo della nostra persona. La conversione implica il coraggio di relativizzare anche tutto ciò che noi consideriamo normale, umano, ragionevole secondo canoni mondani. Per pensare secondo Dio, insomma, bisogna smettere di pensare secondo gli uomini. Ma per far questo occorre imparare a rinnegare sé stessi, a disobbedire a sé stessi. A vincere sé stessi invece di averla vinta sugli altri. Occorre imparare a lottare per essere più forti di sé stessi, delle proprie rabbie ed egoismi. Se non hai mai agito contro te stesso, contro il tuo carattere o le tue abitudini, probabilmente non ha mai amato nessuno fino in fondo, perché ti sei fermato a ciò che fa comodo e non fa male. C’è un fuoco che brucia e attende di essere accolto dalla nostra libertà ribelle. Se gli permettiamo di prevalere, come per Geremia, anche la nostra debolezza si trasfigura in forza e la nostra misera vita in sacrificio vivo e santo, gradito a Dio.