Padre Luigi Consonni

Prima lettura (Ger 20,7-9)

Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre;
mi hai fatto violenza e hai prevalso.
Sono diventato oggetto di derisione ogni giorno;
ognuno si beffa di me.
Quando parlo, devo gridare,
devo urlare: «Violenza! Oppressione!».
Così la parola del Signore è diventata per me
causa di vergogna e di scherno tutto il giorno.
Mi dicevo: «Non penserò più a lui,
non parlerò più nel suo nome!».
Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente,
trattenuto nelle mie ossa;
mi sforzavo di contenerlo,
ma non potevo.
 

È un momento molto drammatico per il profeta. Nel compiere la missione affidatagli da Dio, Geremia è rigettato e isolato dal popolo e dalle autorità. La missione si è rivelata molto più complicata e difficile di quanto che pensava, anche se era sostenuta dalla certezza che, in ogni istante, Dio è presente e lo aiuterà.
Geremia, nel denunciare in nome del Signore la malvagia condotta del popolo e delle autorità radicalmente contraria all’Alleanza, lo fa con quell’impeto proprio di chi sa di rivolgersi a un pubblico non disposto all’ascolto e ad ignorare la verità: “
Quando parlo, devo gridare, devo urlare: Violenza! Oppressione!”.
Egli suscita l’irritazione di tutti coloro che pensano di contare irrevocabilmente sul favore del Signore, per il solo fatto di costituirsi come popolo eletto la cui capitale, Gerusalemme, è la città di Dio, la sede del tempio, il luogo della presenza del Signore, garante fedele della loro elezione.
Il testo presenta Geremia come il profeta della sventura e della disgrazia in contrapposizione all’ottimismo generalizzato. Di conseguenza il profeta afferma: “
Sono diventato oggetto di derisione ogni giorno; ognuno si beffa di me (…) Così la parola del Signore è diventata per me causa di vergogna e di scherno tutto il giorno”. Lo stato d’animo del profeta è di sconforto: si percepisce indifeso, disarmato, in un certo senso come soffocato e al limite delle sue possibilità.
Egli ritorna con il pensiero al momento della chiamata, quando il Signore gli affidò la missione e conclude con un’amara considerazione: “
Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre”. Di fatto la seduzione ha in sé stessa la forza ingannatrice della persuasione per cui, facendo perdere di vista la realtà, suscita l’adesione entusiasta alla proposta che essa offre.
Alla luce del coinvolgimento dei fatti e delle svariate situazioni, il profeta percepisce e sperimenta la forza della seduzione come una violenza, e afferma: “
mi hai fatto violenza e hai prevalso”, aggiungendo lo scoraggiamento, la delusione con sé stesso, defraudato dai risultati e dalle risposte del popolo, ben diverse da quelle che si aspettava di ricevere.
L’esperienza di Geremia è simile a quella di ogni persona che abbraccia un progetto di vita, un sogno di realizzazione personale, familiare, professionale o sociale, affascinata e convinta di ottenere risultati ragguardevoli, anche in tempi brevi. E invece incontra avversità incomprensibili.
È ipotizzabile che l’eccesso di entusiasmo e di ottimismo, o la mancanza di un adeguato discernimento, dia motivo ad attese fuori luogo. La prima reazione è simile a quella del profeta: “
Non penserò più a lui, non parlerò più nel suo nome!”, e rifiuta continuare la missione, probabilmente con il pensiero di abbandonare il progetto e il sogno. Molti, in simili circostanze, desistono e intraprendono un altro cammino sancendo il fallimento di tutto.
Non è il caso del profeta, in lui c’è dell’altro: “
nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, trattenuto nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo”. Qualcosa ha provocato in Geremia come un corto circuito, come fa intuire la risposta del Signore: “Se ritornerai, io ti farò ritornare e starai alla mia presenza; se saprai distinguere ciò che è prezioso da ciò che è vile sarai come la mia bocca” (Ger 15,19).
Il profeta sente nell’intimo la forza e l’impeto della missione, al punto che non può esimersi dal dedicarsi ad essa. Si evidenzia in lui l’autenticità della vocazione, quale fuoco ardente che nessuno può spegnere o contenere, e il pensiero va al roveto ardente della chiamata di Mosè, annesso al processo di purificazione dalla seduzione umana che accompagna lo svolgimento della missione stessa.
La missione è anche l’ambito della pedagogia di Dio, che accompagna e sostiene l’azione, l’attività dell’inviato, che affronterà la mescolanza di seduzione e autenticità. È necessario il discernimento indicato dalla risposta del Signore.
È ciò che Paolo sottolinea nella seconda lettura.

 

Seconda lettura (Rm 12,1-2)

Fratelli, vi esorto, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale.
Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto.

L’esortazione ha come fondamento “la misericordia di Dio”, che Paolo sperimenta ampiamente, e in virtù della quale, con accorata, profonda e sincera gratitudine, invita i destinatari ad attivare nei rapporti interpersonali e sociali il dono di Dio cui sono partecipi, nei termini che hanno ricevuto da Cristo. Pertanto Paolo scrive: “vi esorto (…) a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio”.
Paolo e i destinatari dell’epistola – tutti noi – hanno ricevuto il dono della misericordia di Dio per mezzo di Gesù. L’evento Gesù Cristo è santo e gradito a Dio, per la sintonia con la volontà del Padre e dello Spirito Santo; in altre parole, per l’amore e la volontà delle tre persone divine a favore del riscatto dell’umanità e di ogni persona che accoglie, per dono e non per merito, gli effetti dell’evento pasquale.
Importante è l’inciso “
questo è il vostro culto spirituale” che consiste nel dono di sé per la causa dell’avvento del Regno di Dio. È il dono della forza dirompente dell’amore – gli effetti dell’evento pasquale – che suscita nella persona la trasformazione nel percepire in sé la rigenerazione, l’essere nuova creatura.
Coinvolta e immersa nell’amore, declina l’azione evangelizzatrice nell’imitare l’amore di Cristo a favore del prossimo, soprattutto degli esclusi, dei poveri, dei marginalizzati senza animo e speranza. Quest’amore “corporale” investe tutta la persona e costituisce il culto spirituale, sostenuto e alimentato dallo Spirito Santo.
Trasmettere il dono ricevuto è indispensabile per la crescita umana in tutti i sensi. È come lasciar scorrere il sangue nelle arterie, sangue che rinnova e porta vita in tutto il corpo. Pertanto l’obiettivo della misericordia di Dio è immergere tutti nella dinamica del ricevere, e trasmettere, il dono che garantisce stabilità e consistenza nel rapporto con Lui.
L’offerta della vita è frutto di attenzione e discernimento e Paolo esorta: “
Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare”. Non è semplice prendere le distanze dai criteri del mondo, che esercitano fascino e seduzione contrari a quelli di Dio (anche se per certi aspetti essi sono caratteristici e decisivi nella vita giornaliera e per la convivenza sociale). Ma il convinto accoglimento dell’esortazione suscita, nella coscienza, l’inevitabilità di camminare in senso contrario, per le conseguenze che ne derivano.
Quindi si tratta di rinnovare il “
modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio”, in attenzione alle diversità, al contesto e alle circostanze della vita, al fine di rispondere, in modo audace, creativo e coraggioso, al farsi della salvezza. La qualità dell’intervento è verificabile nei destinatari coinvolti, per l’accoglienza del dono e degli effetti del mistero della morte e risurrezione di Cristo, che fa di loro dei discepoli.
Per l’evangelizzatore, rinnovare il modo di pensare e di discernere è un processo permanente e necessario al fine di rispondere, fedelmente, alla causa del vangelo e continuare la missione con la fiducia della presenza costante del Signore.
La volontà di Dio è la salvezza di tutti: “
Dio vuole che tutti gli uomini si salvino e giungano alla conoscenza della verità” (1Tm 2,4). Per raggiungere tale obiettivo è necessaria una permanente verifica, “per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto”.
Distanziarsi dai criteri del mondo, e trasformare il modo di pensare e di discernere, è quanto esige il Vangelo odierno.

 

Vangelo (Mt 16,21-27) – adattamento dal commento di Alberto Maggi

In quel tempo, Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno.
Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai». Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!».
Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà.
Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita?
Perché il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni».

Da allora Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli” che tipo di messia è Lui, “che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi (da parte del Sinedrio – il massimo organo giuridico di Israele, composto da 71 persone) – e venire ucciso e risorgere il terzo giorno”. Nota bene: Il numero tre non indica il triduo pasquale, ma significa ciò che è completo, totale; ecco perché certe espressioni vengono ripetute tre volte, come nel caso di Pietro quando rinnega Gesù per tre volte. Quindi Gesù dice: sarò ucciso, ma torno in vita completamente.
E qui succede lo scontro inaudito, tremendo (è una delle pagine più drammatiche di tutto il vangelo) tra ciò che Gesù aveva proclamato pochi minuti prima: “
beato, perché il Padre te lo ha rivelato (…)” e Pietro. Lo scontro può suscitare perplessità. Ma come può Pietro, pur ispirato da Dio e al quale Gesù ha detto: “(…) questo non dalla carne né dal sangue ma il Padre te lo ha rivelato” comportarsi successivamente in tal modo? Perché di lui l’evangelista non fa un ritratto storico ma, attraverso lui, vuole rappresentare la difficoltà nella crescita della fede in ogni credente.
Si può dire che è quasi una caricatura di ognuno di noi; anche a noi vengono, chiamiamole rivelazioni divine, nel senso di parole di Dio e manifestazioni di Dio; ma, appesantite dal carico delle tradizioni e dalle incoerenze, diventa difficile metterle in pratica. In Pietro, più che un discepolo particolarmente ostinato e testardo, va ricercata la rappresentazione delle difficoltà dei credenti di comprendere la novità di Gesù.
Pietro lo prese in disparte (…)”; afferratolo lo trascina verso di sé, “(…) e si mise (…)”, o meglio, cominciò un’azione che non avrà fine, se non con il tradimento. È l’inizio dello sprofondamento di Pietro che, pur avendo avuto una rivelazione da parte di Dio, cioè che Gesù è il Figlio del Dio vivente, attaccato e condizionato dalla propria tradizione finirà per tradirlo.
Cominciò, ed è grave quello che fa, “
a rimproverarlo”, o meglio, a sgridarlo, espressione adoperata da Gesù per cacciare i demoni. Quindi, per Pietro, quel che Gesù ha detto è contrario alla volontà di Dio. Egli dice, e qui usa una formula che veniva adoperata per la richiesta di perdono di quanti avevano abbandonato Dio: “… ti perdoni” Dio. Infatti dice: “Dio ti perdoni Signore, questo non ti accadrà mai”. Pietro non comprende l’evento della risurrezione, e lo sgrida: “Dio ti perdoni”, nel senso che “l’hai sparata talmente grossa che questo non ti accadrà mai”.
Ed ecco il dramma di quest’uomo, con la risposta di Gesù: “
Ma Egli, voltandosi disse a Pietro: vattene dietro di me, Satana!”; sono le stesse parole che Gesù ha adoperato nel deserto con il satana tentatore, con la differenza che lascia una possibilità a Pietro e aggiunge: vai “dietro di me!”.
Gesù aveva chiamato Pietro con queste parole: venite dietro di me che vi farò pescatori di uomini. Qui è Pietro che prende Gesù e lo tira a sé: non è più il discepolo che vuol seguire il maestro ma pensa che il maestro debba seguire il discepolo. Allora Gesù dice: vattene, torna a metterti dietro di me, e lo chiama satana.
In tal modo l’evangelista ripropone le tentazioni del deserto, che non sono un episodio sporadico nella vita di Gesù, ma di tutta la sua esistenza. Gesù è continuamente tentato, all’esterno dai sadducei e farisei, e all’interno dalla sua comunità. Gesù è costretto a chiamare
satana, cioè avversario, il discepolo che lo ha riconosciuto come Figlio del Dio vivente!
E dice: “
Tu mi sei scandalo, che significa “pietra d’inciampo”. A Pietro, che aveva riconosciuto in Gesù il Figlio del Dio vivente, Gesù ha detto: Tu sei la pietra per costruire la mia comunità, ma siccome Pietro non è d’accordo con il piano di Gesù, lo chiama satana, avversario, e anziché pietra adatta per la costruzione lo qualifica pietra d’inciampo, cioè quei ciottoli che stanno metà sottoterra e metà fuori, e sui quali una persona, inconsapevolmente, inciampa. Quindi Pietro, che Gesù aveva riconosciuto come pietra adatta per la costruzione, viene indicato come pietra dello scandalo: “Tu mi sei d’inciampo”.
Vediamo di comprendere perché è drammatico questo brano: nel deserto il satana, al cap. 4, non si era presentato ostile a Gesù; le tentazioni del satana nel deserto non dobbiamo immaginarle come generate da un essere orribile che va a tentare Gesù per fare qualcosa di cattivo anzi, il satana si offre come un servitore di Gesù: sei il Messia, vuoi inaugurare un regno, guarda ti metto a disposizione tutto quello che ho.
Chi vuol inaugurare qualcosa deve far colpo sulla gente, buttati dal tetto, hai bisogno di soldi, ce li ho io, io ho tutti i regni di questo mondo. Quindi, il satana non si presenta a Gesù come un avversario, ma come un fedele servitore; se vuoi inaugurare il Regno di Dio, e stupire la gente, devi avere soprattutto una grande potenza economica, perché la gente si lascia abbagliare da tutto ciò.
Quindi il satana si propone come un efficace collaboratore di Gesù, mettendo a disposizione tutte le sue potenze, tutti i regni del mondo, la gloria, e non desidera né la sconfitta né la morte di Gesù.
Satana fa di tutto per evitare la morte di Gesù, perché? Una volta che Gesù avesse trionfato e regnato assumendo il potere, il satana avrebbe regnato con Lui. Ecco perché Pietro viene chiamato “satana”.
L’evangelista ci dice che dovunque c’è il potere, lì c’è il satana, chiunque lo detenga. Pietro si dimostra il satana contrario al piano di Dio, e come il satana, il diavolo, vuole impedire la morte di Gesù. Allora, se nel deserto Gesù si è dimostrato categorico contro satana – “
vattene satana” -, qui non caccia via Pietro ma gli dice: “vattene dietro di me”, cioè: Pietro torna a prendere il tuo posto, sei tu che devi seguire me; io ti ho chiamato dicendo: venite dietro di me, e non sono io che devo seguire te.
Pietro, da pietra adatta per la costruzione viene retrocesso a pietra d’inciampo, a pietra dello scandalo. Perché? “
Perché non pensi secondo Dio (…)”.
Gesù realizza il progetto di Dio sull’umanità, il Regno di Dio, che non avverrà attraverso forme di potere, di successo o di denaro, ma attraverso l’amore che si fa servizio per gli altri. “
(…) Ma pensi secondo gli uomini!”, per questo Gesù ha detto a Pietro: torna a metterti dietro di me.
E si rivolge a tutti quanti, il gruppo dei discepoli che la pensa come Pietro dicendo: “
… Se qualcuno” – c’è il condizionale, nessuno è obbligato a seguirlo – vuol venire dietro di me, rinneghi sé stesso (…)”. Rinneghi sé stesso, in relazione all’azione di Pietro, consiste nell’abbandonare tutte quelle idee, quelle ideologie: ossia, devi cambiare mentalità.
(…) e sollevi la sua croce”; Gesù invita i discepoli a sollevare da soli quello che sarà il patibolo dell’infamia. La croce, nei vangeli non viene mai data da Dio a tutti quanti, come purtroppo si dice, ma è presa volontariamente da quei discepoli che vogliono seguire Gesù. Seguire Gesù, non significa conquistare il potere, il successo, ma essere diffamati da quelli che detengono il potere e il successo.
Gesù, in questo momento, ha preso le distanze dai discepoli che lo stanno seguendo e non lo hanno capito. È molto chiaro: se volete venire dietro di me sollevate la vostra croce. Prendere su di sé la croce non significa accettare le sofferenze, i disagi che la vita provoca, ma accettare, come Gesù, di perdere la reputazione: la croce era il terribile supplizio riservato per i rifiuti della società. Ancora Gesù dice: se non accettate di essere considerati come me un bestemmiatore, un eretico, un indemoniato, un ingannatore, se non accettate di perdere la vostra reputazione, non provate a venirmi dietro.
Per seguire Gesù bisogna essere liberi. Chi tiene alla propria reputazione, al proprio buon nome, non è mai libero perché è sempre condizionato da ciò che pensano gli altri.
Gesù ha bisogno di persone libere, “
perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà”. Sembra un paradosso ma credo che sia verificabile nella vita di tutti i giorni. Il messaggio di Gesù è di grande attualità ed è confermato oggi dalla medicina e dalla psicologia in particolare: le persone che vivono incentrate su sé stesse sono quelle che fanno sempre una brutta fine, perché il loro mondo è chiuso in sé stesso e finiscono per distruggere la propria esistenza; quelli che, invece, si dimenticano e mettono la propria vita al servizio degli altri, questi si realizzano in pienezza.
Dice Gesù: “
quale vantaggio avrà l’uomo se guadagnerà il mondo intero (…)”; Pietro crede che Gesù sia il Messia che guadagna il mondo intero attraverso il successo, ma “(…) poi danneggia o perde la propria vita? O che cosa un uomo può trovare in cambio della propria vita?”.
Gesù, ancora una volta, si richiama alla prima beatitudine: quelli che volontariamente e liberamente, per amore, condividono ciò che hanno e quel che sono con gli altri, realizzano in pienezza sé stessi; quelli che, invece, vivono sottraendo il bene agli altri, vivono unicamente centrati sui propri bisogni e proprio questi vanno incontro alla perdita totale della propria esistenza.
L’uomo vale nella misura in cui vive per gli altri; chi vive solo per sé stesso, per Gesù, è destinato al fallimento totale, “
perché il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli e allora restituirà a ciascuno secondo le sue azioni”. Sono parole di grande incoraggiamento ai discepoli che non comprendono cosa significa che Gesù verrà resuscitato, perché disorientati da prospettive di persecuzione e di morte.
Come si fa a seguire uno che anziché assicurarti del potere del successo ti dice: guarda che se segui me andrai a fare una brutta fine, finirai sul supplizio della croce? Gesù dichiara che al disonore, che Lui riceverà da parte del sinedrio, corrisponderà il massimo onore, che riceverà da parte del Padre.