Padre Luigi Consonni

Prima lettura (Is 56,1.6-7)

Così dice il Signore:
«Osservate il diritto e praticate la giustizia,
perché la mia salvezza sta per venire,
la mia giustizia sta per rivelarsi.
Gli stranieri, che hanno aderito al Signore per servirlo
e per amare il nome del Signore,
e per essere suoi servi,
quanti si guardano dal profanare il sabato
e restano fermi nella mia alleanza,
li condurrò sul mio monte santo
e li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera.
I loro olocausti e i loro sacrifici
saranno graditi sul mio altare,
perché la mia casa si chiamerà
casa di preghiera per tutti i popoli».

Il Signore ordina: “Osservate il diritto e praticate la giustizia”, con rispetto e fedeltà all’Alleanza che conferisce il senso di appartenenza a Dio delle persone e del popolo. Attraverso l’adesione e l’osservanza della Legge si consolida l’identità per la quale Dio riconosce in loro il suo popolo, a sua volta acquisisce la certezza di appartenere a Dio.
Praticare la giustizia significa coltivare e mantenere il corretto rapporto con Dio, con le persone e la comunità, nel rispetto della sua dignità umana e del convivio sociale forgiato dai canoni dell’Alleanza.
La giustizia ha l’obiettivo di rendere la persona sempre più umana, capace di donare sé stessa alla causa del Regno di Dio in modo che la società – il popolo – stabilisca le condizioni di fraternità, responsabilità e solidarietà nel prendere consistenza e visibilità per l’accoglienza dell’avvento del Regno di Dio, realtà di pace e di vita in abbondanza.
È altresì “
giustizia”, che consolida e identifica la persona e il popolo nella pratica del diritto, nell’adempimento della legge contro la prepotenza e l’abuso a danno dei poveri, delle vedove, degli orfani e degli stranieri, le categorie più esposte al sopruso e allo sfruttamento.
Questo
“perché la mia salvezza sta per venire, e la mia giustizia sta per rivelarsi”, nell’integrare le persone e il popolo nel regno di Dio con l’accoglienza della sua sovranità generatrice di salvezza e di pace, e stabilire armonia con tutti e con tutto.
L’aspetto di novità – sconcertante per il popolo d’Israele – è che tutto ciò non rimane circoscritto al popolo eletto ma si estende agli stranieri “
che hanno aderito al Signore per servirlo e per amare il nome del Signore”. La profezia è diretta a costoro, a “quanti si guardano dal profanare il sabato e restano fermi nella mia alleanza, li condurrò al mio monte santo, e li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera”.
Lo sconcerto e lo stupore emergono perché si riteneva che solo i discendenti legittimi di Israele appartenessero al popolo eletto e potessero accedere al tempio. Per avere un’idea del peso sociale e religioso di tale normativa, J. Jeremias – grande studioso in materia – afferma che per verificare la fedeltà alla tradizione, negli archivi del tempio di Gerusalemme, si consultava fino alla quinta generazione se il discendente della tribù sacerdotale di Levi avesse incrociato il proprio sangue con quello di un’etnia diversa. In tal caso era escluso dal servizio sacerdotale e, inoltre, questa purezza era considerata decisiva agli effetti della salvezza. Qualcosa di tutto ciò si percepisce nella polemica di Gesù con chi accampa pretese per essere discendente di Abramo.
Il profeta sovverte un principio cardine della vita d’Israele, e lo reinterpreta a favore degli stranieri nell’ “
amare il nome del Signore e per essere suoi servi”. Si tratta di amarlo imitando l’amore con cui sono amati dal Signore.
Di conseguenza il criterio che determina l’appartenenza al popolo di Dio va oltre la purezza razziale e assume il rapporto sincero e autentico tra l’amore di Dio nei loro riguardi e l’adeguata risposta d’amore, che sostiene la pratica del diritto e della giustizia a livello sociale e individuale.
Tale criterio non vale solo per gli stranieri ma anche per i discendenti legittimi d’Israele: da esso dipende il compiersi dell’Alleanza. La profezia non è una concessione gratuita a favore degli stranieri ma illustra il fondamento e le condizioni per appartenere al popolo eletto.
La discendenza, e con essa la partecipazione alla tradizione e alla promessa fatta dal Signore a Israele, favorisce il compimento del sincero rapporto d’amore e fiducia con il Signore nel compimento dell’Alleanza.
In ciò si inquadrano bene le parole di Paolo nella seconda lettura.

 

Seconda lettura (Rm 11,13-15.29-32)

Fratelli, a voi, genti, ecco che cosa dico: come apostolo delle genti, io faccio onore al mio ministero, nella speranza di suscitare la gelosia di quelli del mio sangue e di salvarne alcuni. Se infatti il loro essere rifiutati è stata una riconciliazione del mondo, che cosa sarà la loro riammissione se non una vita dai morti?
Infatti i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili!
Come voi un tempo siete stati disobbedienti a Dio e ora avete ottenuto misericordia a motivo della loro disobbedienza, così anch’essi ora sono diventati disobbedienti a motivo della misericordia da voi ricevuta, perché anch’essi ottengano misericordia.
Dio infatti ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per essere misericordioso verso tutti!

Paolo fa alcune considerazioni sul legame tra la missione ai pagani e la salvezza dei compatrioti.
L’apostolo da un lato afferma: “
come apostolo delle genti, io faccio onore al mio ministero” con la missione a favore dei pagani. Dall’altro lato è preoccupato per i connazionali che resistono nell’accogliere Cristo. Egli spera che il risultato della missione con i pagani susciti la gelosia “di quelli del mio sangue” e di “di salvarne alcuni”.
La gelosia sorge dall’intimo della persona quando altri la privano di qualcosa d’importante che le appartiene. La perdita è lutto, vuoto, tristezza e diminuzione del senso della vita. La gelosia suscita la reazione immediata – a volte anche violenta – per evitare la perdita. E Paolo ritiene che sia uno stimolo per la loro conversione a Cristo.
Punto di partenza è la fedeltà da parte di Dio alla promessa. Paolo è sicuro, per la fede, che la promessa si compirà, e afferma con determinazione che “
i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili!”. Pertanto ritiene impossibile che il popolo, ricevuto il dono e la chiamata, prima di altri lo perda, e non può credere che si salvino i pagani e costoro no. La salvezza è per gli uni e per gli altri.
L’apostolo ritiene che la disobbedienza di uno aiuta l’altro e viceversa. In primo luogo si rivolge ai pagani con queste parole: “
Come voi un tempo siete stati disobbedienti a Dio e ora avete ottenuto misericordia a motivo della loro disobbedienza”, ed evidenzia al popolo eletto che il suo sacrificio è per l’umanità e apre la porta della salvezza per tutti i popoli. È ciò che Paolo constata con la predicazione e l’adesione dei pagani a Cristo.
In secondo luogo Paolo rimane in attesa del processo inverso: “
così anch’essi ora sono diventati disobbedienti a motivo della misericordia da voi ricevuta, perché anch’essi ottengano misericordia”. I compatrioti, nel percepire la gloria di Dio donata ai pagani per la loro adesione a Cristo, mossi dalla gelosia sono in condizione di convertirsi a Cristo e sperimentare la misericordia di Dio nei loro confronti.
L’asse della dinamica è la misericordia di Dio, sostenuta dalla Sua volontà di salvare tutti. Paolo afferma esplicitamente: Dio “
vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità” (1Tm 2,4). E conclude: “Dio, infatti, ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per essere misericordioso verso tutti!”.
Che lo straniero sia motivo di conversione per il popolo eletto, erede della promessa, è la prospettiva che va molto oltre al pensiero e all’attesa dei connazionali di Paolo. Tuttavia è certezza e desiderio dell’apostolo che va oltre ogni immaginazione umana. Tale convinzione motiva in Paolo la dedicazione e la forza d’animo per far fronte a ogni tipo di prova e sofferenza.
Riprendendo la prima lettura, paradossalmente sono gli stranieri “
che hanno aderito al Signore”, nell’accettare il dono di Cristo offerto dalla sua morte e risurrezione. Costoro accolgono la giustizia di Dio nei loro confronti come realizzazione del Suo piano a favore dell’umanità intera.
Non è difficile percepire l’aspetto paradossale e ironico del discorso di Paolo: gli esclusi dal popolo eletto sono opportunità di salvezza del popolo eletto. È sorprendente constatare come Dio agisce in modo che tutti accedano alla salvezza, attraverso il coinvolgimento negli effetti dalla morte e risurrezione del Figlio, compimento della misericordia offerta a tutti indistintamente.
Salvezza e misericordia che presuppongono fiducia solida e determinata, come quella della donna cananea nel Vangelo odierno.

 

Vangelo (Mt. 15, 21-28) Adattamento dal commento di Alberto Maggi

In quel tempo, partito di là, Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidòne. Ed ecco una donna Cananèa, che veniva da quella regione, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio». Ma egli non le rivolse neppure una parola.
Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: «Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!». Egli rispose: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele».
Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo: «Signore, aiutami!». Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». «È vero, Signore – disse la donna –, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni».
Allora Gesù le replicò: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri». E da quell’istante sua figlia fu guarita.

Dopo il violento scontro con la commissione venuta da Gerusalemme, per aver contraddetto il libro del Levitico riguardo alla purezza legale che separa ciò che è puro dall’impuro, Gesù è costretto a rifugiarsi in un altro territorio per scampare al pericolo. Quindi “Partito di là, si ritirò verso il territorio di Tiro e Sidone” perché è in gioco la salvezza e l’accoglienza dell’avvento del regno di Dio.
“Ed ecco una donna Cananea, che veniva da quella regione, si mise a gridare: “Pietà di me Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio”. La donna, con l’affermazione “figlio di Davide”, pensa che Gesù sia il continuatore del re di Israele che instaurò il regno con violenza, sterminando e cacciando via tutte le popolazioni di quel territorio. Pertanto, ella considera la missione di Gesù limitata al popolo di Israele e del suo regno, come aveva fatto Davide.
La donna conosce qualcosa riguardo alla tradizione religiosa di Israele e, chiamandolo Signore, riconosce in lui un inviato da Dio che può aiutarla e afferma
: “Pietà di me”. Ella si considera inferiore, non appartenente a quella realtà ed esclusa dalla salvezza portata dal messia davidico. Nonostante ciò c’è in lei la caparbietà nel chiedere aiuto; c’è la presenza di Gesù Signore e chiede che intervenga per guarire la figlia.
Aspetto importante è che il brano mette al centro il colloquio di Gesù con una pagana, un soggetto da rigettare perché impuro. Per la cananea, in quanto pagana, impura e nemica del popolo di Israele, non era concesso alcun tipo di contatto, di avvicinamento con un’altra persona.
Gesù
“non le rivolse neppure una parola. Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!”. I discepoli ragionano come appartenenti al popolo superiore ai cananei e non è possibile che Gesù debba esaudire una pagana, una donna impura.
Gesù rispose:
“Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa di Israele”. La risposta fa cadere le braccia, non si comprende come Gesù possa usare queste risposte nei confronti della donna. Ma bisogna capire una cosa importante: l’atteggiamento di Gesù riflette quello dei discepoli ma, in tal modo, vuol far capire la mancanza di umanità racchiusa in una simile mentalità; non è che Gesù non voglia rivolgerle la parola! È un rifiuto apparente, per far comprendere come l’ideologia religiosa porta discriminazioni e ingiustizie nei confronti dei popoli ritenuti inferiori.
La donna non si tira indietro:
“Ma quella (è un termine un po’ dispregiativo) venne, si prostrò dinnanzi a lui, dicendo: “Signore aiutami!”. Prima aveva detto “abbi pietà”, ora dice “aiutami”. La donna ha capito una cosa importante: se mi rivolgo a lui come figlio di Davide non ho nessuna speranza, mi risponderà che è venuto per le pecore perdute della casa di Israele. È, ancora, la mentalità dei discepoli.
Questo è ciò che Gesù vuole insegnare, e il suo comportamento mira a far scattare la riflessione nella donna e nei discepoli. La donna intuisce che basta
riconoscere in lui un inviato da Dio e, in quanto tale, deve darle aiuto. Ella “si prostra”: tale comportamento rimanda ai Magi, i primi pagani, che si prostrarono davanti a Gesù.
La risposta che Gesù dà alla donna “
non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa di Israele” è vera solo in parte; Gesù risponde: “Non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini”. È un’altra sferzata alla cananea: “Cane, cagnolini” era un termine fortemente ingiurioso per indicare pagani ed avversari.
I pagani e gli avversari di Israele erano cani; trattare qualcuno come un cane significava considerarlo escluso dal regno di Dio. Nella tradizione biblica i figli hanno diritto al pane, i figli sono quelli che dominano le nazioni, invece i pagani sono i dominati.
Non c’è nessuna uguaglianza tra figli e cani, cioè i pagani, perché sono impuri e portatori del demonio. Non si può dare il pane dei figli ai cani, agli impuri, perché il pane è soltanto per coloro che fanno parte dell’Alleanza, e che si impegnano ad osservare le norme della purezza rituale.
La risposta spietata di Gesù alla donna fa comprendere quanto sia inumana l’ideologia giudaica, che divideva la gente tra chi era meritevole di aiuto e chi no. Era un’ideologia che fomentava discriminazione razziale e religiosa tra i popoli.
Gesù pone fine alla parola religione, ma ancora oggi si vedono la discriminazione, la divisione tra i popoli, gli effetti terribili causati dalla religione. Con questo atteggiamento sconcertante Gesù prepara i discepoli ad un episodio in cui verrà dato il pane ai pagani: la condivisione dei pani con le folle pagane.
“È vero Signore – disse la donna – eppure i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni”. La donna ha capito dove vuole arrivare Gesù e dice: “È vero Signore”, e non chiede più niente perché, nonostante le divisioni religiose che ci possono essere, non si nega a nessuno un segno di amore, di bene. Pur mantenendo ciò che ci distingue, non si può negare la compassione verso l’altro. La donna è sulla stessa lunghezza d’onda di Gesù, esprimono lo stesso concetto.
Prima ha patito una situazione di inferiorità nei confronti di Gesù, ora ha capito cosa significa mettere al primo posto il bene e la compassione; e che non si può negare a nessuno un gesto di umanità pur nel rispetto delle differenze religiose o altre. La compassione va al primo posto, e quel che cade dalle tavole, quello che i figli rifiutano o non calcolano, è un minimo gesto di umanità che deve essere dato anche a noi. C’è per noi una speranza.
La compassione verso l’altro, chiunque esso sia, porta allo stesso livello di Dio, alla piena comunione con Lui. La donna ha capito l’insegnamento di Gesù, i discepoli no. Dalle parole della donna si comprende quel che Gesù ha detto in anticipo: “
i pagani verranno dall’oriente e dall’occidente e si siederanno alla mensa del regno con Abramo, Isacco e Giacobbe”.

La donna ha capito che i pagani, i cani, non solo non devono ricevere le briciole, ma si siederanno con pieno diritto alla mensa del regno. È la grande novità del messaggio di Gesù. Comprende questo perché ciò che conta è la compassione e il bene dell’altro: quando c’è la capacità di rivolgere all’altro un gesto di vita, si superano le barriere religiose, i pregiudizi razziali.
Gesù prova un senso di ammirazione per lei:
“Allora Gesù replicò: “Donna, grande è la tua fede!”. La donna ha superato la situazione di inferiorità creata dalla religione ed è arrivata, come persona matura, a comprendere che può porsi nello stesso rapporto con Dio, dal momento che rivolge agli altri la stessa capacità d’amore che Dio rivolge agli uomini in piena adesione con Lui.
È la fede che Gesù ammira nella donna.
“Avvenga per te come desideri. E da quell’istante sua figlia fu guarita”. Gesù non fa nulla nei confronti della figlia della donna, tutto è incentrato sul dialogo tra loro, e la donna comprende l’insegnamento di Gesù: quel che ci rende puri, in sintonia con Dio per poter ricevere i suoi benefici, è la compassione e il bene per l’altro, ossia donare e prolungare vita all’altro. L’accoglienza del messaggio di Gesù, come ha fatto la donna, libera dai pregiudizi e, nel caso della Cananèa guarirà la figlia.
La figlia è immagine della società prostrata da un’ideologia, da un modo di pensare che mantiene differenze dal punto di vista religioso, sociale, politico. Quando la donna capisce che queste differenze si possono superare, ponendo in pratica l’insegnamento nuovo che mette al centro il bene dell’altro, la figlia guarisce, viene liberata dai pregiudizi, dalle tradizioni che teneva il popolo in uno stato di prostrazione indemoniata. Il demonio è immagine di tutto ciò che può alienare, prostrare la persona.
Al cospetto di Dio non ci sono discriminazioni, non ci sono impuri e puri, non ci sono persone allontanate perché indegne di ricevere i suoi doni. Mentre i discepoli si manifestano refrattari verso il loro Maestro, i pagani sono aperti e accoglienti verso la proposta di Gesù.
È importante comprendere il significato di quest’episodio, che si inserisce nel discorso di annullare sia le norme dell’impurità sia una religione che si riteneva superiore alle altre, perché tutti i popoli possono essere beneficiari della salvezza portata da Gesù.