Padre Luigi Consonni

Prima lettura (Dn 7,9-10.13-14)

Io continuavo a guardare,
quand’ecco furono collocati troni
e un vegliardo si assise.
La sua veste era candida come la neve
e i capelli del suo capo erano candidi come la lana;
il suo trono era come vampe di fuoco
con le ruote come fuoco ardente.
Un fiume di fuoco scorreva
e usciva dinanzi a lui,
mille migliaia lo servivano
e diecimila miriadi lo assistevano.
La corte sedette e i libri furono aperti.
Guardando ancora nelle visioni notturne,
ecco venire con le nubi del cielo
uno simile a un figlio d’uomo;
giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui.
Gli furono dati potere, gloria e regno;
tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano:
il suo potere è un potere eterno,
che non finirà mai,
e il suo regno non sarà mai distrutto.
 

Io continuavo a guardare, quand’ecco furono collocati troni e un vegliardo si assise (…) mille migliaia lo servivano e diecimila miriadi lo assistevano. La corte sedette e i libri furono aperti (i libri del giudizio) mentre i troni si riferiscono a quelli delle quattro bestie, simboli dei quattro regni che hanno dominato il piccolo popolo d’Israele: il leone, che rappresenta Babilonia, l’orso che rappresenta il popolo della Media, il leopardo con quattro teste, simbolo dei Persiani che scrutano in ogni direzione in cerca della preda; la quarta bestia, un mostro terribile, richiama il regno di Alessandro Magno e dei suoi successori.
Daniele traccia il senso della storia che ha sempre tormentato gli ebrei, in particolare nel II secolo a.C., che subivano l’oppressione culturale e religiosa di Antioco IV Epifane, il quale tentava di far penetrare la cultura ellenistica, quindi pagana, anche in Palestina, ma si scontrava con i partigiani della tradizione ebraica, con il risultato che la società, in Palestina, era fortemente divisa e contrapposta.
Quando si giunse alla crisi e allo scoppio della rivolta i fedeli tradizionalisti ebbero la meglio. Tutto questo portò a rileggere la storia di Israele, e del mondo allora conosciuto, cercando di individuare con quale logica Dio avesse tenuto le redini del tempo e le sorti d’Israele.
Israele ebbe il suo momento di gloria al tempo di Davide e Salomone ma ben presto si era diviso in sé stesso. Poi erano giunti i primi conquistatori, gli Assiri, quindi i Babilonesi, poi ancora i Persiani, e infine i Greci. Ma ecco che, proprio quando l’oppressione si era fatta più dura, un manipolo di eroi fedeli alla Legge riesce ad avere il sopravvento e riprendere il controllo della Terra Promessa.
Nella visione appare il Vegliardo, circondato da miriadi di esseri celesti. Egli siede sui loro troni, giudica i regni e li fa concludere nel tempo e nella morte. Appare, accanto, un nuovo sovrano, 
“con le nubi del cielo, simile a un figlio di uomo”.
Viene dal cielo e non dagli abissi dell’oceano, come le bestie detronizzate. Riceve i poteri regali su tutti i popoli della terra e il suo regno non avrà fine: “Gli furono dati potere e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano”. Lungo la storia prende forma l’attesa messianica, aperta al futuro, che prepara ad accogliere l’Inviato del Signore, il Re Messia. Di fatto, Gesù applicherà a sé stesso l’espressione “figlio dell’uomo”, nel comprendere sia l’aspetto umano della sofferenza (Lc 22,22), sia quello più divino della facoltà di rimettere i peccati (Lc 5,24), sia quello conclusivo della storia escatologica nel presente, con l’avvento del regno (Lc 4,21), l’ultimo e definitivo della vita.
Perciò “
il suo potere è eterno, che non finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto”. Dio stesso, Signore della storia, intesse i fili del tempo presente con l’avvento del Suo Regno, avvalendosi del Figlio e dello Spirito Santo – le sue due mani – nel progetto di riscattare l’umanità, la persona e il creato nell’orizzonte della nuova vita, la cui qualità raggiunge il culmine nell’instaurare e consolidare nuovi rapporti interpersonali di fraternità e solidarietà, con coraggio e creatività, per l’evolversi del progresso umano e delle nuove condizioni personali e sociali.
Nuova vita nei rapporti fra gruppi sociali, etnie, nazioni e l’umanità in generale, per l’audace proposito di instaurare leggi, stili di vita e la crescita della giustizia e del diritto, nel rispetto delle società e in attenzione alle diversità culturali e religiose.
Nuova vita per il rispetto e conservazione del patrimonio ecologico – il creato, il giardino dell’Eden – che Dio ha affidato alla cura dell’umanità.
Nuova vita che si riassume nel permanente avvento del Regno Dio nell’oggi e che non sarà interrotto dalla morte ma, al contrario, continuerà verso orizzonti senza fine.
La nuova vita dell’esperienza istantanea, puntuale, sorprendente e coinvolgente della trasfigurazione di sé e della storia. Essa è accessibile per la corretta azione del discepolo che percepisce la portata della vita autentica nel controluce del mistero di Dio. È come percepire la filigrana del francobollo in trasparenza e che ne garantisce l’autenticità. Ma c’è dell’altro. La trasparenza coinvolge nello stupore di Colui che è presente e oltre la trasparenza stessa.
È il tema della seconda lettura e del vangelo.

 

Seconda lettura (2Pt 1,16-19)

Carissimi, vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del Signore nostro Gesù Cristo, non perché siamo andati dietro a favole artificiosamente inventate, ma perché siamo stati testimoni oculari della sua grandezza.
Egli infatti ricevette onore e gloria da Dio Padre, quando giunse a lui questa voce dalla maestosa gloria: «Questi è il Figlio mio, l’amato, nel quale ho posto il mio compiacimento». Questa voce noi l’abbiamo udita discendere dal cielo mentre eravamo con lui sul santo monte.
E abbiamo anche, solidissima, la parola dei profeti, alla quale fate bene a volgere l’attenzione come a lampada che brilla in un luogo oscuro, finché non spunti il giorno e non sorga nei vostri cuori la stella del mattino.

Pietro si rivolge alla comunità: “Carissimi, vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del Signore nostro Gesù Cristo (…) perché siamo stati testimoni oculari della sua grandezza”. Il testo riprende la sua esperienza “su un alto monte” – luogo della rivelazione di Dio – con davanti a sé il quadro completo della potenza e grandezza del Gesù storico che, con la consegna per la causa del Regno, è costituito con la risurrezione Gesù Cristo, nostro Signore.
Questo perché Gesù sceso dal monte, luogo della trasfigurazione, ordina ai tre discepoli: “Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti”. Con il senno di poi, Pietro rafforza l’argomentazione facendo riferimento ai profeti e legando l’evento alla tradizione d’Israele: “E abbiamo, anche, solidissima, la parola dei profeti, alla quale fate bene a volgere l’attenzione come lampada che brilla in un luogo oscuro, finché non spunti il giorno e non sorga nei vostri cuori la stella del mattino”.
L’esperienza personale, la rilettura e reinterpretazione dei profeti, il passaggio dall’oscurità – la notte dell’incapacità di comprendere il tradimento – al lento e graduale processo di comprensione della grandezza dell’evento pasquale e dell’insegnamento, della filosofia di vita, della pratica e delle azioni di Gesù, lo porta ad affermare l’emergere “nei vostri cuori la stella del mattino”, il giorno escatologico, l’ultimo e definitivo della vita.
Gesù, nello svolgimento della missione, percepisce il crescere delle ostilità nei suoi confronti, l’incomprensione e lo sconcerto dei discepoli per l’insegnamento e la pretesa messianica dell’avvento del Regno.

 

Vangelo (Mt 17,1-9) – adattamento dal commento di Alberto Maggi

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui.
Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo».
All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo.
Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».

Pietro, pur avendo capito che Gesù è figlio del Dio Vivente, protesta di fronte al programma dello stesso Dio, giudicando demoniaca l’idea che il Messia debba morire. Gesù lo chiama satana e lo invita a tornare dietro a lui; ciò accade perché il discepolo rifiuta il concetto di portare avanti il Regno di Dio senza basarsi sul dominio, ma sul servizio. È da considerare che, nelle tentazioni, Gesù è portato dal diavolo sul monte e gli ha fatto brillare davanti agli occhi l’ipotesi del potere, ma Gesù rifiuta.
Ora Gesù porta i suoi tentatori sul monte e fa loro vedere come si raggiunge la condizione divina. “
E dopo sei giorni” – chiave di lettura per comprendere l’episodio – il sesto giorno è il giorno della creazione dell’uomo, nel quale Dio manifesta la sua gloria. Con esso Matteo fa comprendere che in Gesù si realizza pienamente il disegno creatore di Dio, e in questo progetto manifesta la sua gloria.
Gesù, prese, con sé il Pietro – chiamato pietra, testa dura – con Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte (…)”. I tre personaggi rappresentano i tentatori di Gesù, sono i diavoli del brano evangelico perché dominati dall’idea di potere e di successo (sono gli stessi che chiamerà con sé nel Getsemani), e non capiscono come la morte di Gesù possa essere soltanto un passaggio verso una vita piena. Per essi la morte di Gesù è la fine di tutto.
(…) su un alto monte in disparte”; il che non è un privilegio ma un rimprovero per l’ostinazione a non comprendere. “E fu trasformato davanti a loro”. Non è che Gesù si trasforma, si trasfigura: l’espressione fu trasformato indica che in Gesù opera un’azione da parte di Dio che manifesta, nella sua pienezza, l’azione creatrice.
e il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. La grande difficoltà dei discepoli è il non capire la morte di Gesù; per loro la morte è la fine della persona e non riescono a comprendere perché, per Gesù, ci debba essere lo scontro con le autorità fino al punto di dover morire. Gesù, in questa visione, dimostra loro qual è la condizione dell’uomo che passa attraverso la morte, mentre per essi la morte è l’annientamento della persona; dimostra che la morte, invece, è l’esplosione della pienezza della persona, che diventa come mai avrebbe potuto essere durante la vita, durante la sua esistenza.
Gesù fu trasformato dall’azione creatrice da parte di Dio:
splendette il suo volto come il sole” – che sta ad indicare la pienezza della condizione divina -. Per Pietro il programma di Gesù non veniva da Dio, era un programma demoniaco, per questo aveva sgridato Gesù come Gesù sgrida i demoni.
Gesù è trasformato davanti a loro e il suo volto splende come il sole, perché in Lui si manifesta la pienezza della condizione divina, che non è una sua esclusiva prerogativa ma una possibilità per tutti i credenti. Gesù nel suo annuncio ha detto:
i giusti splenderanno come il sole, ossia tutti coloro che gli danno adesione, passando attraverso la morte, non vengono ingoiati dalle tenebre ma splendono come il sole, il massimo della brillantezza.
Le vesti candide come la luce” sono le stesse dell’angelo del Signore che annuncia la risurrezione. (Una parentesi. Nella liturgia dei defunti si dice che la vita non è tolta, ma trasformata). Gesù dimostra qual è la condizione dell’uomo che passa attraverso la morte, per cui la trasfigurazione è un’anticipazione della resurrezione.
La morte non diminuisce la persona ma la trasforma, consentendogli di manifestare uno splendore impossibile da raggiungere durante l’esistenza terrena.
Ed ecco (è una sorpresa), apparve loro, (a Pietro, Giacomo e Giovanni), Mosè ed Elia, che conversavano con lui”. Insieme a Gesù compaiono i personaggi principali della legge: Mosè (la legge) ed Elia (il più grande dei profeti), quali massimi rappresentanti della storia del passato di Israele. La presenza di questi personaggi si deve al fatto che Gesù aveva detto: “non pensate che io sia venuto a distruggere la legge e i profeti”, perché non è venuto a distruggere le promesse dell’Antico Testamento contenute nella legge e nei profeti ma a portarle a compimento, alla pienezza. La legge e i profeti si possono comprendere soltanto alla luce dell’insegnamento di Gesù e non possono più essere presi come norma di comportamento per la comunità cristiana.
Pietro reagì, (l’evangelista fa comprendere che ciò che dice Pietro non è una cosa buona, ma negativa, altrimenti avrebbe usato il nome Simone). “… disse a Gesù: “Signore, è bene per noi che stiamo qui! Se vuoi farò qui tre capanne; una per te, una per Mosè, e una per Elia””. Ancora una volta Pietro continua a svolgere il suo ruolo di diavolo tentatore del suo maestro, e ancora continua a non essere la pietra su cui costruire la comunità di Gesù. Il suo comportamento continua a seguire il pensiero e la tradizione degli uomini, non quello di Dio.
C’era un’attesa spasmodica della manifestazione del Messia, perché si credeva, e così si insegnava, che il Messia si sarebbe manifestato all’improvviso, durante la Festa delle Capanne. Il tentatore Pietro dice a Gesù: facciamo tre capanne: una per te, una per Mosè e una per Elia.
Ma come in un quadro, quando ci sono tre personaggi, al centro c’è sempre il personaggio più importante, al centro non c’è Gesù, ma Mosè. Pietro non dice facciamo tre capanne una per Mosè, una per te, una per Elia, ma una per te, una per Mosè e una per Elia. L’evangelista fa comprendere la forte resistenza della comunità dei giudei, che era radicata tenacemente nella legge di Mosè e non poteva comprendere come la legge, sulla quale si era costituito il nucleo principale della loro religione, non avesse per Gesù più nessun valore, e che Gesù l’avesse sostituita.
Fino all’ultimo tentano di mettere la legge al primo posto, e lo sappiamo dagli Atti degli Apostoli. La tensione provocò anche una crisi nella Chiesa primitiva, perché si riteneva che la legge fosse venuta da Dio, e tutto quello che viene da Dio non può essere cambiato. Ecco la tentazione di Pietro: io voglio un Messia (è la festa delle capanne) secondo la legge di Mosè (al centro c’è la legge di Mosè), perché la tradizione diceva che il Messia avrebbe dovuto spiegare la legge di Mosè che, tuttavia, era ormai diventata un guazzabuglio.
Pietro sta ancora parlando e viene interrotto dallo Spirito Santo! Lo Spirito Santo non è mai d’accordo con quello che Pietro sta dicendo. “
Stava ancora parlando, quando una nube luminosa” – che rappresenta la presenza di Dio – “li avvolse con la sua ombra, ed ecco una voce dalla nube che diceva: Questi, (esclude ogni altro personaggio) è il Figlio mio”; figlio non significa soltanto nato da qualcuno, ma colui che assomiglia a qualcuno.
La nube luminosa è la presenza di Dio che interrompe lo sproloquio di Pietro e dice: questo è il Figlio mio, tradotto:
il mio unico erede.
In merito all’appellativo “
l’amato” è bene sapere che, nella cultura ebraica, non significa un figlio più amato degli altri, ma colui che ereditava tutto; a quell’epoca il primogenito ereditava tutto dal Padre: “nel quale mi sono compiaciuto”. Nell’affermazione “questi è mio Figlio” c’è tutta la mia pienezza, tutta la mia eredità. L’ordine è imperativo: “Lui ascoltate”: è un ammonimento severo da parte di Dio, perché nella comunità dei giudei, rappresentata da Pietro, si ascolta ancora la legge di Mosè, si ascoltano ancora le azioni dei profeti.
Dio stesso prende l’iniziativa, e non è una proposta ma un ordine imperativo:
Lui ascoltate, gli altri no! Matteo invita la sua comunità a prendere definitivamente le distanze da Mosè legislatore e da Elia profeta riformatore, per fissare tutta l’attenzione in Gesù, l’unico che deve essere ascoltato perché è il solo che riflette, pienamente, la volontà di Dio.
Gesù diventa la norma per l’interpretazione dell’Antico Testamento.
Le richieste di perdono da parte della Chiesa per gli errori che ha compiuto, sono dovute al fatto che si è appoggiata sull’Antico Testamento e non sul Nuovo. Non ci si poteva appoggiare sul messaggio di Gesù per mettere a morte le persone, ma sulla legge del taglione, sulla legge di Mosè. Per certe aberrazioni, anche teologiche, la Chiesa non si poteva basare sul messaggio di Gesù, ma sulla legge di Mosè.
Questo è un monito attuale più che mai, perché da sempre ci sono gruppi che sono tentati di valorizzare certe norme dell’Antico Testamento e farle integrare pienamente nella comunità cristiana.
Anche se va di moda pagare la decima, l’osservanza del sabato, o altro, Dio stesso dice no! Ciò non ha più diritto di cittadinanza nella comunità cristiana. Quello che Mosè ha detto o ha scritto, se è compatibile con l’annuncio di Gesù va preso, il resto va conservato come patrimonio storico, va conosciuto per comprendere meglio il mondo di Gesù, ma non è più norma di comportamento nella comunità cristiana, compresi i comandamenti.
Gesù nel vangelo, ha sostituito i dieci comandamenti con le otto beatitudini. È Gesù stesso, al capitolo 5, che ne prende le distanze: vi è stato insegnato che …, ma io vi dico che…
Ad udire ciò, i discepoli (letteralmente) caddero sulla loro faccia”; Pietro, Giacomo e Giovanni cadono sulla faccia e, nella bibbia, ciò indica un segno di sconfitta: la sconfitta delle loro ambizioni.
Pensavano di seguire un Dio sulla linea della legge di Mosè e con lo zelo violento di Elia, e la voce di Dio dice: “
Lui ascoltate”. Cadere sulla faccia è un segno di sconfitta e quel che è più grave, “si impaurirono molto” perché l’Antico Testamento diceva: nessun uomo può vedermi e stare vivo. Vedere Dio, partecipare ad una manifestazione divina, indicava il perdere la vita. Qui i discepoli di Gesù, ai quali Egli ha mostrato la vera immagine di Dio e ha proposto un Padre ricco di tenerezza, di amore e di premure verso i suoi, per il condizionamento della legge mosaica, di fronte alla manifestazione divina, anziché provare ringraziamento ed esultanza, sono assaliti da profonda paura. E l’evangelista vuol far comprendere quanto è difficile abbandonare, sradicare certe abitudini.
Ma Gesù si avvicinò e toccatili, come ha toccato gli infermi e i morti per restituire loro la vita, disse: “Alzatevi e non abbiate paura”. Gesù farà quest’invito ad alzarsi anche nel Getsemani. Li voleva portare con sé e loro, invece, fuggono precipitosamente quando vedono che viene arrestato, quando si accorgono che non si difende.
Veramente Pietro ci ha provato e si era portato una spada e, quando hanno arrestato Gesù, ha tagliato un orecchio al servo del sommo sacerdote, Mt.26,51. Ma quando vede che Gesù non approva il gesto, anzi lo rimprovera, scappa via con gli altri: è la fine delle loro ambizioni.
I tre discepoli fanno una fine tragica. Pietro non compare più dopo il tradimento e piange amaramente, non per il pentimento, ma per la disperazione, la delusione, perché ha visto sconfitte le sue ambizioni. Lo stesso accade ai due discepoli Giacomo e Giovanni: dopo la richiesta di avere i posti d’onore, quando vedono che a destra e a sinistra di Gesù sono crocefissi due malfattori.
Sollevando gli occhi non videro più nessuno, se non Gesù solo”. I discepoli cercano ancora Mosè, cercano ancora Elia, che danno loro la sicurezza di potersi radicare nella tradizione, ma non vedono se non Gesù, come aveva detto la voce: Lui solo dovete ascoltare. In quest’episodio della trasformazione Gesù anticipa la condizione della resurrezione, che non diminuisce l’uomo ma lo potenzia, ed ha la pienezza della condizione divina.
È importante, per la comunità cristiana, l’ordine imperativo dato da Dio: è Lui che bisogna ascoltare e deve essere messo come pietra fondante della comunità. Il profeta Geremia mette in bocca a Dio queste parole
: Hanno abbandonato me fonte di acqua viva per andarsi a dissetare a cisterne screpolate che non tengono l’acqua. Quando si ascolta e si possiede la parola di Gesù, non c’è bisogno di altre parole o di altre chiacchiere. Quando non si conosce la parola di Gesù ci si può perdere in altre chiacchiere e in altre parole.
Mentre essi discendevano dal monte, Gesù comandò loro: “Non parlate a nessuno di questa visione,” – l’evangelista parla di visione per far comprendere che si tratta di un episodio che appartiene non alla storia, ma alla teologia – “prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti”. Loro hanno visto Gesù nell’aspetto glorioso, ma Gesù ha capito che i discepoli non hanno compreso il significato profondo dell’esperienza, da cui la raccomandazione: non dite a nessuno di quanto accaduto se non dopo che sarò risuscitato dai morti.
Una volta che Gesù è risuscitato, che è passato attraverso la morte, capiranno che per avere la condizione gloriosa bisogna passare attraverso la morte, (per Gesù la morte infamante della croce), ma se lo avessero detto prima si sarebbe pensato che si trattasse di una condizione che Gesù già possedeva. E qui c’è lo sconcerto e la protesta da parte dei discepoli.