Nella Storia della Salvezza san Giuseppe occupa un posto tutto particolare, adombrato anche dal significato che il suo nome suggerisce: «Dio aggiunga». E, infatti, Dio è stato generoso con lui, facendolo capo della Santa Famiglia, sposo di Maria e padre verginale di Gesù. Giuseppe vi ha risposto come uomo «giusto» (colui che ascolta con fede e si conforma pienamente alla parola di Dio) e «saggio» (colui che è fedele alla vocazione di padre che educa e protegge Gesù) .

San Daniele Comboni è entrato in questa visione evangelica e ha riservato a san Giuseppe un posto particolare nella sua vita spirituale e quindi nella spiritualità della missione. Il significato di questo posto può essere riassunto in due sue espressioni; nella prima ci comunica la sua esperienza tessendo «la poesia delle grandezze di san Giuseppe», nella seconda completa questa poesia, affidando i propri Istituti di Verona e il nuovo rettore destinato a dirigerli ai «tre cari oggetti del nostro amore»: Gesù, Maria e Giuseppe.

 

1. “La poesia delle grandezze di san Giuseppe”

Nella vita spirituale e missionaria di san Daniele Comboni, accanto a Maria ha un posto di rilievo anche la figura di san Giuseppe.

Comboni è entrato in comunione con san Giuseppe fin dal periodo della sua formazione giovanile presso l’Istituto Mazza, dove entrò nel 1843. Nella Chiesa dell’Istituto dedicata a san Carlo, ha iniziato a contemplare quel quadro che don Mazza vi aveva posto per simboleggiare «le principali devozioni» che «voleva istillare ai giovani: in mezzo il Sacro Cuore di Gesù e il Cuore Immacolato di Maria con a fianco san Giuseppe. Forse nasce già da qui il fatto che negli Scritti di Comboni appare con frequenza il riferimento a S. Giuseppe in unione ai Cuori di Gesù e Maria.

Questo periodo è fondamentale per capire il modo con cui Comboni si rapporta con san Giuseppe. Nato, infatti, in una famiglia povera ed educato in un Istituto povero sotto lo sguardo di san Giuseppe, si è trovato a dover fondare la sua opera praticamente “dal nulla”. Trovandosi quasi solo ad organizzare un’opera colossale, divenne per lui ovvio, nella sua logica di fede, rivolgersi fiduciosamente a S. Giuseppe, sceglierlo quale Economo della Missione, rivolgendosi a lui con disinvolta confidenza ogni volta che si trova in necessità.

Per tanto, non è difficile notare che i testi, in cui Comboni esprime il suo rapporto con san Giuseppe, trovano la loro radice spirituale nella formazione religiosa ricevuta in Verona. In essi sviluppa il senso della Provvidenza inculcatogli nell’Istituto Mazza, trovando molto concretamente in san Giuseppe il celeste e sicuro strumento di essa. Questo dato è indispensabile per capire che il modo di esprimersi di Comboni su san Giuseppe è sempre complessivo, cioè non è mai limitato a interessi puramente materiali, ma nasce sempre da un rapporto fatto di “spirito e fede” e si estende al campo spirituale e missionario.

Questo rapporto si è approfondito dopo che Pio IX, durante il Concilio Vaticano I, l’8 dicembre 1870, ha proclamato S. Giuseppe Patrono della Chiesa universale.

Da quest’ atto del Magistero il particolare rapporto di Comboni con san Giuseppe prese maggior consistenza. Comboni, infatti, vedeva la Missione in funzione della Chiesa e, quindi per lui, se san Giuseppe era “Protettore della Chiesa universale”, lo era anche della Nigrizia.

Da questo momento Comboni comincia a venerarlo come “Protettore della Chiesa Cattolica e della Nigrizia”, e a maggior ragione lo conferma quale Economo della Missione, precisando così quella profonda fede nella Provvidenza che da giovane l’aveva sempre animato.

Per tanto, a partire dalla sua intensa devozione personale e in armonia con la tradizione ecclesiale per Comboni san Giuseppe è Protettore, Patrono, Patriarca, Papà della Nigrizia, Re dei galantuomini, ecc.

Verso la fine della vita, in una lettera inviata al Sembianti dal El-obeid il 20/4/1881, parla della «poesia delle grandezze di san Giuseppe»:

«Mi dimenticai sempre di pregarla a ritirare da Monsig. Stegagnini … le diverse copie delle due Operette sul S. Cuore e su S. Giuseppe che compose e mi regalarono e mi mandarono appena uscite alla luce le sorelle Girelli di Brescia. Di più bramerei che ciascun missionario e ciascuna Suora dell’Africa Centrale possedesse e si familiarizzasse bene con questi due stupendi libri (oltre il Kempis ed il Rodriguez) per conoscer bene le ricchezze del Cuore di Gesù Cristo e la poesia delle grandezze di S. Giuseppe.

Questi due tesori uniti alla fervorosa divozione della gran Madre di Dio, Immacolata moglie del grande Patrono della Chiesa Universale e della Nigrizia, sono un talismano sicuro a chi è occupato degli interessi dell’anime nell’Africa Centrale qui in mezzo alle anime d’ambo i sessi di questi paesi, e danno il coraggio ed accendono la carità di trattare familiarmente e con disinvoltura [le anime della Nigrizia] per convertirle a Cristo ed alla Madonna» (Al P. Sembianti, dal El-Obeid, 20/4/81, S 6652-6653).

 

Questo testo è molto significativo in quanto ci aiuta a capire in profondità il vissuto di Comboni nella sua relazione con san Giuseppe. Essendo poi scritto verso la fine della sua vita e riferito ai suoi missionari/e, assume quasi il significato di testamento spirituale per tutti i missionari comboniani di ogni tempo.

In particolare l’espressione «la poesia delle grandezze di san Giuseppe” ci fa capire che S. Giuseppe nella vita e nella preghiera di Comboni è molto di più che “l’Economo celeste” della Missione, anche se questa espressione proviene già da un cuore mosso da “spirito e fede”; ci fa capire che sulla ripetitività delle formule di preghiera di domanda emerge in Comboni la profondità del suo affetto verso san Giuseppe, in un contesto di comunione, stima e fiducia, che lo porta a collocarlo tra “i tesori” della sua vita, accanto al Cuore di Gesù e al Cuore di Maria.

Per leggere in profondità l’affetto di Comboni nella sua comunione con questo tesoro che è S. Giuseppe, ci può aiutare il seguente testo di J. Benigne Bossuet, che sembra riecheggiare nelle parole di Comboni:

«Dio cercava un uomo secondo il suo cuore per mettergli nelle mani quello che aveva di più caro: voglio dire la persona del suo Figlio unico, l’integrità della sua santa Madre, la salvezza del genere umano, il segreto più geloso del suo consiglio, il tesoro del cielo e della terra. Non sceglie Gerusalemme e le altre città rinomate: si ferma su Nazaret; e in questo borgo sconosciuto cerca un uomo ancor più sconosciuto, un povero lavoratore, cioè Giuseppe, per affidargli una missione, della quale gli angeli si sarebbero sentiti onorati, perché noi comprendiamo che l’uomo secondo il cuore di Dio deve essere cercato nel cuore, e che sono le virtù sconosciute quelle che lo rendono degno di questa lode.

Se mai ci fu un uomo al quale Dio si è dato con piacere, costui è senza dubbio Giuseppe, che lo tiene nella sua casa e nelle sue mani, e che gli è presente in tutte le ore, maggiormente nel cuore che davanti agli occhi… La Chiesa non ha niente di più illustre, perché non ha niente di più nascosto».

 

Certamente Giuseppe emerge nel cuore di Comboni dalla “nube di testimoni” (cfr. Eb 12,1) come il “tipo” dell’uomo credente, che incarna il mistero della Provvidenza divina (S 314), la quale governa con il suo «patrocinio universale» l’intera Storia della Salvezza. Egli è l’uomo silenzioso, che medita, obbedisce e tace, in una totale disponibilità al disegno di Dio su di lui, che lo fa “modello” del missionario della Nigrizia, che Comboni descrive nel Cap. X delle Regole del 1871: «La vita di un uomo, che in modo assoluto e perentorio viene a rompere tutte le relazioni col mondo e colle cose più care secondo natura, deve essere una vita di spirito, e di fede» (S 2698).

Il vissuto di Comboni si traduce nel non domandare « a Dio le ragioni della Missione da lui ricevuta, ma opera sulla sua parola, e su quella de’ suoi Rappresentanti, come docile strumento della sua adorabile volontà» (S 2702).

Giuseppe, esaurito il ruolo di conoscere il mistero dell’Incarnazione e di attuarlo, inserendo Cristo nel popolo della salvezza, si eclissa. E il missionario «in ogni evento ripete con profonda convinzione e con viva esultanza: servi inutiles sumus; quod debuimus facere fecimus. Luc. XVII» (S 2702).

Comboni, dopo aver fatto sua la “filosofia della Croce” (S 2326), vedendo in essa la sua “sposa per sempre” (S 1710), dopo averne profondamente sentito il peso, mentre intorno a sé vi è il buio e l’isolamento morale più assoluto, proferisce parole che testimoniano l’autenticità del suo apostolico eroismo, fondato su una fede pura e su un amore ardente per l’Africa da salvare, che lo assimilano al Trafitto sulla Croce:

«Benché sia certo di soccombere fra breve a tante croci, che mi pare in coscienza di non meritare, pure sia sempre benedetto il mio Gesù, vero vindice dell’innocenza, e protettore degli afflitti; la Nigrizia si convertirà, e se nel mondo non avrò consolazione, l’avrò in cielo. Vi è Gesù, Maria, Giuseppe, e se vengono meno gli uomini non verrà meno Dio che salverà la Nigrizia» (A P. Sembianti da El Obeid, 9 luglio 1881, S 6815).

 

Avviene in Comboni proprio così come avvenne per Giuseppe, il quale visse la sua vicenda terrena inabissato nell’adorazione di Dio, a cui si affidava totalmente, e insieme impegnato quotidianamente nel duro lavoro materiale, e prima che si compisse il mistero del “suo Figlio”, prima che Gesù consumasse la sua Missione sulla Croce, aveva già preso sopra di sé il peso di un destino e di una missione simile a quella di Gesù.

Comboni canta «la poesia delle grandezze di san Giuseppe”, anzitutto con la fiducia nella sua protezione; una fiducia spinta fino all’audacia ed espressa in termini pieni di entusiasmo:

«Lode e Gloria ai SS. Cuori di Gesù e di Maria, a S. Giuseppe…» (Dossologia finale del Piano, 1864, S 846)

«Il Vicariato dell’Africa Centrale, grazie alla poderosa assistenza dell’inclito Patriarca S. Giuseppe, che dell’Africa Centrale divenne il vero Economo, dopo che il Santo Padre lo proclamò Protettore della Chiesa Cattolica, non mancherà mai di sufficienti risorse» (Relazione al card. A. Franchi, Roma, 29 giugno 1876, S 4170).

«Ieri fu un giorno felice, perché ho potuto parlar chiaro a S. Giuseppe. Capisco che bisogna essere arditelli con questo benedetto Santo» (A mons. Luigi di Canossa da Vienna, 20 marzo 1871, S 2416).

«S. Giuseppe è stato, è e sarà sempre il Re dei galantuomini, ed un maestro di casa, ed un Economo di molto giudizio, ed anche di buon cuore» (Al card. Alessandro Barnabò da El Obeid, 12 ottobre 1873, S 3434).

«Viva S. Giuseppe, Protettore della Chiesa universale, ed economo della Nigrizia» (Al card. Alessandro Franchi da Khartoum, 26 giugno 1875, S 3849).

«S. Giuseppe è il vero papà della Nigrizia» (Al Card. A. Franchi 1876, S 4025).

«Tutta la nostra fiducia è riposta nel SS. Cuore di Gesù, in Nostra Signora del S. Cuore, in S. Giuseppe…» (A Leone XIII, 1878, S 5216)

 

Comboni canta ancora «la poesia delle grandezze di san Giuseppe”, perché trova in lui uno stile esemplare di «sequela di Cristo», il quale «da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà» (2Cor 8,9):

«Oh! San Giuseppe fu povero per provvedere agli altri» (S 1516). E ancora: «Il mio economo, benché sia stato molto povero in vita sua, ora essendo l’arbitro dei tesori del Cielo, non ha mai mancato di aiutarmi» (S 3520).

 

È uno stile praticato da Comboni: sempre mendicante in terra per donare all’Africa “fede cattolica e civiltà cristiana» (S 6214), adesso – possiamo dire – pratica in cielo il proposito così vivacemente espresso al Canossa:

«Quando poi saremo in Paradiso…, allora colle nostre incessanti preghiere metteremo in Croce Gesù e Maria, … fino a che quanto prima sieno convertiti alla fede i cento milioni dell’infelice Nigrizia» (Al Card. Canossa, 1871, S 2459).

 

Avere eletto S. Giuseppe come economo della Missione non era per Comboni solo una pia considerazione, ma una realtà di fatto in cui credeva e confidava, come lo dimostra il seguente testo:

«Non è però che l’abbia risparmiata al mio caro economo S. Giuseppe, al quale m’ero raccomandato per un prospero viaggio dal Cordofan a Chartum. Questo caro Santo, avendo lasciato che io cadessi così terribilmente dal cammello, l’ho tassato ben bene con la multa di mille franchi in oro ogni giorno che io dovessi portare al collo il mio braccio; e siccome io fui costretto a portare al collo il braccio per 82 giorni, senza aver potuto dir messa eccetto solo cinque volte, così il mio venerato economo rimase condannato a pagarmi la multa di 82.000 franchi; per lo che il giorno di S. Faustino e Giovita Protettori della nostra cara Diocesi Bresciana (82° giorno della mia terribile caduta nel Deserto) tirai sopra il caro Santo una Cambiale di quattromila e cento Marenghi pagabili a sei mesi; e già fin d’ora m’accorgo che il bravo Economo fà, come il solito, onore alla mia firma, poiché da quel giorno fino ad oggi che scrivo a Vostra Eccellenza incassai n. 38.706 franchi in oro, tra i quali vi sono 5000 fiorini speditimi da quel miracolo di carità che è S. M. Apostolica l’Imperatrice Maria Anna e l’Imperatore Ferdinando I da Praga, 4000 franchi da quel gioiello di vero Principe cattolico che è S.A.I. e R. il Duca di Modena Francesco V da Vienna.

Il mio economo poi, benché sia stato molto povero in sua vita, ora essendo l’arbitro dei tesori del Cielo, non ha mai mancato di aiutarmi; ed in soli sei anni e mezzo dacché cominciai l’Opera mi ha fornito di 600.000 franchi, cioè, mi ha pagato cambiali per trentamila Marenghi. L’assicuro, Monsignore, che la Banca di S. Giuseppe è più solida di tutte le Banche di Rothschild. Intanto senza trovarmi con un solo centesimo di debito, questo bravo economo mantiene per la Nigrizia due Case a Verona, due al Cairo, due a Chartum e due in El Obeid capitale del Cordofan con oltre 100.000 (centomila) abitanti, ove per la prima volta si è celebrata la messa e vi è adorato Gesù Cristo nel 1872» (A mons. Girolamo Verzieri, vescovo di Brescia, da Khartoum, 10 marzo 1874, S 3519-3520).

 

La fiducia nell’intervento provvidenziale di S Giuseppe si fa certezza, perché fondata sulla promessa evangelica che Dio esaudirà la preghiera fatta con le dovute disposizioni:

«Il mio compianto Superiore, che mi fu Padre per 24 anni, fin da fanciullo, e che morì in concetto di santità, Don Nicola Mazza, diceva sempre che Cristo è un galantuomo; ciò che io sempre interpretai che al petite, quaerite, pulsate, pronunciati e ripetuti con le debite condizioni, corrisponde sempre, come il tasto di un pianoforte, il verbo accipietis, invenietis ed aperietur.

Ora ai 12 Maggio, festa del mio Economo S. Giuseppe, sacra al suo Patrocinio, io gli ho intimato in tutte le forme, che entro il 31 Dicembre prossimo mi mandi in diverse rate 100.000 franchi (centomila). L’Eminenza Vostra, se Dio mi darà vita, avrà la relazione ufficiale, che S. Giuseppe me li ha mandati (S 5361).

Di più nella Festa del Patrocinio di S. Giuseppe gli ho intimato che entro un anno (cioè, entro il 31 maggio 1879) mi accordi il pareggio vero, reale e perfetto delle finanze del Vicariato; non già come il pareggio millantato e mai ottenuto dei finanzieri del così detto Regno d’Italia, ma vero pareggio, cioè totale estinzione di tutti i debiti, e di qualsiasi passivo, oltre al necessario abbondante per sostenere il Vicariato e sue Opere. Di tutto questo, se vivrò, riceverà regolare relazione Vostra Eminenza entro il caro mese del S. Cuore di Gesù del venturo anno. Le croci, le afflizioni, le tribolazioni sono necessarie, e rassodano e fanno prosperare le Opere di Dio: e la mia opera è Opera di Dio (S 5362).

Benché sia vero tutto questo e benché io sia sicuro che succederà quanto ho asserito testé, non posso però dissimulare di aver molto patito e sofferto per tutte le tribolazioni enunciate» (Al card. Giovanni Simeoni da Khartoum, 23 agosto 1878, S 5363).

 

La fiducia in S. Giuseppe è fede nella Provvidenza, che certamente non mancherà a un’opera così santa, qual è la salvezza della Nigrizia:

«Come mai si potrà dubitare della Provvidenza divina, e di quella del solerte Economo S. Giuseppe, che in soli otto anni e mezzo, ed in tempi si calamitosi e difficili, mi mandò più di un milione di franchi per fondare ed avviare l’opera della Redenzione della Nigrizia in Verona, in Egitto e nell’Africa interna? I mezzi pecuniari e materiali per sostenere la Missione sono l’ultimo dei miei pensieri. Basta pregare… Che se succedesse un cataclisma in Francia, in Prussia e in Austria, allora coll’Africa Centrale subirebbero la medesima sorte tutte quasi le Missioni del mondo. Allora rimarrà sempre S. Giuseppe trionfatore di tutti i cataclismi dell’universo; e per mio conto la speranza rimarrà sempre inconcussa» (Relazione al card. Alessandro Franchi, Roma, 29 giugno 1876, S 4171, 4175).

 

La terribile carestia del 1878 mette a dura prova l’economia della missione, ma non infirma in alcun modo la fiducia nell’Economo celeste, che, nonostante tutto, farà quadrare i bilanci:

«Ho esaurito tutte le mie risorse, e ho trovato oltre a quarantamila franchi di debito (S 5185) … Stia certa l’Eminenza Vostra che S. Giuseppe mi otterrà il “pareggio”, non già il pareggio ampollosamente promesso dai Minghetti, dai Lanza, dai Sella, dai Depretis, e da altri della mangiatoia italiana, ma il “vero pareggio”, cioè, la Missione non avrà un centesimo di debito, e continuerà il suo corso verso l’alta sua meta» (Al card. Giovanni Simeoni da Khartoum, 1 giugno 1878, S 5186).

 

La fiducia di Comboni in S. Giuseppe si estende dal campo temporale anche a quello spirituale e missionario. La protezione di san Giuseppe abbraccia la missione e gli Istituti fondati per la Missione:

«Ho ferma speranza nel Divin Cuore di Gesù, che palpitò anche pella Nigrizia, in nostra Signora del Sacro Cuore, e in quel mio caro economo ed amministratore generale dell’Africa Centrale, S. Giuseppe protettore della Chiesa cattolica, nella cui barba vi sono milioni, e può soccorrere quest’ardua, laboriosa, ed importante missione, perché il suo Gesù è morto anche per la Nigrizia… Gesù Maria, e Giuseppe batteranno al cuore dei buoni cattolici» (Al Can. Cristoforo Milone, 1878, S 5437).

«Il mio caro Economo S. Giuseppe, dopo diligentissimo esame, spero che mi abbia fatto la grazia di trovare un santo ed abilissimo Rettore dei miei Istituti Africani di Verona, nel che mi coadiuvò molto la esimia carità dell’E.mo Card. di Canossa». (Al card. Giovanni Simeoni da Verona, 16 gennaio 1880, S 5897).

 

Nel far coraggio al rettore P. Giuseppe Sembianti, Comboni cerca di trasfondergli quella fiducia verso S. Giuseppe che sente viva nel proprio cuore:

«Mio caro Padre, coraggio, e avanti, e non si sgomenti, e sostenuto dal Cuor di Gesù (a cui dedico la Chiesa che ora voglio fabbricare qui al Cairo fra l’Ist.o maschile e il femminile, e della quale il dì del natale prossimo metterò la prima pietra, e tutto è già scavato), da N. S. del Sacro Cuore, dal nostro caro Beppo economo …. noi riusciremo a tutto. Io non temo dell’Universo intero. Si tratta degli interessi di Gesù e della Chiesa, e noi riusciremo a divenire non dispregevoli pietre del fondamento del grande edificio della Chiesa africana… Quanto ai mezzi pecuniari in Verona, non ci pensi nulla, Beppo sarà là ad aiutarla nel bisogno» (Al P. Sembianti, 17/12/1880, S 6172.6182)

 

La fiducia soprannaturale in S. Giuseppe spinge Comboni a non temere nulla sulla terra, perché si sente al servizio di un’Opera tutta di Dio:

«Non ho paura di nessuno al mondo, fuorché di me stesso, che esamino ogni giorno, e raccomando fervidamente al Cuore di Gesù, di Maria, e di Giuseppe; conosco assai bene i nemici della mia opera; e non ho nessun timore di essi… perché le Opere di Dio, che hanno per oggetto la divina gloria e la salute dell’anime, devono passare pel crogiuolo della Croce, che sola è simbolo di salute e di vittoria» (Al card. Simeone, 1881, S 6437).

 

La grande fiducia non toglie a Comboni la consapevolezza di trovarsi in situazione particolarmente difficile, essendo il vescovo più isolato del mondo, nell’impossibilità, per le enormi distanze, di aver un consiglio dai fratelli nell’episcopato. Ma appunto per questo, in forza della sua fede, sa trovare in alto i suoi consiglieri:

«La mia posizione è … critica perché nessuno al mondo mi può dare un consiglio esatto e definitivo, e neanche proprio dritto la stessa Propaganda, perché l’Africa Centrale è affatto diversa dal resto del mondo… Ma su ciò io son pienamente tranquillo perché mi consiglio col Signore, colla Madonna, e con S. Giuseppe, che nell’Africa mi hanno sempre assistito, e non hanno mai permesso che io sbagli una sola volta, benché in Europa, ove non si conosce l’Africa, si creda altrimenti. Ma avanti, e coraggio…» (Al P. Sembianti, 5. 3. 1881, S 6523-6524).

 

Nei momenti in cui la sofferenza morale si fa più acuta, l’invocazione si fa accorata, ma sempre fiduciosa:

«Ma io sono troppo infelice. Gesù mi aiuterà certo, la Vergine Immacolata e S. Giuseppe mi aiuteranno: ringrazio Gesù delle croci, ma la mia vita è un oceano di affanni procuratimi da chi è buono e mi ama… Ma l’Africa sarà convertita, viva Noè, e Gesù aiuterà a portare la Croce» (Al P. Sembianti, giugno 1881, S 6795-6796).

 

Negli ultimi giorni della sua vita Comboni rianima ancora il rettore P. Sembianti a una fiducia di stampo evangelico, fondata su un profondo amore verso Gesù:

«Confidenza in Dio! che è sì rara anche nelle anime pie, perché si conosce e si ama poco Dio e Gesù Cristo. Se si conoscesse e si amasse davvero G. C., si farebbero trasportare i monti…. Le dico ciò per avvertirla ad avere fiducia ferma e risoluta in Dio e nella Madonna e in S. Giuseppe… Modicae fidei, quare dubitasti?.. Ella faccia di tutto, e faccia pregare S. Giuseppe ad hoc» (Al P. Sembiati 13.91881, S 7062-7063.7067).

 

2. I «tre cari oggetti del nostro amore»: Gesù, Maria e Giuseppe

La profonda inserzione della figura di Giuseppe nel vissuto di Comboni emerge ancora dalla constatazione che, salvo qualche caso, Giuseppe mai è nominatola da solo, e neppure «accanto» agli altri membri della «Sacra Famiglia», ma egli è normalmente nominato «unito a Gesù e Maria», con i quali costituisce «una Triade santissima» e Comboni li venera insieme come i «tre cari oggetti del nostro amore». Un testo caratteristico in tal senso è quello in cui Comboni affida a S. Giuseppe i propri Istituti di Verona e il nuovo rettore destinato a dirigerli:

«Al Bambinello Gesù (che non diventa mai vecchio) ed alla sua Mamma Regina della Nigrizia, ed al mio caro economo S. Giuseppe (che non muore mai, né fa mai bancarotta, ma sa sempre amministrar bene e con molto giudizio, ed è perfetto galantuomo), a questi tre cari oggetti del nostro amore io fo una novena, per ottenere la grazia che prima dello Sposalizio della B. V. M. (23 corr.), o per quel santo giorno, il caro Nones P. Sembianti sia installato nel suo importante ufficio di Rettore degli Istituti Africani di Verona e S. Giuseppe, che è il tipo dei galantuomini, non mi ha mai negato nessuna grazia temporale; ma unito a Gesù e Maria, forma una Triade santissima che non negherà certo questa grazia spirituale che domando» (S 5891).

«Non ho parole che bastino per ringraziare Gesù, Maria, e Giuseppe pella grazia segnalatissima accordata all’infelice Nigrizia di trascegliere l’ammirabile suo Istituto per cooperare sì efficacemente e poderosamente all’apostolato dell’Africa Centrale» (S 5866).

 

Il rapporto di Comboni con la Sacra Famiglia, iniziato negli anni della formazione nell’Istituto Mazza, si approfondisce con il pellegrinaggio in Terra Santa e poi in Egitto, dove la Sacra Famiglia guidata da Giuseppe, fugge dalla persecuzione di Erode e dimora per 7 anni.

Nel pellegrinaggio in Terra Santa Comboni che la “visita”, rimane chiaramente “visitato” dai misteri della vita di Cristo che si sono realizzati in quei Luoghi. Ne sono un segno le lettere scritte ai genitori sul viaggio a Gerusalemme e la “Lettera Pastorale per la Consacrazione del Vicariato al S. Cuore”.

In questa Lettera, infatti, Comboni presenta il Cuore di Cristo nel suo cammino di amore per l’umanità dalla “sacra culla di Betlemme” al sepolcro del Crocifisso-Risorto in Gerusalemme:

“Questo Cuore adorabile divinizzato per l’ipostatica unione del Verbo con l’umana natura in Gesù Cristo Salvatore nostro, scevro mai sempre di colpa e ricco d’ogni grazia, non vi fu istante dalla sua formazione, in cui non palpitasse del più puro e misericordioso amore per gli uomini. Dalla sacra culla di Betlemme s’affretta ad annunziare per la prima volta al mondo la pace: fanciulletto in Egitto, solitario in Nazaret evangelizzatore in Palestina divide coi poveri la sua sorte, invita a sé i pargoli e gl’infelici conforta, risana gl’infermi e rende agli estinti la vita; richiama i traviati e ai pentiti perdona; morente sulla croce mansuetissimo prega pei suoi stessi crocifissori; risorto glorioso manda gli Apostoli a predicare la salute al mondo intero” (S 3323).

 

In questo testo, in cui Comboni descrive il Mistero globale del Cuore di Cristo, costituito dall’Incarnazione-Esistenza-Pasqua del Signore, è evidente il riferimento alla Sacra Famiglia, indicata dalla “sacra culla”, dalla figura di Gesù “fanciulletto in Egitto”e “solitario in Nazaret”.

Dietro questa descrizione non è difficile ascoltare la eco del suo pellegrinaggio a Betlemme, dove protagonista del Mistero contemplato è appunto la Sacra Famiglia. È significativo il fatto che i sentimenti che Comboni condivide con i suoi genitori di fronte a quella “sacra culla”, mettono in rapporto la “grotta fortunata”e “beata” di Betlemme con il Calvario. Così la casa che ospita i Tre santi personaggi, si proietta verso il sepolcro e l’altare del sacrificio, culmine della manifestazione dell’amore di Dio per l’umanità, che comincia a manifestarsi proprio in seno alla Sacra Famiglia:

« Finalmente giungemmo alla sera tardi in Betlemme. Mio Dio! ove mai volle nascere Gesù Cristo? Ancora quella sera volli discendere alla Grotta fortunata, che vide nascere il Creatore del mondo. Vi entrai, e quantunque la nascita sia più gioconda della morte, nulladimeno restai più commosso che sul Calvario, nel pensare alla degnazione di un Dio che si esinanì fino a nascere in quella stalla. (S 111).

Io vi celebrai Messa la notte seguente; e mi fu caro di trattenermi fino alla mattina in questa beata grotta, che forma la delizia del cielo. (S 112)

Tra il luogo dei Magi, e il luogo del Presepio (che è a Roma) v’è il luogo ove sedeva Maria Vergine dopo che adagiò il Bambino nel presepio. Io mi sedetti pure, e poi baciai mille volte quel luogo. Baciai quasi tutta la grotta; né sapea distaccarmi, perché veramente faceami risvegliare quel beato momento in cui ebbero luogo in questa grotta i misteri della natività di N. S. G. C.» (S 113).

 

A questo punto è interessante rilevare come il pellegrinaggio alla grotta di Betlemme può aver evocato in Comboni le sue umili origini di « un povero figlio di uno scartator di Limone, nato nelle grotte, e vissuto all’ombra di S. Carlo, che ha mangiato per molti lustri la proverbiale polenta » (S 4680; cfr. anche S 642; 981-982).

In effetti, la casa al Teseul dove egli è nato, lontana dall’abitato, in una frazione isolata di Limone, un paese altrettanto isolato, è paragonabile alla grotta di Betlemme. In questa casa, circondata da luoghi agresti dominati da prati e da campi di olivi, Comboni si è inoltrato nell’avventura della vita, sostenuto dalle cure amorevoli di papà Luigi, “giardiniere”, e di mamma Domenica, “casalinga”, che si distingueva per la sua delicatezza e la sua religiosità.

Il ricordo di essere nato nelle grotte non è dovuto alle sole condizioni materiali dell’abitazione, ma anche al fatto che in casa sua si respirava l’aria evangelica della grotta dei pastori, e anche della casa di Nazaret. Con papà Luigi e mamma Nina legatissimi a lui, il quarto di otto figli, morti tutti quasi in tenera età, formavano una famiglia unita, ricca di fede e valori umani; vivevano occupati nei vari lavori propri dei contadini, radicati nella confidenza in Dio e nella sua Provvidenza.

La formazione spirituale ricevuta da Comboni in casa è frutto di questa sintonia spirituale tra i suoi genitori, che sfociava in un amore familiare fondato su una grande fede in Dio. Nei suoi genitori questa fede diviene coinvolgimento nella vocazione missionaria del loro unico figlio, e in lui certezza della vocazione e unità di misura per verificare la sua fedeltà ad essa; l’esempio del loro sacrificio nel donare il figlio alle missioni diviene in lui sprone a dedicarsi con altrettanta generosità ai fratelli dell’Africa.

Comboni incontra ancora la Sacra Famiglia e il ruolo provvidenziale di san Giuseppe al Cairo, in occasione delle prime fondazioni (1867). Si tratta degli Istituti del Cairo, chiamati: Istituto Sacro Cuore di Gesù, filiale dell’Istituto di Verona (S 2895) e Istituto del Sacro Cuore di Maria:

«Ho preso a pigione … il Convento dei Maroniti a Cairo Vecchio che ha annessa una casa antica, a cento passi dalla grotta della B. V. M., ove è tradizione che abbia dimorato la S. Famiglia durante il suo esilio in Egitto. Nelle due case che divide una Chiesa abbastanza comoda ho aperto ed iniziato due piccoli Istituti, che camminano per grazia di Dio assai bene». (S 1578).

L’Istituto del Sacro Cuore di Maria per la rigenerazione dell’Africa è affidato alle Suore di S. Giuseppe dell’Apparizione:

«Non dobbiamo forse in tutto ciò ammirare l’adorabile Provvidenza, che scelse precisamente le Figlie di S. Giuseppe come le prime direttrici del nostro primo Istituto per la conversione dell’Africa? Una serie di circostanze provvidenziali ha fatto nascere quest’opera nella famosa terra dei Faraoni, a pochi passi dalla S. Grotta, dove quel grande Patriarca è vissuto colla sacra Famiglia, e la sua presenza durante sette anni ha fatto crollare gli idoli di Egitto ed ha fondato al posto di essi la fede in Gesù Cristo e un seminario di vita religiosa, che produce tanti eroi per il Cielo, e diffondendosi ovunque, ha abbellito la Chiesa cattolica di tanti modelli di virtù. Per mezzo delle sue opere meravigliose e le sue gloriose conquiste in tutto l’universo, ha coronato con trionfi la Chiesa in tutti i tempi e la coronerà fino alla fine del mondo» (S 1804).

 

Scrivendo al Card. Franchi nel 1874 poteva affermare che i “buoni effetti” che si registravano in questo Istituto andavano attributi in primo luogo alla «protezione provvidenziale di S. Giuseppe», ma anche all’«amore e fiducia che esse nutrivano vivissima per questo caro Santo loro padre» (S 3672).

In questi Istituti Comboni si impegna a far respirare l’aria salutare della Sacra Famiglia, dove si vive in maniera sublime il mistero della comunione con Dio. Egli, infatti, svolge il servizio di animatore che, tra elementi “tutti eterogenei”, è chiamato a creare “perfetta armonia, e ridurre ad unità di intenti e di bandiera” (S 2508).

Siamo in presenza del «Cenacolo di Apostoli» abbozzato sulle orme della Sacra Famiglia, che gradualmente si va traducendo in vita di comunione, all’insegna della prima comunità cristiana:

«Noi quattro siamo un cuor solo, un’anima sola: l’uno va a gara per compiacere l’altro: io so e sono convinto di non essere degno nemmeno di baciare i piedi a’ miei compagni; ma essi sono tanto buoni e caritatevoli che non solamente mi compatiscono, ma mi circondano del rispetto e dell’amore dovuto a un superiore: essi sono compresi dell’altezza della divina missione che vanno a compiere. (S 1507).[…] Noi siamo in un Eden di pace: quello che vuole l’uno vuol l’altro (S 1562). […] Le Suore sonno animate da uno spirito ottimo, esemplari nella loro vita religiosa e piene di dedizione e di zelo per l’opera nostra. E noi da parte nostra non tralasciamo di fortificarle nella loro vocazione» (S 2523).

 

In questo «Cenacolo di Apostoli» in fieri appare chiara l’identità del Missionario: colui che vive una “vita di spirito e di fede” in un clima di famiglia creato mediante un forte vincolo di “familiarità” con Dio, affinché possa vivere il “suo essere consacrato” per il servizio del Regno con totale e perseverante dedizione:

«Siamo tutti disposti, o Eminenza, di morire anche martiri della Fede; ma vogliamo morire con giudizio, e con sommo giudizio, cioè coll’operare saviamente per la salvezza dell’anime le più derelitte della terra, ed esporci per esse ai più grandi pericoli della vita con quella prudenza, discrezione, e magnanimità, che si addice ai veri apostoli e martiri di Gesù Cristo (S 2225).

 

Si profilano qui due modelli ispiratori della comunità nella nostra Regola di Vita, che fanno parte del fondamento del “Cenacolo di Apostoli”, pensato da san Daniele e denominato nella Regola di Vita «Comunità di fratelli» (RV 10-12).

 

***

 

A SAN GIUSEPPE, CUSTODE DI GESÙ

Preghiera di Giovanni XXIII

 

San Giuseppe, custode di Gesù,

sposo di Maria,

che hai trascorso la vita

nell’adempimento perfetto del dovere,

sostentando col lavoro delle tue mani

la Sacra Famiglia di Nazareth,

accompagnaci nella nostra Missione.

Anche Tu hai sperimentato la prova,

la fatica, la stanchezza;

ma il tuo animo, ricolmo della più profonda pace,

esultò di gioia

per l’intimità con il Figlio di Dio a Te affidato

e con Maria sua Madre.

Aiutaci a comprendere

che non siamo soli nel nostro lavoro,

e ottieni che nella nostra Comunità

tutto sia santificato nella carità,

nella pazienza, nella giustizia,

nel servizio missionario

e nella ricerca del bene. Amen.

[Da: La Famiglia Comboniana in preghiera, p. 426s].

 

P. Carmelo Casile

Casavatore (NA), Marzo 2012