1. Marta, che scopre la Vita

 

La Parola di DioGiovanni 11, 1-54

Pregare il testo:

  • Entro in preghiera.
  • Mi raccolgo immaginando il cammino di Gesù verso il villaggio e dal villaggio alla tomba.
  • Chiedo ciò che voglio: credere alle parole di Gesù, risurrezione e vita di chi crede in lui.
  • Contemplo di seguito le varie scene, specie Gesù e Marta.

 

Da notare:

  • Maria, Marta e Lazzaro di Betania
  • Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro
  • Marta va incontro a Gesù
  • Se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto. Ma so che Dio ti concede quanto gli chiedi.
  • Risorgerà tuo fratello.
  • So che risorgerà nell’ultimo giorno
  • Io sono la risurrezione e la vita
  • Chi crede in me, anche se muore, vivrà
  • Chiunque vive e crede in me non morirà in eterno
  • Credi questo?
  • Credo che tu se il Cristo, il Figlio di Dio
  • Marta chiama Maria, che va veloce da Gesù

 

Altri testi utili:

 

Sal 16; 23; 1Re 17, 17-24; 2Re 4, 18-37; 2Mac 7, 1ss; Is 25, 6-12; Ez 37, 1-14; Sap 3, 1-9; 4, 7-19; 5, 15s; Gv 5, 24-29; 6, 48-58; Mc 5, 21-43; Lc 7, 11-17; 1Cor 15, 1ss; Rm 6, 1-11.

 

 

  • E così per sempre saremo con il Signore

Ogni volta che ci troviamo di fronte alla nostra morte, o a quella di una persona cara, sentiamo che la nostra fede viene messa alla prova. Emergono tutti i nostri dubbi, tutta la nostra fragilità, e ci chiediamo: «Ma davvero ci sarà la vita dopo la morte…? Potrò ancora vedere e riabbracciare le persone che ho amato…?». Questa domanda me l’ha fatta una signora pochi giorni fa in un’udienza, manifestando un dubbio: “Incontrerò i miei?”.

Anche noi, nel contesto attuale, abbiamo bisogno di ritornare alla radice e alle fondamenta della nostra fede, così da prendere coscienza di quanto Dio ha operato per noi in Cristo Gesù e cosa significa la nostra morte. Tutti abbiamo un po’ di paura per questa incertezza della morte. Mi viene alla memoria un vecchietto, un anziano, bravo, che diceva: “Io non ho paura della morte. Ho un po’ di paura a vederla venire”. Aveva paura di questo.

Quando si parla di speranza, possiamo essere portati ad intenderla secondo l’accezione comune del termine, vale a dire in riferimento a qualcosa di bello che desideriamo, ma che può realizzarsi oppure no. Speriamo che succeda, è come un desiderio. Si dice per esempio: «Spero che domani faccia bel tempo!»; ma sappiamo che il giorno dopo può fare invece brutto tempo… La speranza cristiana non è così. La speranza cristiana è l’attesa di qualcosa che già è stato compiuto; c’è la porta lì, e io spero di arrivare alla porta. Che cosa devo fare? Camminare verso la porta! Sono sicuro che arriverò alla porta. Così è la speranza cristiana: avere la certezza che io sto in cammino verso qualcosa che è, non che io voglia che sia. Questa è la speranza cristiana. La speranza cristiana è l’attesa di una cosa che è già stata compiuta e che certamente si realizzerà per ciascuno di noi.

Anche la nostra risurrezione e quella dei cari defunti, quindi, non è una cosa che potrà avvenire oppure no, ma è una realtà certa, in quanto radicata nell’evento della risurrezione di Cristo. Sperare quindi significa imparare a vivere nell’attesa. Imparare a vivere nell’attesa e trovare la vita. Quando una donna si accorge di essere incinta, ogni giorno impara a vivere nell’attesa di vedere lo sguardo di quel bambino che verrà. Così anche noi dobbiamo vivere e imparare da queste attese umane e vivere nell’attesa di guardare il Signore, di incontrare il Signore. Questo non è facile, ma si impara: vivere nell’attesa. Sperare significa e implica un cuore umile, un cuore povero. Solo un povero sa attendere. Chi è già pieno di sé e dei suoi averi, non sa riporre la propria fiducia in nessun altro se non in sé stesso.

Una cosa che a me tocca tanto il cuore è un’espressione di san Paolo, sempre rivolta ai Tessalonicesi. A me riempie della sicurezza della speranza. Dice così: «E così per sempre saremo con il Signore» (1 Ts 4,17). Una cosa bella: tutto passa ma, dopo la morte, saremo per sempre con il Signore. È la certezza totale della speranza.                                                                                           – Papa  Francesco, 1 febbraio 2017