Durante la veglia pasquale abbiamo ripercorso la storia della salvezza, dalla creazione alla resurrezione, perché i due estremi sono connessi. La resurrezione è il compimento di quel dono di vita che Dio ha fatto all’uomo all’inizio della creazione. Essa ci ricorda che non siamo fatti semplicemente per evolvere biologicamente e poi morire, ma per compiere una sorta di “salto” evolutivo, innalzarci alla vita di Dio e trovare in Dio la nostra realizzazione finale. L’uomo con il peccato aveva compromesso questo disegno divino che a causa della morte diventa irriconoscibile. Ecco allora che la resurrezione restituisce luce alla nostra esistenza ed alla nostra storia. Noi valiamo infinitamente di più di quello che appare e se Dio può tirare la vita anche dalla nostra morte allora non c’è più un limite umano, una sofferenza, un fallimento che non possa trovare riscatto nel disegno di amore del Padre. Il sepolcro vuoto suggerisce alla nostra fede qualcosa di estremamente profondo. Mentre il corpo risorto di Cristo annuncia la sua Resurrezione, il sepolcro vuoto parla della nostra resurrezione. Gesù non aveva bisogno di rotolare la pietra per uscire dal sepolcro. Essa è stata rotolata per noi affinché ci rendessimo conto che Gesù risorto non è semplicemente passato ad una vita “al di là della morte”, ma è tornato a noi, viene incontro e noi e diventa una presenza invisibile nella nostra vita “al di qua” della morte. Se vivessimo regolarmente consapevoli di questa presenza quali energie di resilienza, di creatività, di impegno per la vita di tutti si sprigionerebbero nei nostri cuori e nelle nostre comunità. Eppure, continuiamo a pensare che alla fine non resta altro che una vita che muore. Come doveva suonare strana la domanda dell’angelo alle donne: “Perché cercate tra i morti colui che è risorto. Non è qui.” Siamo così abituati a non cercare niente di più e niente altro in questo mondo se non una vita che muore, che la resurrezione rimane totalmente fuori dai nostri orizzonti mentali. E poiché crediamo che la vita che muore sia l’unica che vale la pena cercare, ignoriamo o addirittura scappiamo da situazioni che implichino anche solo un minimo di sofferenza, cediamo a qualsiasi compromesso pur di ottenere qualche soddisfazione, ci rassegniamo a vivere senza amare fino alla fine perché pensiamo che in fondo, alla fine c’è solo la morte. Gli stessi discepoli non potevano ancora comprendere il mistero di una vita che muore e risorge. Eppure, tutte le scritture e lo stesso Gesù lo avevano predetto: “Il figlio dell’uomo deve soffrire, morire e quindi risorgere’. Il Figlio dell’uomo viene a vivere nel mondo proprio per attraversare la morte ed annunciare una vita nuova. In Gesù la vita che non muore si unisce alla nostra vita che muore, si immerge invisibilmente nella nostra realtà quotidiana e si fa “presenza” efficace fino alla fine dei tempi. Dobbiamo solo imparare a risettare il nostro cuore abituato a cercare solo “la vita che muore”. A cercare la vita di Cristo risorto che non è tra i morti, ma è già dove siamo noi. Cristo è risorto. Cristo è presente. Sempre ed ovunque. La Pasqua è l’annuncio sconvolgente che la vita eterna è accaduta ed illumina coloro che ancora vivono all’ombra della morte. Il sepolcro aperto ci invita a credere che la vita risorta non è solo quella futura ma è già quella presente “svuotata” della morte, cioè, resa libera dalla paura, dalla stanchezza, dalla pigrizia, dalla ricerca inutile e disperata di salvare se stessi. Non sapete ricorda San Paolo che siamo stati uniti alla morte di Cristo?  Non sapete che, per il mistero pasquale, anche noi siamo entrati in un sepolcro aperto per uscirne come vivi tornati dai morti. La vita eterna è già accaduta e riaccade ogni giorno se viviamo consapevoli della presenza del risorto e quindi disposti a rischiare di amare un po’ più generosamente di coloro che vivono prigionieri della paura di morire, di soffrire, di donarsi.