Questa Domenica si chiama anche “Dominica in albis” e cioè Domenica durante la quale si deponevano le vesti bianche, indossate dai catecumeni, la notte di Pasqua, durante il loro battesimo. I neofiti (= nuovi battezzati) erano ora invitati a sperimentare, dopo il Battesimo, la vita dei Cristiani con la ricezione dei Sacramenti e la partecipazione all’Eucaristia per intero. Infatti, fin che erano catecumeni, non potevano stare con i battezzati per tutta la Messa. Dopo l’omelia appunto venivano allontanati. Da qui l’espressione: “Ite, Missa est” (= andate, ora c’è la Messa). Così ci spiega sant’Agostino (354-430). Ora la frase “Ite, Missa est”, dopo la riforma del Concilio Vaticano II (1962–1965) indica piuttosto: “Andate ad annunciare il Vangelo, con la vostra vita”.
In questa Domenica, per volontà di Papa Giovanni Paolo II, a partire dal 20 aprile 2000, si parla anche di “Domenica della Divina Misericordia”, secondo i desideri della Suora polacca, santa Faustina Kowalska (1905-1938). Ma per noi il fondamento della misericordia di Dio, ci viene manifestato da Gesù, con le celebri tre parabole che troviamo nel Vangelo di Luca: la pecora perduta, la moneta persa, il padre misericordioso (Luca 15, 1-32).
I Padri della Chiesa (Santi Pastori e Dottori dei primi secoli) chiamavano, la settimana successiva alla Settimana Santa, la “Settimana della Mistagogia”, cioè il tempo dell’esperienza graduale di tutto ciò che si è vissuto durante il Triduo Pasquale.
Il Vangelo di oggi ha uno scopo preciso: quello di farci capire che ora siamo invitati a credere in Gesù, appoggiandoci alla testimonianza degli Apostoli. Infatti Gesù ha detto a Tommaso: “Perché mi hai visto, hai creduto: beati quelli che non hanno visto e hanno creduto” (Giovanni 20, 29). La Chiesa infatti, secondo il testo del Credo che recitiamo ogni Domenica, è “apostolica”, cioè basata sulla testimonianza degli Apostoli che, come dice san Giovanni, sono i veri testimoni: “Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della Vita…noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. E la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo Gesù Cristo” (1 Giovanni 1, 1-3).
Dice il Vangelo di oggi che la sera di Pasqua l’apostolo Tommaso non era con gli altri. Forse aveva più coraggio e non temeva le minacce delle autorità che volevano condannare a morte Gesù. Infatti quando il Maestro decise di tornare a Gerusalemme per veder il suo amico Lazzaro, già nella tomba, nonostante gli avvertimenti minacciosi delle autorità, egli esclamò: “Andiamo anche noi a morire con lui!” (Giovanni 11, 16). Tornato Tommaso, gli altri gli dicono: “Abbiamo visto il Signore!”. Ma egli esclamò: “Se non vedo nelle sue mani l’impronta dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e la mia mano nel suo fianco, non crederò affatto!” (Giovanni 20, 25). Sembra che sia messa in risalto l’incredulità di Tommaso. Anche il pittore Caravaggio (1571-1610), nel suo celebre quadro, la pensa così. Ma non è così. Tommaso voleva dire solamente: “Magari! Fosse vero!”. Otto giorni dopo, Gesù si manifesta di nuovo agli Apostoli (continua il testo del Vangelo) e Tommaso era con loro. Otto nella Bibbia significa sempre Messia, anche se in cifre. Così si vuole farci capire che Gesù è davvero il Messia. Anche la cadenza settimanale della Domenica (di 8 giorni in 8 giorni) ci aiuta ad approfondire la nostra fede in Gesù che è Messia o Cristo. Il Concilio Vaticano II definisce la Domenica appunto la “Pasqua della settimana”. Il Signore apparendo dice: “Pace a voi!”. Anche la sera di Pasqua Gesù si rivolge agli Apostoli con questo saluto. Pace in ebraico si dice: “Shalom”. Non è solamente il saluto abituale come da noi: “Ciao!”. Shalom indica la pienezza della benedizione messianica, con tutti i beni che la Pasqua di Gesù ha portato a noi. Come la vittoria sul peccato e sulla morte. Ora possiamo vivere nella vera pace, perché siamo tutti figli e figlie di Dio, che è il Padre di tutti, come il Signore ci ha rivelato. Ogni volta che celebriamo l’Eucaristia, facciamo memoria di Gesù, agnello pasquale, che, donando la sua vita sulla Croce, manifesta il suo amore e ci dona il suo Spirito.
Dopo il saluto agli Apostoli, Gesù si rivolge a Tommaso e gli dice: “Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco. E non essere incredulo, ma credente!” (Giovanni 20, 27). Rispose Tommaso: “Mio Signore e mio Dio!”. E’ questa la più alta espressione di fede in Gesù come Cristo e come Figlio di Dio di tutti i Vangeli. E’ a questo passo che i Vangeli vogliono condurci.
Tommaso è chiamato “Didimo”, gemello nella lingua greca. Ma gemello di chi? Tommaso è gemello di Gesù, perché è disposto a dare la vita con lui e per lui (Giovanni 11, 16). Ma è gemello anche di ognuno di noi, perché ognuno di noi, partecipando all’Eucaristia, scopriamo e vogliamo essere come Tommaso, disposti a donare la vita per il servizio degli altri. Cioè mettendo in pratica il comandamento della carità (Giovanni 13, 34). Infatti il servizio del prossimo, manifestando così il nostro amore, ci permette di sperimentare la presenza di Gesù e di entrare nel Regno di Dio.
Tonino Falaguasta Nyabenda
Missionario Comboniano
Vicolo Pozzo 1
37129 V E R O N A