Nella scena del Vangelo viene descritta una situazione abbastanza singolare. Da un lato la folla che si era raccolta spontaneamente attorno a Gesù venuto nel tempio ad insegnare, si allontana quando questi invita tutti a scrutare il proprio cuore per riconoscere se esso è davvero senza peccato. Dall’altro lato la donna che, inizialmente, è stata portata di forza a Gesù per essere giudicata di adulterio davanti a tutti, quando arriva il momento del giudizio, spontaneamente decide di rimanere. Gesù guarda per terra e in alcun modo cerca di trattenere né la folla né la donna. Anche lei poteva andarsene, evidentemente, ed evitare la vergogna del giudizio. Qualcosa la trattiene. In un certo senso potremmo dire che qualcosa l’ha afferrata e le impedisce di andarsene. C’è una sola cosa che può trattenere una persona lasciandola al contempo perfettamente libera: la consapevolezza di sentirsi amata. Proprio lei che era stata “afferrata nel suo adulterio” adesso si ritrova afferrata da Cristo. Proprio come San Paolo che, nonostante non avesse mai commesso alcun adulterio, può anche lui dire di essere stato afferrato da Cristo e strappato dal suo legalismo al punto da considerare spazzatura quella giustizia che gli sembrava così importante. In effetti, la legge può indurire il cuore rispetto all’amore tanto quanto il peccato e in tal senso anch’essa diventa una schiavitù. L’esperienza liberatrice dell’amore di Dio esige che qualcuno ti raggiunga da fuori, ti afferri e ti tragga fuori da questa prigionia, che, come una tomba, è più resistente di ogni sforzo umano. Chi ha tracciato un cammino sulle acque? ricorda Dio ad Israele, nel profeta Isaia. Chi è stato più forte dei carri e dei cavalli? del forte e del potente? tu con le tue sole forze? Eppure, quelle grandi cose del passato non sono nulla. Ecco io faccio una cosa nuova, continua Dio nel profeta Isaia, che non ha tuttavia la grandiosità degli eventi dell’esodo ma la delicatezza di un germoglio che cresce. Una cosa nuova così discreta che quasi non ve ne accorgete. Ecco Io plasmo per me un popolo che mi dia gloria. Non a partire da re, profeti e sacerdoti ma a partire da un’adultera. Non guardate alle cose passate. Questa è una cosa nuova. Nessuno, prima dell’adultera del vangelo, aveva mai incontrato uno che afferrasse il suo cuore proprio a partire dalla sua debolezza e colpevolezza così saldamente da poterle dire: va e non peccare più. Questa dichiarazione finale non va vista tanto come una raccomandazione da eseguire quanto come un dono da accogliere. La “cosa nuova” del vangelo rispetto alla legge è proprio il fatto che la grazia non è data come ricompensa al proprio merito, ma come risposta ad una invocazione di aiuto. Il rimanere di questa donna, misera davanti alla misericordia direbbe Agostino, non è paura, senso dell’obbligo oppure convenienza. È appunto l’invocazione di chi dice: Signore guardami come sono. Ho fiducia solo nella tua misericordia. In quella situazione dobbiamo vedere la promessa che anche il nostro peccato più indurito, anche la passione più resistente come l’adulterio, se lasciata abbastanza a lungo sotto lo sguardo di Cristo, non solo si scioglie ma diventa un’energia positiva, che ti porta a cominciare una vita nuova, a risorgere, a desiderare l’amore di Cristo con la stessa intensità con la quale desideravi il peccato. Spesso ci accontentiamo di una religiosità stanca e di una fede tiepida perché non crediamo di poter incontrare la grazia proprio lì dove sperimentiamo la passione. Oppure perché abituati a dare importanza ad una giustizia formale, legalistica, non ci accorgiamo di questa cosa nuova che germoglia e che è l’amore di Dio nella nostra vita. Non il nostro amore che è sempre più o meno adultero ma l’amore di Dio che ti afferra nella libertà e ti plasma in una creatura nuova. Accoglierlo non significa sperimentare un cambio magico ma mettersi in cammino e lasciare che esso cresca con noi. Non mi vedo già arrivato, dice San Paolo. Al contrario, sono proteso in avanti, quasi dovessi afferrare Colui che in effetti mi ha già afferrato. Sono proteso a corrispondere ad uno che mi ama perché vuole salvare la mia persona, prima ancora che la legge. Gesù che per due volte si china a scrivere sul terreno inevitabilmente richiama il dito di Dio che nell’antico testamento scrive la legge sulle tavole di pietra, quasi a suggerire che adesso il legislatore si mette ai piedi del peccatore per aiutarlo. Di fatto Gesù – dice il vangelo – “sovrascrive” sul terreno, cioè, sostituisce alla legge antica del dovere quella nuova della grazia. Gesù è il solo che può dirmi ogni volta di nuovo: tu sei più importante dei tuoi limiti. Tu vali di più dei tuoi sbagli e delle tue meschinità. E qualora non avessi granché da rimproverarti, Gesù è il solo che può dirti: tu vali di più dei tuoi risultati, dei tuoi meriti. Tu vali la vita risorta che io condivido con te. Un dono così grande e superiore che egli semina nella nostra vita come un germoglio e che se lo percepissimo con chiarezza ci farebbe apparire ogni merito umano come spazzatura e ci farebbe gridare come Paolo: non voglio essere trovato con una giustizia mia che viene dalla legge ma con la giustizia di Dio che si trova nella fede di Cristo.