La quaresima, in quanto cammino di conversione, è anche cammino di riscoperta della fede e del battesimo. San Paolo ricorda che per ritrovare la fede non occorre andare lontano. Essa è vicina a noi perché basta entrare nel proprio cuore e fare un atto semplicissimo di fiducia nel fatto che Gesù è risorto. Questo atto interiore di fede si esprime poi all’esterno con la testimonianza delle labbra, cioè con una invocazione continua di salvezza nelle circostanze concrete della vita, come il grido accorato del salmista che nell’angoscia cerca in Dio. D’altro canto, il Vangelo ci ricorda che, per quanto semplice possa essere questa fede essa deve affrontare la tentazione come Gesù nel deserto. La tentazione è subdola perché, non solo Dio, ma anche il demonio promette di salvare la vita. La salvezza offerta dal tentatore è allettante perché è una salvezza al di qua della morte, cioè più immediata e sicura di quella promessa dalla resurrezione. Il problema è che non si può scappare per sempre dalla morte e soprattutto non si può vivere in pienezza da fuggitivi. La resurrezione di Cristo, in effetti, non è solo una speranza per il futuro ma anche una forza da invocare nel presente per affrontare in piedi ciò da cui saremmo tentatati di scappare, proprio a partire dalla precarietà della vita. Non a caso Dio nel deuteronomio ordina agli israeliti di rinnovare la loro professione di fede ogni anno, a partire dal ricordo della loro “umiliazione”. Recando le loro primizie davanti al sacerdote essi dovranno fare memoria del fatto che il loro padre era un arameo errante, uno straniero perduto nel deserto e vicino alla morte. Devono fare memoria del fatto che Dio è capace di tirare fuori la vita anche dalle situazioni più precarie e finalmente dalla stessa morte e che quindi la vita rimane fondamentalmente un dono. Non stupisce allora che lo Spirito Santo conduca Gesù proprio nel deserto all’inizio del suo ministero e che Gesù nel deserto, pur essendo pieno di Spirito Santo, possa allo stesso tempo sperimentare la tentazione del diavolo. Lo Spirito non si impone e non fa sentire in maniera irresistibile la sua presenza. Lo Spirito non di meno è sempre con Gesù per sostenere la sua fede nella tentazione e nella fame affinché egli possa responsabilmente decidere se fidarsi del Padre o di sé stesso. La sua vittoria può diventare la nostra vittoria. Per fare questo atto di fede, infatti, non bisogna essere forti ma umili. Se il demonio cerca di portare Gesù sempre più in alto lo Spirito trattiene Gesù con i piedi per terra, nell’umiltà, nell’accettazione della realtà e quindi nel dare fiducia al fatto che Dio è Padre e quindi può custodire la vita di chi si affida a Lui.
E proprio per distruggere questa fiducia il demonio propone a Gesù qualcosa di sottilmente ingannevole. Non gli chiede se “abbia fame” ma se “sia il Figlio di Dio”, se quella fame non metta in questione la verità della sua figliolanza. Il demonio suggerisce, quindi, a Gesù di agire autonomamente, al di fuori della relazione col Padre e di fare a modo suo. Questo accade anche a noi soprattutto quando la vita ci delude e allora cominciamo a chiederci se possa esserci una salvezza fuori dalla relazione con Dio e quindi fuori dall’amore. Una salvezza a partire dai nostri mezzi, che ottiene la soddisfazione immediata dei propri bisogni magari anche a costo dell’inganno, del compromesso, dell’affermazione di sé. La risposta di Gesù mette in luce la sua fede. Egli crede che, laddove manca qualcosa, non vi è non solo un disagio da sopportare ma anche una parola di Dio che fa vivere. Nella precarietà, allora, occorre imparare ad ascoltare, a cercare una Parola di Dio, cioè l’invito a cercare la vita al di là delle proprie soddisfazioni, comodità e pigrizie. L’ascolto umile della Parola di Dio, che apparirà nelle tentazioni successive, esige tuttavia la rinuncia alla possessività e alla affermazione della volontà propria. La possessività è il contrario dell’amore ed è alla radice di ogni ingiustizia nel mondo. Il possesso ci dà l’illusione di poter avere tutto e subito, come nella visione della gloria del mondo che il demonio presenta a Gesù in una “frazione di tempo”. Il possesso, in realtà, ci rende incapaci di amare, schiavi dell’egoismo. Tutto ciò che può essere posseduto, dice lo stesso diavolo a Gesù, appartiene a me e io lo do a chi voglio. Gesù risponde che non puoi possedere nulla se non sei libero interiormente di amare e di donare. La libertà non dipende dalle cose ma dall’amore del Padre. L’ultima tentazione riguarda appunto la possibilità di pregare per dimostrare questo amore e piegare la volontà del Padre alla nostra. Gesù risponde dicendo che la preghiera vera è quella basata sulla fiducia e non sulla dimostrazione. Pregare significa aprire la nostra volontà al Padre perché egli la riempia della sua. Tutte queste risposte Gesù non le da al demonio per il demonio stesso ma per noi, affinché la sua vittoria diventi la nostra.