Il Vangelo di Luca descrive il viaggio di Giuseppe e Maria a Gerusalemme con il loro bambino per compiere due precetti. La purificazione della madre e l’offerta di Gesù al Signore in quanto primogenito. Ciò che essi compiono secondo la legge, tuttavia, acquista una valenza nuova nello Spirito Santo. La soddisfazione del precetto non tocca solo Maria e il bambino ma tutto il popolo. Significativamente non c’è nessun sacerdote levita al tempio a ricevere il bambino. Ci sono un uomo del popolo che ha atteso a lungo di vedere la consolazione e una vedova della tribù di Aser, una tribù che si era mescolata coi pagani e si era estinta, la cui testimonianza e’ confermata dall’azione dello Spirito Santo.
Nel prendere tra le braccia il figlio di Dio essi riconoscono il compimento delle promesse di Dio e quindi anche di quella purificazione eccezionale descritta da Malachia come fuoco che doveva rendere i figli di Levi, cioè i sacerdoti antichi, capaci di fare qualcosa di nuovo, cioè di offrire un “sacrificio di giustizia”. Ora un sacrificio di giustizia non è un sacrificio cultuale ma un sacrificio vitale, esistenziale che coincide con l’offerta della propria vita a Dio che Gesù compie perfettamente fin da bambino. Essa si esprime nell’atteggiamento di chi accoglie la vita quotidiana, il mangiare, il bere, il lavoro, le relazioni non come qualcosa da consumare ma come qualcosa da ripresentare a Dio perché questi la riempia del suo amore e ne faccia un riflesso della sua gloria. Offriamo un sacrificio di giustizia quando tutto ciò che viviamo lo viviamo alla maniera di Dio, non più solo alla maniera umana. Nientemeno che alla maniera di Dio.
Dopo il peccato tuttavia nessun uomo e nessun sacerdote era più capace di vivere così. Essendo mortali, infatti, noi percepiamo tutta la creazione e la vita come realtà morenti. Questo implica che tutto ciò che viviamo lo viviamo sotto il segno della paura e non della lode e della gratitudine. Litighiamo, ci affanniamo dietro alle cose, corriamo dietro i piaceri che promettono tanto e si rivelano gonfi di nulla, perché la vita che abbiamo non è eterna, non è piena, non è durevole e abbiamo paura di perderla e di perderci. Ciò che separa la vita dalla morte, la nascita dalla sua fine e solo un po’ di tempo. Ora ciò che può finire da un momento all’altro non può essere vissuto e goduto nella libertà.
La morte è come una strettoia che soffoca la vita fin dal suo nascere e diventa una sorta di ricatto interiore che il demonio usa, come ricorda la lettera agli Ebrei, per dominare la nostra libertà. La paura della morte porta ad assumere un atteggiamento nei confronti della vita che non è di offerta serena ma di appropriazione e predazione, quindi di peccato. L’ingresso nel tempio del Bambino Gesù per una circoncisione nella quale egli verserà sangue e lacrime, afferma la disponibilità di Dio a farsi in tutto simile a noi e quindi ad assumere il sangue e la carne e quindi a passare con noi attraverso quella strettoia che è la morte e mediante la morte distruggere colui che ne ha il potere. Di fatto il mistero pasquale trasformerà quella che era una strettoia in un arco trionfale.
A questo punto le parole del Salmo si possono applicare non solo alle porte del tempio ma appunto anche alle porte degli inferi: alzate porte i vostri frontali ed entri il re della gloria. Questo re della gloria entra liberamente per quella strettoia per la quale tutti gli uomini dovevano entrare forzatamente e la trasforma in una via di uscita dalla schiavitù. Per questo adesso Simeone può pregare serenamente: sciogli il tuo servo. La paura di morire è sostituita dal desiderio di sciogliere l’ultimo legame che impedisce di morire. Nel passaggio del bambino Gesù dalle braccia di Maria a quelle dei due anziani, la vita che nasce e la vita che si spegne si incontrano, in modo tale che quest’ultima non si spenga nei ricordi ma esploda nell’ultimo canto di lode del popolo di Israele.
Questo è il sacrificio di giustizia cui lo Spirito Santo vuole abilitare coloro che credono. La possibilità che tutto ciò che viviamo, anche le sofferenze e le prove, alla fine sia trasformato in offerta serena e fiduciosa. La vita e’ continuamente messa alla prova dalla paura di morire non solo alla fine ma ogni volta che vogliamo amare seriamente. Quando si tratta di perdonare, di pazientare, di spenderci, di ricominciare saremo sempre tentati di risparmiarci, di aggrapparci alla nostra vita e resistere alla possibilità di farne un’offerta di giustizia. Proprio allora siamo chiamati a credere come Simeone alla promessa dello Spirito Santo: nessuno vedrà la morte senza prima vedere anche la grazia che salva e che passa con noi attraverso la strettoia della morte.