E per le armi continuiamo a spendere miliardi di dollari. Nel Mondo per l’anno 2023 ne abbiamo spesi 2.448. L’Italia nel 2025 prevede di spendere 32 miliardi di euro. Pazzie. Quando sappiamo che ci sono 800 milioni di persone che muoiono di fame, i profughi sono 80 milioni (di cui un terzo minori) e un terzo dell’umanità vive attanagliata dalle fame. Tutte queste cifre devono farci riflettere, specialmente noi Cristiani, perché il Vangelo di Gesù ci insegna la “condivisione” e cioè una vita degna per tutti gli abitanti del Mondo.
Oggi celebriamo la “Presentazione di Gesù e la Purificazione della Vergine”. E’ una festa antichissima, che popolarmente viene chiamata la “candelora”, per l’uso delle candele accese durante la processione con la loro benedizione. Questa festa cade esattamente 40 giorni dopo il Natale.
Al tempo dei Romani si celebravano i Lupercali a metà febbraio. I sacerdoti percorrevano la città di Roma agitando delle strisce di cuoio (dette “februae”, da cui il nome Febbraio del nostro calendario) in segno di purificazione.
Ma andiamo a meditare il Vangelo di oggi (Luca 2, 22-40). Si tratta di un’ulteriore scoperta di Gesù, come il Messia, come il Salvatore. E’ stato presentato ai pastori, persone umili e disprezzate, poi ai Magi, degli estranei che rappresentano tutta l’umanità al di là di Israele. Ora tocca al tempio, nel rispetto della Legge di Mosé. Tre realtà sono messe in risalto nel Vangelo di oggi: la legge, il tempio e la profezia. Il tutto perché, per mezzo del vecchio Simeone, figura dell’Antico Testamento e figura di ogni uomo di buona volontà che aspetta il Salvatore, scopriamo meglio chi è Gesù. Simeone (che in ebraico significa: uno che ascolta) non è sordo alla parola del Signore e capisce di avere tra le braccia il Salvatore, la consolazione di Israele (Luca 2, 25). Si mette a cantare, non avendo più paura della morte: “Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola” (Luca 2, 29). Egli si rivolge anche alla Madre, prevedendo che il suo Figlio sarà un segno di contraddizione: “Una spada trapasserà la tua stessa vita” (Luca 2, 35). Questo Figlio sarà trafitto da una lancia, che sarà il segno con cui attirerà tutti a sé (Giovanni 19, 34.37 pensando a Zaccaria 12, 10). Ai piedi della Croce, Maria vede morire il proprio figlio, è la Madre che è simbolo rappresentativo di tutto Israele, e figura anche della Chiesa, che si realizza solo se accetta di morire per il suo Signore.
C’è anche Anna (= favore di Dio) nel tempio, una profetessa, figlia di Fanuel (= volto di Dio), della tribù di Aser (= buona fortuna). Simeone e Anna, un uomo e una donna, rappresentano tutta l’umanità. E tutta l’umanità accoglie il bambino, presentato secondo la Legge di Mosè e riscattato. Essi rappresentano l’Israele fedele, che attende con fede la “redenzione di Gerusalemme” (Luca 2, 38). Si può fare anche il collegamento con la coppia Zaccaria ed Elisabetta, che, una volta nato il loro figlio Giovanni il precursore, profetizzano (Luca 1, 57-66). Simeone non è un sacerdote. Anna, vedova nella sia giovinezza, è figura di Israele e anche dell’umanità, che hanno perso il loro sposo e quindi vivono una vita vuota, esiliata, sempre nella attesa e nella speranza di una futura redenzione, con digiuni e preghiere, con dolore e desiderio ardente. Simeone e Anna rappresentano il vero culto del Tempio che si realizza solo nell’amore di Dio e nel suo servizio. Addirittura questa coppia, nella visione dell’evangelista Luca, è posta in contrasto con gli specialisti della religione (= sacerdoti, farisei e scribi). Con loro due il Tempio acquista tutta la sua valenza di “casa di Dio”, che accoglie il suo Signore, Redentore e Messia.
Alla fine del Vangelo di oggi, si parla di Giuseppe e Maria che con il loro figlio ritornano a Nazareth (Luca 2, 39-40). La vita di Gesù a Nazareth è un lungo silenzio. Fa parte della “Kenosi”, cioè del lungo “svuotamento” del Figlio di Dio (Filippesi 2, 7). Un lungo silenzio durante il quale Gesù impara l’arte di vivere come un uomo qualsiasi, per essere accettato come un uomo qualsiasi. Da adulto si presenterà come una persona che si mette al servizio di tutti gli uomini e di tutte le donne fino a donare la sua vita sulla Croce per amore.
San Daniele Comboni (1831-1881) non è arrivato a Nazareth nel suo pellegrinaggio in Terra Santa del 1857. Ma ha organizzato la sua vita come “un servizio”. Disposto a donare la sua vita. Aveva un modello davanti a sé: san Pietro Claver (1580-1654). Questo Santo gesuita ha dedicato la sua vita al servizio degli “Etiopi”, cioè degli schiavi africani, che arrivavano a migliaia nel porto di Cartagena (Colombia). Addirittura san Pietro Claver ha fatto voto nel 1616 di essere lo “schiavo degli Africani”, accogliendoli con premura, quando sbarcavano dalle navi e aiutandoli con il Vangelo in mano.
San Daniele Comboni, anche lui si è definito “schiavo” degli abitanti dell’Africa Centrale, i più poveri e disprezzati del Mondo di quel tempo. Fino a donare la vita nel 1881 a causa degli strapazzi di una vita eroica.
Tonino Falaguasta Nyabenda
missionario comboniano
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