La festa del battesimo del Signore porta a compimento il mistero dell’incarnazione e manifesta nella sua pienezza il vangelo del Natale. Quel Gesù, che a Betlemme, nella città di Davide, si era manifestato come il re e il salvatore d’Israele, nell’epifania viene proclamato re delle genti e salvatore, non solo del popolo d’Israele, ma anche di tutti i popoli e di tutti gli uomini di buona volontà. Nel Giordano, finalmente, lo stesso Gesù si rivela come colui che è venuto per raggiungere e salvare non solo tutti gli uomini di buona volontà ma propriamente tutti i peccatori. Egli è l’agnello di Dio che prende su di sé il peccato del mondo. L’amore di Dio che si era già abbassato nascendo come uno di noi, non si accontenta di “umanizzarsi”. Esso desidera “incarnarsi”, abbracciando, appunto, la nostra carne di peccato, cioè quella dimensione della nostra umanità che è più distante dallo spirito santo e che non può piacere a Dio, perché costituisce un ostacolo irrimediabile alla riconciliazione tra la volontà dell’uomo e la volontà di Dio. Ogni carne, proclama dunque il profeta Isaia, vedrà la gloria di Dio. Non solo i giusti, appunto, ma anche i peccatori. La profezia di Isaia si compie al Giordano. Al Giordano, Gesù annuncia di aver assunto la carne di ogni uomo, anche l’ultimo dei peccatori, e quindi di voler offrire a tutti, sia i peccatori che i giusti, la possibilità di una vita nuova. Il peccato, infatti, che si rende evidente in chiunque agisce ingiustamente, non è assente nel giusto ma soltanto latente. Esso, infatti, non consiste nella sola violazione della legge, ma in una violazione o in una irrimediabile ferita della natura umana che la rende “carnale”, cioè incapace di spirito santo. Questa condizione ferita della natura umana non poteva essere sanata dallo sforzo o dalla buona volontà degli uomini ma solo da un’iniziativa di Dio. Per questo San Paolo può scrivere a Tito che, quando si è manifestata la bontà e l’amore di Dio per gli uomini, questi ci ha salvati non per delle opere giuste da noi compiute, ma per la sua misericordia, con un’acqua che rinnova e rigenera la nostra natura carnale con la forza dello Spirito Santo. Questo è il senso profondo del battesimo di Gesù. Per esso il Figlio di Dio si posiziona al di sotto dell’ultimo peccatore perché nessuno si perda e perché a tutta l’umanità e quindi all’intera natura umana sia data la possibilità di guarire e ricevere il dono dello Spirito Santo. Con il dono dello Spirito Santo, infatti, noi rinasciamo e la nostra natura guarisce e si trasforma da natura carnale a natura spirituale, da natura mortale a natura capace di resurrezione e quindi di vita eterna. Non si tratta di un cambio magico e nemmeno di una speranza effimera per un ipotetico lontano futuro. Il dono dello Spirito Santo è una reale possibilità data alla libertà ferita del peccatore di lasciarsi educare o formare dalla grazia di Dio a partire dal suo peccato. Questa graduale trasformazione della nostra natura, ricorda Paolo a Tito, consiste nell’imparare a dire alcuni “no” ed alcuni “si”. La grazia dello Spirito Santo, da un lato ci insegna a rinnegare l’empietà, cioè uno stile basato sulle sole risorse umane e dimentico di Dio. Dall’altro ci abilita a vivere in questo mondo con prudenza, cioè con la consapevolezza di ciò che procura il nostro vero bene, con giustizia, cioè con attenzione al bene comune e con pietà, cioè con piena disponibilità alla volontà di Dio. Ciò che non potevamo fare a partire dalla nostra carne ferita diventa possibile grazie all’incarnazione, cioè alla partecipazione dello Spirito Santo a questa nostra carne. Tutti, dice il Vangelo, si aspettavano che Giovanni fosse il Cristo, perché vedevano in lui il massimo di giustizia che un uomo possa raggiungere. Eppure, lo stesso Giovanni confessa con semplicità che colui che viene dopo di lui, proprio perché ha accettato il massimo dell’umiliazione e quindi la massima vicinanza ai peccatori e agli ingiusti, proprio lui sarà capace di donare quel fuoco che rinnova la nostra natura e la nostra umanità ferita dal basso. Quando Gesù risale dal Giordano, infatti, e in preghiera ritrova la relazione con il Padre, lo Spirito Santo scende in maniera visibile e corporea per raggiungere la concretezza della sua umanità e il cielo si apre per dare compimento alla profezia di Isaia: «Alza la voce, non temere; annuncia alle città di Giuda: «Ecco il vostro Dio! Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri».