Siamo entrati nel Tempo Ordinario che continuerà fino all’inizio della Quaresima, il 5 marzo 2025, con il Mercoledì delle Ceneri.
Questa Domenica tratta del tema dell’Alleanza, quella Nuova, inaugurata da Gesù, e il segno sono le nozze di Cana (Giovanni 2, 1-12).
Lo sposalizio è un modo privilegiato dell’Antico Testamento per farci capire l’Alleanza che esiste tra Dio e il suo popolo, Israele. E quest’oggi siamo invitati a scoprire il legame che esiste tra Dio e tutta l’umanità, perché la salvezza è donata a tutti, senza preclusioni di razza, di culture o di paesi.
L’amore di Dio, che è un Padre pieno di bontà, è donato a tutta l’umanità.
Nel Vangelo di Giovanni, lo sposalizio di Cana è un “midrash”, cioè un commento teologico di quanto è avvenuto sul Sinai tra Dio e Israele (Esodo 19), ma attualizzato al tempo di Gesù. Del resto anche alla fine dell’esilio di Babilonia, quando Ciro dona il permesso agli Israeliti di tornare nella loro patria per ricostruire il Tempio a Gerusalemme nel 538 prima di Cristo, il fatto è descritto come un rinnovamento del legame sponsale tra Dio e il suo popolo. Se ne parla nel terzo libro di Isaia con un richiamo al profeta Osea, il profeta nuziale per eccellenza.
Allora a Cana di Galilea si celebravano delle nozze. Quante volte Gesù avrà partecipato a delle feste simili, anche perché nei villaggi tutti erano invitati e si faceva festa per giorni e giorni. E’ naturale che si alzasse un po’ il gomito e che a volte il vino venisse a mancare.
Appunto il vino! Con il pane e l’olio fa parte del nutrimento quotidiano (1 Cronache 12, 41). Il vino poi “rallegra il cuore dell’uomo” (Salmo 104, 15) e costituisce uno degli elementi del banchetto messianico, perché rappresenta la carità infinita di Dio che il Cristo ci dona.
Allora cerchiamo di approfondire il testo del Vangelo di oggi. Al tempo di Gesù la maggior parte della gente era analfabeta (e anche da noi fino a tempi recenti!). Allora lo specialista della lettura trovava nei testi sacri delle parole che erano come delle chiavi per l’interpretazione di ciò che veniva letto. In effetti nelle sinagoghe e nei luoghi di preghiera per la prima comunità cristiana non si faceva solo lettura di un testo, ma si aggiungeva anche il commento. Nel testo di oggi si parla di “terzo giorno”. Ogni ascoltatore capiva immediatamente il riferimento al libro dell’Esodo (Esodo 19, 3), quando Dio chiamò Mosè per donargli l’Alleanza. Allora l’evangelista vuole dirci che tutto ciò che è arrivato a Cana riguarda proprio l’Alleanza, non più riservata a Israele, ma, per mezzo di Gesù, donata a tutta l’umanità.
Alle nozze c’era anche la Madonna. Ma non la si chiama per nome. Si dice che la Madre di Gesù era presente. Ed ella dice: “Non hanno più vino”. Non dice: “Noi non abbiamo più vino…” parlando anche di se stessa. Maria appunto è l’immagine del popolo d’Israele fedele, che aspetta la realizzazione della promessa. La risposta del Figlio può darci un po’ di imbarazzo: “Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora”. Donna vuol dire “sposa” e Maria rappresenta la sposa fedele dell’Antico Testamento. E poi Gesù dice: “Che c’è tra me e te? Non è forse giunta la mia ora?”. Bisogna leggere la risposta del Signore come un interrogativo. Nei manoscritti antichi non c’era la punteggiatura. E’ quindi un richiamo al fatto che effettivamente è giunta l’ora in cui lo Sposo deve manifestare la sua gloria. Fuori di metafora, si vuol dire che, da quando il Logos si è fatto carne (Giovanni 1, 14), ci sono le nozze tra Cielo e terra (= umanità). C’è ormai la Nuova Alleanza. Allora si capisce quello che la Madonna dice ai servitori (chiamati “diaconi” nel testo greco, cioè servitori della comunità), richiamando espressamente quello che è successo al tempo di Mosè, quando il popolo ha esclamato: “Tutto ciò che ha detto JHWH (= Dio), noi lo faremo” (Esodo 19, 8). C’erano sei idrie di pietra, inamovibili, perché enormi. Ciascuna conteneva 100 litri di acqua, che doveva servire per le abluzioni. La religione di Israele, basata su 613 precetti, esigeva una purificazione continua per ogni minima mancanza e prima di ogni atto comunitario (come fanno ora anche i Musulmani, prima di pregare o di entrare nella Moschea). Ora a Cana l’acqua non serve più, perché è trasformata in vino.
Le idrie poi erano di pietra, non di terracotta, come molti pittori le rappresentano (Vedi il celebre quadro di Paolo Veronese, per esempio, rubato da Napoleone a Venezia nel 1797 e ora al Louvre di Parigi). La pietra, di cui erano fatti i grossi recipienti, richiamava evidentemente le tavole sulle quali Dio scrisse con il suo dito le dieci Parole (Esodo 31, 18). Ora tutta quest’acqua (600 litri!) è trasformata in vino. “Kalòs oìnos” (= il vino bello) dice il testo greco. Il vino non è solo buono, ma è anche “bello”, perché è divenuto un segno della Nuova Alleanza. Che cos’è questa Nuova Alleanza che Gesù ci propone? E’ una nuova relazione con Dio, non più basata sulla fedeltà a delle norme, ma sull’accettazione dell’amore di Dio. Per le autorità costituite, al tempo di Gesù, il vino buono si serviva all’inizio (cioè: ci si riferisce alla tradizione religiosa di Israele), così pensava il maestro delle cerimonie. Ora c’è il nuovo: il vino bello e buono è per tutti, grazie a Gesù. E cioè l’amore di Dio, donato in abbondanza, rende la vita gioiosa e felice, perché siamo ormai tutti figli e figlie di Dio, nostro Padre. “Questo principio dei segni fece Gesù in Cana di Galilea e manifestò la sua gloria” (Giovanni 2, 11): è il commento dell’Evangelista. Il dono (= vino bello) di nozze non è solo il primo, ma il principio dei segni, che ci aiutano a credere che Gesù è il Messia della Nuova Alleanza.
San Daniele Comboni (1831-1881) ha dato la vita per far arrivare il vino “bello”, promesso da Gesù, anche agli abitanti dell’Africa Centrale. E i suoi figli spirituali (= i Missionari Comboniani) continuano ancora oggi quest’opera.
Tonino Falaguasta Nyabenda
Missionario Comboniano – Vicolo Pozzo 1 – 37129 V E R O N A