Mi avvisarono di un uomo in fin di vita, abbandonato sul ciglio della strada. Immaginai subito di che o di chi si trattasse. La nostra chiesetta era punto di incontro e di passaggio per tanti emigranti diretti verso gli Stati Uniti, la terra dei sogni. Era ferito e sanguinava tanto. La suora della nostra infermeria cercò di fermare l’emorragia, ma il povero aveva perso troppo sangue. Ci consigliò di non portarlo all’ospedale. “Meglio accompagnarlo in questi ultimi momenti; che non rimanga solo!”, raccomandò Suor Cristina. Un documento in tasca ha rivelato il suo nome e la nazionalità. La polizia locale, arrivò dopo circa sette ore, lo caricò sulla jeep con molto poco rispetto e lo portò via. Seppi che il povero uomo giaceva nel cimitero comunale. Il giorno dopo mi recai là per celebrare le esequie per questo fratello sconosciuto e abbandonato. Vedendo quel poveretto, si scatenarono in me sentimenti di rabbia e di tristezza allo stesso tempo. La sera, nella solitudine della mia stanza, scrissi una lettera al migrante colombiano e alla mia comunità: È vicino il Natale e scrivo a te, straniero sconosciuto. Per la polizia sei un fuorilegge e io ti scrivo lo stesso, anche se so che non potrai mai leggere questa lettera. Ho saputo della tua morte violenta e che potevo trovarti nella camera ardente del cimitero. Non eri veramente nella camera mortuaria, ma in un ripostiglio, dove gli addetti al cimitero tengono i loro strumenti di lavoro. Sai, la camera ardente è per la gente “per bene”. Tu sei un nessuno, un clandestino pericoloso, un ladro e forse uno spacciatore di droga. Sei un nessuno di passaggio e disprezzato. Ho pregato per te in quel ripostiglio, pensando alla tua famiglia. Mi accompagnava solo Miguel, il catechista. La polizia mi ha detto che ti chiami Salvador e che sei arrivato dal sud del Messico o forse da Guatemala, diretto agli USA in cerca di fortuna. Ma avevo visto i tuoi documenti. So che sei un Colombiano di 45 anni. Il tuo sogno era raggiungere quella terra ricca, fare quattro soldi da mandare alla tua famiglia. I tuoi non sanno che tu non tornerai più da loro e i tuoi bambini non potranno più abbracciarti. Sulla tua bara neppure un fiore, neppure una lacrima. Povero Salvador, ucciso per strada. Sei caduto nella trappola dei narcotrafficanti: ti hanno convinto a trasportare qualche grammo di cocaina per un po’ di dollari. Ti hanno allontanato dal gruppo con cui camminavi da mesi, hai creduto alle loro promesse e sei finito in cimitero. I poliziotti mi hanno detto che probabilmente eri anche un buon spacciatore di droga.  A volte faccio fatica a credere a questi pistoleros, perché non sempre sono puliti. Ho pensato al malfattore crocifisso con Gesù, quello buono che ha pregato: “Gesù, ricordati di me”. Povero Salvador, ucciso in questa terra, in questo far west dove prima sparano e poi chiedono chi sei.  Avevi in tasca delle fotografie della tua giovane sposa e delle due bimbe. Le foto le ho tenute per me. Penso anche a tua mamma, che non si stanca di sperare, di aspettarti e di pregare per il tuo ritorno. Quest’anno è un Natale crudele per te e la tua famiglia ancora non lo sa. Non riceveranno i tuoi saluti da quella terra che avevi sognato. E sarà un Natale triste per loro. Sei finito in questa terra straniera e qui hai terminato il tuo cammino. Avevi quasi raggiunto la frontiera di quel paese del nord, che tutti pensano un paradiso terrestre. In questa terra nemica, nessuno ti ha chiamato amico, nessuno ti ha chiamato fratello. Per mesi ti hanno guardato con disprezzo, sospetto e indifferenza. L’indifferenza, il disprezzo e la solitudine ti hanno trasformato in uno spacciatore di droga, in un fuorilegge. Prima che ti uccidesse la polizia, ti ha ucciso la città, la gente che discrimina, disprezza e rifiuta. Anche questo paese, come tanti altri, non vuole stranieri e classifica tutti allo stesso modo. Sei partito dalla tua terra lontana pulito, buono, innocente. Chi ti ha trasformato in un disgraziato, in una persona pericolosa? Chi ti ha obbligato a spacciare droga per guadagnare denaro facile e sporco? Prima che ti uccidesse quel poliziotto, ti aveva ucciso l’indifferenza della gente. Ti hanno ucciso quelle comunità cristiane che ti hanno dato un pezzo di pane, come si dà ai cani, ma che non ti hanno accolto. Anche se sei un fuorilegge, dobbiamo chiederti perdono, caro Salvador. Hai bussato al cuore di molti e ti sei sentito rifiutato. Il malfattore non sei solo tu. Siamo un po’ malfattori anche noi, perché prima ancora che della vita, ti abbiamo derubato della dignità di uomo. Perdonaci per l’indifferenza con la quale ti abbiamo visto morire e essere sepolto in una tomba anonima. Manca poco alla fine dell’anno e tutti stanno preparando la festa per l’anno nuovo. Anche tua moglie e figli si stanno preparando per l’anno nuovo, senza sapere di te, ma pensando a te e amandoti. Per le tue figliolette sei un papà buono che è dovuto partire lontano per cercare lavoro, per cercare un pezzo di pane per loro. La vita, quella vita che tu hai amato tanto, ti ha tradito. Domani, con i giovani della comunità, torneremo da te, abbelliremo la tua tomba con tante stelle rosse di Natale e scriveremo il tuo nome sulla tua croce. E pregheremo, pensando alle tue piccole figlie, alla tua giovane sposa e alle lacrime di tua madre.     

 

(Articolo di P. Teresino Serra in PM)