Prima lettura (Sof 3,14-17)
Rallègrati, figlia di Sion,
grida di gioia, Israele,
esulta e acclama con tutto il cuore,
figlia di Gerusalemme!
Il Signore ha revocato la tua condanna,
ha disperso il tuo nemico.
Re d’Israele è il Signore in mezzo a te,
tu non temerai più alcuna sventura.
In quel giorno si dirà a Gerusalemme:
«Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia!
Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te
è un salvatore potente.
Gioirà per te,
ti rinnoverà con il suo amore,
esulterà per te con grida di gioia».
Il profeta si rivolge a Gerusalemme con giubilo e speranza, e annuncia che “Il Signore ha revocato la tua condanna, ha disperso il tuo nemico” nel porre fine all’invasione, al dominio dell’Assiria.
La condanna fu inflitta per l’infedeltà del popolo all’alleanza con pratiche idolatriche, la violenza, l’oppressione di principi, sacerdoti, giudici e profeti a scapito del popolo e, in particolare, della povera gente.
Con la liberazione dal nemico, il Signore ristabilisce l’alleanza, con la Sua presenza in mezzo al popolo che, ormai, lo riteneva assente. Ora, questo popolo lo riconoscerà come “Re d’Israele”, fautore della loro salvezza e, particolarmente, dei deboli esposti alla prepotenza dei potenti e delle autorità, specialmente la vedova, l’orfano e lo straniero.
Il Signore, fedele all’alleanza, sosterrà la sovranità e la manifestazione dell’avvento del regno di Dio che il popolo riconoscerà. Riconoscere l’azione del Signore, e rispondere con il proprio stile di vita alla finalità della legge, il senso dell’alleanza (la pace e l’armonia con tutti e con tutto), è riconoscere la sua presenza e constatare la promessa del profeta – “il Signore è in mezzo a te” – e la certezza che offre: “tu non temerai più alcuna sventura”.
Con il Signore, il popolo guarda al futuro con fiducia e serenità e fa del lavoro, dei rapporti interpersonali e sociali la benedizione, il cammino di crescita umana e spirituale per ogni persona e per sé stesso.
La promessa si compirà sicuramente “In quel giorno” futuro, ma anche prossimo. Vale specificare che il compimento non costituisce l’esaurimento della promessa, ma l’apertura del futuro, l’oltre che si proietta in avanti, compimento del destino. Il profeta anticipa che sarà vinto ogni timore, scoraggiamento e angustia dato che “Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente”.
Con esso Dio “gioirà per te, ti rinnoverà con il suo amore, esulterà per te con grida di gioia”. Allo stesso tempo la gioia inonderà il cuore delle persone e del popolo nella certezza che Dio proteggerà la loro vita, il loro cammino e la loro crescita, quale bene preziosissimo.
Dio ha scelto il suo popolo, ha creato l’umanità perché partecipi della sua vita, della salvezza da ogni pericolo liberandolo da ogni male. Stabilisce la sua presenza, indica il cammino e mezzi necessari da accogliere come dono.
Cosa doveva fare di più che non ha compiuto? La felicità, la gioia nel presente e nel futuro del popolo coinvolge l’umanità intera, previa la libera adesione alla pratica della giustizia e del diritto.
Tale azione non è unilaterale da parte di Dio, ma esige il dialogo sincero e trasparente. Gli abbagli e le seduzioni alle quali è attirato il popolo e le persone nell’intraprendere, per iniziativa propria, un altro cammino e i mezzi per raggiungere il traguardo, porteranno conseguenze deludenti, disastrose e drammatiche, confermate da esperienze precedenti.
È l’azione del “mistero dell’iniquità” operante nel mondo, che impedisce di riporre nel Signore la fiducia e la speranza che merita. Soccombere ad essa, il più delle volte, è un’esperienza che si ripete, nonostante i drammatici e deludenti risultati.
L’esistenza è la continua lotta tra la fiducia in sé stessi, nelle proprie idee, nel proprio progetto e quello che il Signore offre. Molte volte prevale la prima opzione, che configura il peccato. Tuttavia la fedeltà del Signore alla promessa motiva la sua misericordia e la compassione verso il popolo, ridotto in deplorevole condizione per l’ostinazione nel proseguire la scelta errata.
Ebbene, l’intervento di riscatto e salvezza del popolo è motivo di profonda gioia per il Signore. Afferma il profeta: “Il Signore (…) gioirà per te, ti rinnoverà con il suo amore, esulterà per te con grida di gioia”. La gioia di Dio è constatare nel popolo l’accoglienza, l’apertura della mente e del cuore all’efficace trasformazione rigenerativa della sua azione. L’effetto è come Lui stesso lo ha rigenerato.
È noto che la trasmissione e l’accoglienza del dono rigenera chi lo riceve e chi lo dona, secondo la propria natura e condizione, con la partecipazione della gioia dell’altro. È la manifestazione del “miracolo” dell’amore, che attiva il processo simbiotico nei coinvolti.
Allora, già in anticipo, Gerusalemme partecipa del gaudio. E il profeta afferma: “Rallegrati, figlia di Sion, grida di gioia, Israele, esulta e acclama di tutto cuore, figlia di Gerusalemme”. Percepire nell’intimo l’autenticità della promessa, l’avvento di ciò che si realizzerà “In quel giorno” è esperienza degli amanti che pregustano anticipatamente il giorno delle nozze.
L’esperienza si manifesta nel rapporto con sé stessi, con gli altri e con Dio, con le caratteristiche indicate dalla seconda lettura.
Seconda Lettura (Fil 4,4-7)
Fratelli, siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino!
Non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti.
E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù.
Paolo afferma con energia: “Il Signore è vicino!”. Si tratta della Parusia, l’attesa ormai prossima del Signore che coinvolgerà i credenti nell’accogliere l’avvento del Regno e consegnarlo al Padre. In tale evento “Dio sarà tutto in tutti” (1Cor 15,28,), il che suscita stati d’animo sui quali discetta l’apostolo.
Quando si è prossimi al momento di grande portata, del quale non si conosce in modo esaustivo ma gioioso quel che comporterà – come Paolo afferma – le persone coinvolte si pongono legittime domande alle quali, per la maggior parte non c’è risposta esauriente. Tuttavia l’evento inquieta e suscita l’attesa fiduciosa.
Paolo incentiva i destinatari alla fedeltà della loro condizione di nuove creature, alla pratica dell’amore e alla fiducia nella promessa del Signore. Tuttavia, constata in loro insicurezza e turbamento, e perciò esorta: “Non angustiatevi per nulla”, e considera che gli stati d’animo sorgono indipendentemente dalla propria volontà a causa della fragilità e della debolezza umana. Perciò aggiunge: “ma in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti”.
Richieste che, per la natura dell’evento, per la serenità, la pace e la sicurezza di vita che esso comporta, non saranno disattese da parte di Dio, che ha inviato il Figlio e lo Spirito in ognuno. Ecco che l’apostolo raccomanda di presentarle a Dio con “preghiere, suppliche e ringraziamenti”.
La preghiera insegnata da Gesù – il Padre Nostro – è il rifermento al Padre, al nome, al Regno, alla sua volontà, al pane per tutti, al perdono e alla liberazione nella tentazione dal male, che a loro volta costituiscono la griglia di discernimento per la conveniente risposta nella circostanza e nella situazione in cui si trova la persona o la comunità, in attenzione ai “segni dei tempi” teologici dell’avvento del Regno di Dio nel presente.
Allo stesso tempo sono necessarie “suppliche”, perché sia concesso e accolto il dono dello Spirito, senza il quale è impossibile vedere e percepire la portata e l’importanza dei punti di riferimento per discernere il vero dal falso. Da ciò scaturisce il “ringraziamento” – il terzo elemento – nel porsi davanti a Dio e percepire nel proprio animo ciò che è autentico e vero.
Il frutto è “la pace di Dio, che supera ogni intelligenza”. Non si tratta della soppressione della tensione o del conflitto, ma della corretta lettura e percezione della circostanza e della guida che suggerisce il modo di entrare in sintonia con la verità di Dio nella comunione con Lui. È quello che Santa Teresa D’Avila ha sintetizzato nella famosa frase: “Niente ti turbi, niente ti spaventi, solo Dio basta”.
Tale evento richiede l’intelligenza della fede, l’attenzione e la capacità di legare i punti nodali della circostanza e porli in sintonia con la causa dell’avvento del Regno che, ovviamente, vanno ben oltre quelli suggeriti dai criteri umani.
C’è un modo di vedere e interpretare la storia limitata all’ambito delle facoltà umane e un altro che, nell’amore di Dio manifestato in Cristo, integra, completa e qualifica la profondità, la bellezza e la sapienza umana in orizzonti inesauribili.
Pertanto, Paolo aggiunge: “e la pace di Dio (…) custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo”. Imprescindibile è stare “in Cristo” per la fede, comprendere il suo insegnamento e la pratica del suo amore. È in virtù del legame cosciente, voluto e coltivato opportunamente, che si custodisce la pace di Dio nel cuore e nella mente.
La bontà e consistenza di tale condizione ha sviluppi concreti nella vita giornaliera, sull’esempio indicato nel Vangelo.
Vangelo (Lc 3,10-18) – adattamento dal commento di Alberto Maggi
In quel tempo, le folle interrogavano Giovanni, dicendo: «Che cosa dobbiamo fare?». Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto».
Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato».
Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe».
Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».
Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.
Nel vangelo è presentato Giovanni che, nel deserto, annunzia un battesimo in segno di conversione per ottenere il perdono dei peccati. È una sfida molto aspra quella che lancia Giovanni, perché il perdono, in quel tempo, veniva concesso solo nel tempio, mediante un rito liturgico e, soprattutto, previa l’offerta di un sacrificio da offrire al Signore.
All’invito di Giovanni Battista ad un battesimo segno di cambiamento di vita e di conversione per ottenere il perdono dei peccati rispondono le folle, persino i pubblicani, gli impuri e anche i soldati. Costoro hanno compreso che il peccato non può essere perdonato attraverso un rito liturgico ma mediante il profondo cambiamento di vita. Quelli che non rispondono all’invito di Giovanni Battista sono gli scribi, i farisei e i sacerdoti, che appartengono all’élite religiosa e non pensano di aver bisogno di alcun cambiamento.
Le folle interrogano Giovanni: “Che cosa dobbiamo fare?” La risposta non indica nulla che riguarda il rapporto con Dio o il culto. Con Giovanni Battista, e poi con Gesù, è cambiato il concetto di peccato: da offesa a Dio, a ciò che offende l’uomo. Ecco, allora, la risposta del Battista alle folle: “Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha” (si tratta della condivisione), “e chi ha da mangiare, faccia altrettanto”.
“Vennero da lui anche i pubblicani”, che hanno il marchio indelebile dell’impurità, quali paria della società, senza diritti civili: sono gli esattori del dazio e per loro non c’è nessuna speranza di salvezza, e anche loro vanno per farsi battezzare. Il vangelo afferma che la salvezza di Dio è annunziata per ogni uomo, anche per gli esclusi, anche per gli emarginati, anche per i condannati. Ebbene, costoro gli chiedono: “Maestro, che cosa dobbiamo fare?”. Si sentono quasi intimiditi di fronte al profeta di Dio ma, anche per loro, c’è la speranza di salvezza.
Giovanni, incredibilmente, non chiede loro di mettere da parte il loro mestiere, “ma non esigete nulla più di quanto vi è stato fissato”, cioè non sfruttate le persone, non rubate alle persone. Possono continuare a svolgere un’attività che la religione considera immorale se la vivono normalmente, senza pretendere di più. E questa è una grande sorpresa.
Ma le sorprese non sono finite. Dopo di loro si avvicinano anche i pagani (per i pagani, come per i pubblicani, non c’era speranza di salvezza). Lo interrogavano anche alcuni soldati: “E noi, che cosa dobbiamo fare?”. Ecco, la parola di Dio è rivolta a tutti quanti, anche alle categorie per le quali non c’era speranza di riscatto.
Rispose loro: “Non maltrattate e non estorcete (cioè non prendete il denaro con violenza, con ricatto) niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe”. È l’invito ad evitare l’ingiustizia, i saccheggi e le rapine di cui erano soliti macchiarsi.
“Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo… (c’era l’attesa del messia, il grande liberatore)”, pensano di identificarlo in Giovanni. Ebbene Giovanni chiarisce che non è lui il messia e risponde a tutti dicendo: “Io vi battezzo con acqua…”, quindi vi aiuto a fare un cambiamento di vita, ma colui che vi feconderà – togliendovi dalla sterilità dell’istituzione religiosa nel dare forza per vivere questa vita – non sono io.
E qui l’evangelista adopera un linguaggio che si rifà all’istituto matrimoniale del tempo, che va spiegato. “… Ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali”. Cosa significa questo? A quel tempo esisteva la legge del levirato. In cosa consisteva? Quando una donna rimaneva vedova, senza un figlio, il cognato aveva l’obbligo di metterla incinta. Il bambino che sarebbe nato avrebbe portato il nome del defunto. Era una maniera per perpetuare il nome della persona morta.
Quando il cognato si rifiutava, prendeva il suo posto colui che nella scala sociale e giuridica veniva dopo di lui, e si procedeva ad una cerimonia detta “dello scalzamento”: scioglieva i legacci dei sandali dell’avente diritto, li prendeva, ci sputava sopra; era un gesto simbolico con il quale si diceva: “il tuo diritto di mettere incinta questa donna vedova passa a me”. Allora l’evangelista sta dicendo che colui che deve fecondare questo popolo, assimilato ad una vedova sterile, non sono io ma colui che deve venire.
Infatti, aggiunge Giovanni, “Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco”. L’azione di Gesù non sarà quella di mettere le persone in un battesimo d’acqua, un liquido che è esterno all’uomo, ma di impregnarli della stessa forza dell’amore divino. Il fuoco era il castigo per chi meritava di essere condannato dal Signore ma Gesù, in seguito, quando riferirà quest’annunzio di Giovanni Battista, ometterà di citare il fuoco. In Gesù c’è soltanto amore per tutti, non c’è castigo.
“Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile”. Ecco, qui Giovanni Battista presenta il messia secondo la tradizione di un Dio che premia i buoni e castiga i malvagi. Lo stesso Giovanni Battista, più avanti, andrà in crisi perché Gesù presenterà un Dio che è semplicemente amore e offre il suo amore a tutti quanti. Un Dio che non premia e non castiga i malvagi, ma a tutti, indipendentemente dal loro comportamento, offre continuamente il suo amore.
“Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo”. È l’annunzio della buona notizia, una buona notizia che poi Gesù porterà a compimento, ma sarà talmente grande che manderà in crisi lo stesso Giovanni, che pure l’aveva riconosciuto come messia. Infatti, dal carcere, gli manderà una richiesta molto severa: “Sei tu quello che doveva venire o ne dobbiamo aspettare un altro?”
La novità dell’amore di Dio, la potenza di questo amore, è talmente grande che sconvolge anche una persona come Giovanni Battista, e tutti coloro che immaginavano un Dio diverso da quel che è: Amore Infinito.