La 3° Domenica di Avvento è chiamata “Domenica in Gaudete“. Gaudete è l’inizio in latino del brano della lettera di San Paolo ai Cristiani di Filippi (Filippesi 4, 4), che leggiamo oggi e significa: Rallegratevi! Il colore liturgico poi non è più viola, ma rosa. E’ un colore gioioso. Sappiamo che l’Avvento è sorto in Gallia (= Francia attuale) nella diocesi di Tours, per iniziativa del Vescovo Perpetuus, nel 490. Si voleva preparare il Natale, ormai fissato al 25 dicembre, con un tempo simile alla Quaresima, cominciando dal giorno della memoria di San Martino di Tours (11 novembre). Tre giorni alla settimana si faceva digiuno.

A Roma invece l’Avvento aveva la caratteristica della gioia per la venuta del Signore. Allora si pensò di diminuire i giorni di digiuno. Il colore rosa appunto indica che si poteva smettere di digiunare e fare festa, perché ormai la nascita del Salvatore era vicina.

Tre sono le raccomandazioni che la Chiesa ci fa per vivere bene il tempo dell’Avvento: pregare, meditare la Parola di Dio e fare opere di carità.

E tre sono anche i personaggi che ci aiutano a capire il significato teologico dell’Avvento: la Madre di Gesù, il profeta Isaia e san Giovanni Battista. Il primo personaggio è appunto Maria di Nazareth. L’otto dicembre scorso  abbiamo celebrato la Festa dell’Immacolata Concezione. La Madre di Gesù è stata preservata da ogni macchia di peccato, in previsione della morte salvifica di Gesù. Il sommo poeta Dante Alighieri (1265-1321) riassumeva la sua grandezza nella celebre frase, messa in bocca a san Bernardo: “Vergine Madre, Figlia del tuo Figlio”. Ed è esattamente quello che Papa Pio IX ha definito nel 1854, proponendo alla fede cristiana il dogma dell’Immacolata Concezione di Maria Santissima. Il secondo personaggio che siamo invitati a conoscere e ad ascoltare è il profeta Isaia. Il riassunto della predicazione di Giovanni Battista si trova proprio nel libro di questo profeta, al capitolo 40. Isaia vi annuncia la liberazione del popolo di Israele e della città santa, Gerusalemme. Il precursore di Gesù riproporrà lo stesso annuncio, applicandolo al tempo della venuta del Salvatore. Anche la predicazione di Gesù sarà come l’applicazione della profezia di Isaia, al capitolo 61, che si realizza nell’oggi del Salvatore (Basta leggere Luca 4, 16-21).

Il terzo personaggio è appunto Giovanni Battista. Giovanni Battista è il prototipo dell’uomo che Dio si è preparato, perché stia davanti al suo volto, che per noi è Gesù. Gesù infatti è il Verbo del Padre, è il Figlio di Dio. Solo attraverso di lui possiamo entrare nel mistero della Santissima Trinità, con l’aiuto della grazia e l’assistenza dello Spirito Santo. Giovanni Battista davvero è la sintesi dell’Antico Testamento. Egli è la sintesi di tutta la storia di Israele, che si può riassumere in una sola parola: l’attesa. E non si può attendere se non si crede fortemente, in Dio nel caso presente. Dio stesso del resto aspettava di essere atteso, perché logicamente se Dio non è atteso, non può venire. Giovanni Battista parla di questa attesa; è come se egli fosse un qualcosa di eccentrico, con il peso della sua persona che non gravita normalmente: è come sbilanciato, perché si protende in avanti, verso la promessa di Dio: egli è: “Voce di uno che grida nel deserto: preparate la via del Signore!” (Luca 3, 4).

Ognuno di noi deve essere sbilanciato, proteso verso la ricerca di Dio, di cui siamo immagine e somiglianza (Genesi 1, 26). Il grande pensatore e scienziato francese Blaise Pascal (1623-1662) diceva: “L’homme dépasse l’homme” (= l’uomo supera l’uomo stesso), per indicare che noi, essendo immagine di Dio, non possiamo bastare a noi stessi, perché siamo troppo piccoli. Dobbiamo guardare a Dio, dobbiamo rivolgerci a Lui: solo così possiamo trovare veramente noi stessi e sperimentare la salvezza in Gesù.

Giovanni Battista ci porta ad accogliere il Signore che viene, da qualsiasi situazione nella quale ci troviamo a vivere. Sei un pubblicano? Al tempo di Gesù  consideravano i pubblicani la maschera del peccato, l’immagine stessa del peccato: collettori di tasse, ladri, collaborazionisti con un potere straniero dominatore, quindi immondi. Il Battista propone di esercitare la misericordia anche nel loro abisso di abominio. Sei un soldato? Sei al servizio delle armi che uccidono? Sei al servizio del potere che produce la morte? L’insegnamento di Giovanni invita anche i soldati a guardare avanti, a fissare gli occhi sul Messia che viene, per essere ben disposti ad accogliere la sua rivelazione e ad essere giusti nel nostro comportamento.

Allora ci vuole il battesimo, dice il Precursore. Il suo battesimo non innalza l’uomo verso Dio. Lo immerge solo nella sua verità. Entrando nell’acqua del Giordano, si doveva proclamare ad alta voce i propri peccati, per dire la verità di quello che siamo nella nostra creaturalità, per attendere “il più forte“, colui che ci battezzerà “in Spirito Santo e fuoco!” (Luca 3, 16). Allora Gesù, il Cristo, ci immergerà nella vita stessa di Dio, donandoci lo Spirito. Questa è la nostra salvezza!

San Daniele Comboni (1831-1881) è stato per i popoli dell’Africa Centrale come un precursore. Ma faceva di più, rispetto a Giovanni Battista: con i suoi Missionari proclamava il Vangelo, cioè l’annuncio della salvezza, ottenuta dal Cristo, grazie alla sua vita donata sulla Croce. Per questo la prima Missione fondata a più di mille chilometri a sud di Khartoum (Sudan) fu giustamente denominata “Santa Croce“. Il 15 febbraio del 1879, così scriveva alla Società di Colonia (che lo aiutava economicamente): “Il cuore del Missionario, di fronte a tante afflizioni…non deve perdersi d’animo…  Solo nella Croce sta il trionfo! … Gesù Cristo è morto crocifisso anche per gli Africani!”.

Tonino Falaguasta Nyabenda

missionario comboniano
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