Prima lettura (Gen 3,9-15.20)
[Dopo che l’uomo ebbe mangiato del frutto dell’albero,] il Signore Dio lo chiamò e gli disse: «Dove sei?». Rispose: «Ho udito la tua voce nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto». Riprese: «Chi ti ha fatto sapere che sei nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?». Rispose l’uomo: «La donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato». Il Signore Dio disse alla donna: «Che hai fatto?». Rispose la donna: «Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato».
Allora il Signore Dio disse al serpente:
«Poiché hai fatto questo,
maledetto tu fra tutto il bestiame
e fra tutti gli animali selvatici!
Sul tuo ventre camminerai
e polvere mangerai
per tutti i giorni della tua vita.
Io porrò inimicizia fra te e la donna,
fra la tua stirpe e la sua stirpe:
questa ti schiaccerà la testa
e tu le insidierai il calcagno».
L’uomo chiamò sua moglie Eva, perché ella fu la madre di tutti i viventi.
Il testo descrive le conseguenze del peccato originale, “Dopo che l’uomo ebbe mangiato dell’albero”. Ogni persona è creata da Dio e ha in sé la vocazione di somigliare sempre più a Lui, nel diventare come Lui (3,5). Il serpente ha sfruttato abilmente tale desiderio e tensione per spingere Adamo ed Eva sul cammino sbagliato. Invece di lasciarsi guidare da Dio hanno preferito la loro percezione e il loro criterio, sfiduciando quello che Dio aveva preparato per loro. Sbagliato il cammino, la meta è irraggiungibile e subentra in loro la frustrazione e delusione.
Con il peccato Adamo esce dall’orizzonte di Dio cosciente dell’accaduto e percepisce la perdita di Dio, al punto che lo stesso Dio “lo chiamò e disse: “Dove sei’”. Adamo giustifica l’essersi nascosto e afferma: “ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto”. Alla fine del capitolo due si legge “Ora tutti e due erano nudi, l’uomo e sua moglie, e non provavano vergogna” (Gen 2,25).
La prima conseguenza del peccato è il mutato rapporto con Dio e il provare “paura” verso Lui, per esser venuta meno la sintonia e l’amicizia e rotto il legame di fiducia e l’alleanza. Allo stesso tempo cambia il rapporto con sé stesso, consistente nel subentro della “vergogna”, che impedisce ad Adamo di presentarsi per quello che realmente è, una persona inaffidabile a causa della seduzione del potere e l’auto determinazione.
Un secondo aspetto riguarda l’incapacità di assumere le proprie responsabilità quando Dio lo pone davanti al suo comportamento: “hai forse mangiato dell’albero che ti avevo comandato di non mangiare?”. La vergogna di ammettere lo sbaglio la scarica su Eva e risponde: “La donna che tu mi hai messo accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato”, come se fosse vittima dell’azione di lei, con l’aggravante di insinuare una certa colpevolezza in Dio per aver messo al suo fianco la donna, non all’altezza del compito. Cosicché, quella che prima del peccato aveva accolto con entusiasmo quale “osso elle mie ossa, carne della mia carne” (Gen 2,23) ora è come un’estranea: “La donna”.
Ma anche la donna entra nella stessa dinamica alla domanda di Dio: “Che hai fatto?”, e scarica la sua responsabilità: “Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato”. È un palleggio di responsabilità tra Adamo ed Eva che evidenzia la frattura dei rapporti con sé stessi, con Dio. Si è spezzata l’armonia, il senso profondo del vivere e della gioia.
È interessante notare che il serpente cammina nella polvere; “e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita”, e che “Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita” (Gen 2,7). Ciò suggerisce che la tentazione è costitutiva dei due e che li accompagnerà per tutta la vita, esposti alla seduzione.
Nonostante tutto, la loro caduta e debolezza non zittisce l’ultima parola di Dio all’infelice stile di vita e, soprattutto, al destino (quello che è, il dono di Dio). Dio stesso provvede alle condizioni per recuperare l’armonia compromessa.
E promette: “Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe”. Sono due stirpi che vivranno nello stesso mondo, due mondi opposti in tensione e conflitto fra loro. Toccherà alla loro libera decisione decidere quale scegliere con consapevolezza.
Ebbene, Dio farà sì che “questa – la donna – ti schiaccerà la testa e tu – il serpente – le insidierai il calcagno”. Nella lotta, fino all’estremo il serpente non desisterà dall’insidiare, ma la vittoria finale sarà di Dio. (Fra parentesi, alcuni esperti assicurano che chi schiaccerà il capo è il figlio della donna; in tal caso il riferimento è ricondotto a Gesù che, con la sua morte e risurrezione, ha vinto la tentazione e il peccato degli uomini).
In ogni caso, all’inizio della creazione la tentazione ha vinto sulla donna. Nella pienezza dei tempi, con l’avvento di Gesù Cristo, un’altra donna la sconfiggerà.
È il confronto fra Eva e Maria. L’opera sarà portata a termine da Gesù.
Seconda lettura (Ef 1,3-6.11-12) – Commento a cura del Monastero Martis Domini
Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo,
che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo.
In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo
per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità,
predestinandoci a essere per lui figli adottivi
mediante Gesù Cristo,
secondo il disegno d’amore della sua volontà,
a lode dello splendore della sua grazia,
di cui ci ha gratificati nel Figlio amato.
In lui siamo stati fatti anche eredi,
predestinati – secondo il progetto di colui
che tutto opera secondo la sua volontà –
a essere lode della sua gloria,
noi, che già prima abbiamo sperato nel Cristo.
Il testo è uno dei tre grandi inni Cristologici di Paolo, che cantiamo anche durante i Vespri ogni settimana e che ci fa riflettere sul ruolo di Gesù nel progetto di amore del Padre. In particolare questo inno da Efesini ci parla della predestinazione dei credenti. È il Padre che sin dall’inizio dei tempi aveva pensato a noi, per renderci santi, per renderci suoi figli.
Questo inno si adatta bene a Maria. Nel piano della creazione-redenzione del mondo Maria aveva un ruolo molto importante, e Dio Padre l’aveva scelta per essere santa e immacolata. Questo però non è solo un privilegio suo. Anche ciascuno di noi è chiamato a questa via di santità, cioè a quella relazione di amore forte e incondizionato che ha legato Maria con il Signore. Riflettere su di lei, sulla sua esperienza di vita e di fede ci aiuta a camminare nelle vie che portano alla nostra pienezza e felicità.
“Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo.”
L’inno apre la lettera agli Efesini. Paolo applica qui lo stile delle “Berakot”, le benedizioni che ogni giorno gli ebrei osservanti rivolgevano al Signore, benedicendolo per tutti i suoi doni. L’apostolo benedice Dio perché ha benedetto gli Efesini. La benedizione – “dire bene” – augurare il bene, è importante nella mentalità orientale. Dio ci ha benedetto perché grazie all’incarnazione e alla morte/risurrezione di Cristo si è chinato su di noi, ci ha dato accesso ai cieli e ci ha dato benedizioni spirituali. Qui si può leggere la presenza dello Spirito, quindi la benedizione si manifesta nella pienezza dell’incontro con tutta la Trinità.
“In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità”.
Paolo ci spiega ora in cosa consista questa benedizione. Si tratta della sua scelta; Egli ci ha scelti, ci ha eletto, come aveva scelto il popolo di Israele. C’è un’iniziativa gratuita di Dio che precede ogni presupposto o pretesa umana. È una gratuità che parte dal Padre e ha avuto inizio prima della creazione del mondo. Non si tratta tanto di un dato temporale, quanto piuttosto la gratuità di questa iniziativa di Dio, la sua presenza in ogni istante della nostra esistenza. Santi e immacolati ha una tonalità cultuale e liturgica: indica cioè la condizione giusta per innalzare a Dio il vero culto, la vera celebrazione.
“predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà, a lode dello splendore della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel Figlio amato.”
Continua la storia del processo di salvezza, la benedizione che abbiamo ricevuto. Il progetto di Dio si attua per mezzo di Gesù Cristo e consiste nel far partecipare tutti i credenti alla sua condizione di figlio unico e amato. Si parla di adozione, non per sminuire la realtà dell’essere figli ma per sottolineare la differenza con la figliolanza di Gesù, che è modello e fonte di quella di tutti gli altri figli. C’è un amore gratuito che si espande in tutta la sua pienezza!
“In lui siamo stati fatti anche eredi, predestinati – secondo il progetto di colui che tutto opera secondo la sua volontà a essere lode della sua gloria, noi, che già prima abbiamo sperato nel Cristo.”
La liturgia salta i vv 7-10, che parlano del perdono dei peccati che abbiamo ricevuto grazie a Cristo. Con il v. 11 torniamo all’argomento dell’adozione e dell’eredità che riceviamo in quanto figli di Dio. Nei versetti 11-13 vi è la ripetizione, per tre volte, delle parole in lui che sottolinea l’idea dell’unificazione e del senso della storia in Cristo.
Non vi è più un privilegio di razza. Tutti sono ammessi a questa figliolanza. Certo Paolo qui parla di un prima del popolo di Israele, ma non vi è una preminenza. Solo i cristiani provenienti dal popolo di Israele hanno sperato prima nel Cristo ed erano pronti ad accoglierlo.
Vangelo (Lc 1,26-38)
In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te».
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio».
Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.
Il testo è molto conosciuto e commentato. In virtù del compito che Dio affiderà a Maria, la chiesa ritiene che, per il singolare privilegio, sia preservata dal peccato originale trasmesso da una generazione all’altra. Perciò, il termine di “Immacolata concezione” significa che, sin dal concepimento, è preservata dal peccato originale.
È un dono che Dio ha stabilito per lei, prima ancora del consenso personale. L’angelo, il messaggero di Dio, rivolgendosi a lei, la saluta e la sorprende al punto da non comprendere il senso delle parole che gli indirizza: “Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te”.
Lo sconcerto di Maria è tale che l’angelo la rassicura – “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio” – in modo che sappia come quel che segue procede dalla volontà di Dio, non per meriti o particolari capacità, condizioni o provenienza, ma come dono gratuito che richiede l’accettazione e il consenso.
Il dono e l’elezione non fanno di lei una super donna, come se tutto fosse facile. È una donna che ha fatto del dono di Dio il tesoro della vita, nel meditare nell’intimo quello che, man mano, accade al Figlio, non senza patemi e apprensioni riguardo l’azione e l’insegnamento di Gesù sconcertante, innovativo e rivoluzionario che suscita reazioni di sfiducia e rigetto estremo della gente e delle autorità, fino alla croce.
L’angelo spiega in cosa consiste il dono, la finalità, le conseguenze sulla base della promessa di Dio e la meta: “il suo regno non avrà fine”; è l’inizio di un processo che va ben oltre ogni esperienza e considerazione umana fino allora sperimentata.
Gli attori principali saranno la creatura che nascerà nel suo grembo, il “figlio dell’Altissimo” e lo Spirito Santo che “scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra”. Il Figlio e la potenza dello Spirito hanno l’origine nella determinazione dell’Altissimo. Tutto si svolge nell’ambito trinitario, nell’amore che qualifica l’essenza e l’esistenza dei rapporti che, per l’esorbitanza, coinvolge la creazione, l’opera delle loro volontà.
Come primo passo, “porta di entrata” e inizio del singolare e nuovo processo di redenzione, la Trinità chiede la collaborazione di Maria nel procedere. In questo senso Maria rappresenta tutta l’umanità di ogni tempo.
Essendo l’azione di Dio permanente nei secoli, l’umanità imitando Maria si rende disponibile e pronta a far nascere in sé la realtà di Dio per la quale, le persone, diventano come Lui nella condizione di figli adottivi e dimora del Signore.
Nella risposta di Maria – “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola” – emerge il germe del rinnovamento, della rigenerazione, dei credenti nella promessa di liberazione dal peccato e della costruzione di un mondo nuovo. Con il suo atteggiamento ella genera nel cuore, prima che nel seno, la nascita del Figlio.
La generazione nel cuore del Figlio è alla portata di ogni credente, e trova in Maria il modello e l’intercessione. Cosicché, Maria, coinvolta in maniera singolare e radicale, nell’azione trinitaria e nella missione del Figlio, ha fatto sì che la chiesa creda e professi il suo singolare privilegio, motivo dell’odierna ricorrenza festiva.