Prima lettura (Ger 33,14-16)
Ecco, verranno giorni – oràcolo del Signore – nei quali io realizzerò le promesse di bene che ho fatto alla casa d’Israele e alla casa di Giuda.
In quei giorni e in quel tempo farò germogliare per Davide un germoglio giusto, che eserciterà il giudizio e la giustizia sulla terra.
In quei giorni Giuda sarà salvato e Gerusalemme vivrà tranquilla, e sarà chiamata: Signore-nostra-giustizia.
“Ecco, verranno giorni”: il profeta riferisce l’oracolo del Signore riguardo il futuro che anticipa alcune caratteristiche e indica i segni premonitori. E garantisce che in quei giorni il Signore realizzerà “le promesse di bene che ho fatto alla casa d’Israele e alla casa di Giuda”.
Le promesse di bene a Israele sono pienezza di vita individuale, sociale, e modello per tutti i popoli. Sono promesse che Dio fece al popolo libero dalla schiavitù, ratificate con l’Alleanza nel Sinai. Si tratta dell’evento futuro/presente del destino della persona, della comunità e dell’umanità.
È il dono di tutti i tempi, che declina la consapevolezza e la coscienza della pace, la corretta convivenza tra i popoli, la qualità di vita della persona e della comunità. Tuttavia, la realizzazione si scontrerà con proposte alternative e ingannevoli, camuffate da politiche di dominio, di ricchezza, di potere nelle mani di pochi a svantaggio di molti, confinati nella marginalità, dalla vita disumana e, addirittura, esclusi.
Rimanere saldi nel destino è assumere la fede escatologica di Gesù, attiva “oggi e ora”, è un agire che sostiene e motiva valori individuali e sociali che consolidano la coscienza e la consapevolezza di accogliere la sovranità di Dio e l’avvento del suo Regno.
Ma, sull’altro versante, forze contrarie suscitano conflitti contrari al destino sopra esposto. È il dramma della violenza, dell’ingiustizia e altro, che sostiene chi aderisce alla seconda morte (Ap. 2,11; 20,6.14; 21,8), nell’ allontanare sempre più l’accoglienza del regno di Dio. Al riguardo dirà Gesù: “lascia che i morti seppelliscano i loro morti” (Lc,9,60), salvo conversione.
In questo versante, persone coinvolte dalla sfiducia, dallo scoraggiamento, dall’insuccesso, demotivano l’impegno per la causa del Regno e favoriscono risposte individuali di impotenza e impossibilità nel praticare la giustizia sociale, l’equità, il diritto e le pari opportunità, ossia il cammino della sovranità di Dio.
Tuttavia l’insegnamento e la pratica di Gesù sono il permanente dono di riferimento e promessa nel percepisce Dio attivo, che fa sorgere nelle circostanze intuizioni, cammini di speranza che tracciano la direzione giusta e l’adeguata soddisfazione.
Tale evento è l’insieme di presente/futuro e futuro/presente che attiva Dio, nel senso che “farò germogliare per Davide un germoglio giusto, che eserciterà il giudizio e la giustizia sulla terra”, nel fare che la missione del re (e del credente) declini la salvezza, soprattutto a favore dei deboli esposti al sopruso, le vedove, gli orfani e gli stranieri.
Il re sarà apprezzato nella misura in cui è garante ed esecutore della giustizia, che lo qualifica “germoglio giusto” – discendente del re Davide – espressione della sua volontà e del suo amore per il popolo. Di conseguenza “in quei giorni” la giustizia e la pace trionferanno.
La fiducia nella promessa è fondamentale per mantenere gli occhi fissi nel Signore, e non soccombere alla forza devastatrice del male e del peccato. Nella circostanza il futuro/presente è speranza, è verità etica del comportamento. Ma non solo, è dinamica dell’azione del re, spirale in continua espansione per l’attenzione al contesto e alle circostanze nell’elaborare processi di maggiore profondità e qualità, in sintonia all’avvento della sovranità di Dio. È la dinamica che non finirà mai.
“In quei giorni Giuda sarà salvato e Gerusalemme vivrà tranquilla, e sarà chiamata: Signore-nostra-giustizia”. Il germoglio discendente di Davide è il Messia. L’Avvento è il momento in cui Gesù è partecipe alla fine dei tempi (il futuro) e al presente, oggi (qui e ora) e afferma ai discepoli: “ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20) e “il Signore agiva insieme con loro e confermava la parola con segni che la accompagnavano” (Mc16,20).
Natale è vivere il presente/futuro e il futuro/presente (è da ricordare che in Dio non c’è passato né futuro, ma solo presente). L’evento non sarà percepito in modo univoco, ma sarà differente secondo le diversità di etnie, culture e organizzazione per la ricapitolazione in Cristo.
La differenza è tra chi è nell’orizzonte della promessa e chi, invece, non l’ha presa in considerazione. La condotta dei primi trova, nella seconda lettura, riscontri importanti e decisivi.
Seconda lettura (1Ts 3,12-4,2)
Fratelli, il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell’amore fra voi e verso tutti, come sovrabbonda il nostro per voi, per rendere saldi i vostri cuori e irreprensibili nella santità, davanti a Dio e Padre nostro, alla venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi santi.
Per il resto, fratelli, vi preghiamo e supplichiamo nel Signore Gesù affinché, come avete imparato da noi il modo di comportarvi e di piacere a Dio – e così già vi comportate –, possiate progredire ancora di più. Voi conoscete quali regole di vita vi abbiamo dato da parte del Signore Gesù.
Per la comunità cristiana era imminente la “venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi santi”. La comunità riteneva che l’ultimo e definitivo Natale del Signore Gesù Cristo stava per compiersi e, pertanto, era necessario prepararsi ad accoglierlo nel modo dovuto; e la cosa migliore era intensificare la pratica dell’amore vicendevole. Al riguardo Paolo prega il Signore che “vi faccia crescere e sovrabbondare nell’amore fra voi e verso tutti, come sovrabbonda il nostro per voi”, in modo da “rendere saldi i vostri cuori e irreprensibili nella santità, davanti a Dio e Padre nostro”.
Paolo si riferisce all’esercizio della carità, propria di chi, attento ai bisogni, alle esigenze dell’altro nelle circostanze del momento, si rapporta in modo audace, coraggioso e creativo, con soddisfazione del donante e del ricevente, nel constatare l’adeguata risposta alla necessità e al rapporto interpersonale e sociale fraterno.
L’avvento qualifica e rafforza la comunione, la fiducia vicendevole, rende saldi e tenaci i cuori delle persone coinvolte nella pratica di sinceri e trasparenti rapporti, che permettono di essere sé stessi, senza maschere, nel manifestare la propria originalità e consolidare la vera comunione, nel rispetto della diversità. È la qualità del rapporto che rende le persone “irreprensibili nella santità, davanti a Dio e Padre nostro”, perché la santità – il cammino dell’amore – è accoglienza e partecipazione della santità di Dio.
La volontà irreprensibile della pratica dell’amore genera, nella coscienza, la soddisfazione e la gioia del rapporto con Lui. L’amore determina e sostiene la pratica coraggiosa, audace, creativa e gratuita che “avete imparato da noi – Paolo – e il modo di comportarvi e di piacere a Dio”. A tal fine l’apostolo prega e supplica il Signore affinché “possiate progredire ancora di più”, dato che l’amore è un pozzo senza fondo.
Egli non solo esprime il desiderio del suo cuore a favore del loro bene personale, ma indica che l’impegno nel progredire porta risultati positivi e soddisfacenti per loro stessi e per i destinatari, perché trasmette l’amore come l’hanno ricevuto da Cristo Signore.
Solo trasmettere il dono aumenta e si consolida l’effetto in chi lo trasmette, oltre beneficare chi lo riceve. Il dono chiuso in sé stesso è deleterio, è come il sangue che non circola nelle arterie e causa nefaste conseguenze. Per progredire occorre attenersi alle indicazioni precise che l’apostolo ricorda loro: “Voi conoscete quali regole di vita vi abbiamo dato da parte del Signore Gesù”.
Si tratta di agire in modo che esse – correttamente elaborate nel contesto e nella circostanza del momento – siano fonte e stimolo di audacia, creatività e coraggio per l’azione dello Spirito, in modo che all’aumento del sapere si aggiunga il sapore dell’esistenza e la gioia profonda di chi trasmette e di chi riceve.
È importante percepire il rapporto e le azioni del presente in sintonia con l’escatologia presente/futura che sostiene e accompagna l’azione pastorale del credente e della comunità, ovvero il permanente Natale
Vangelo (Lc 21,25-28.34-36) – adattamento dal commento di Alberto Maggi
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte.
Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria.
Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina.
State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso; come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo».
La chiesa celebra il Natale, la venuta del Signore, con il tempo dell’Avvento. Nella preparazione essa riprende testi importanti dell’Antico Testamento che riguardano l’attesa di quell’evento, e hanno attinenza con la venuta del Figlio dell’uomo.
I testi, al di là dell’annunzio dello sconvolgimento spaventoso di tutto, trasmettono il grande incoraggiamento che Gesù dà alla sua comunità, che può scoraggiarsi di fronte alle strutture di potere che dominano la società.
L’avvento del Messia suscita nella comunità credente la riflessione sull’insegnamento e l’avvento escatologico nel presente, che in sé è il destino di ogni persona, della comunità. Destino da intendere non come meta finale da raggiungere, ma ciò che è: la vita eterna donata da Dio.
Questa realtà fa sì che Gesù risponda alla domanda che i discepoli gli hanno fatto: “Vi saranno segni”. Egli aveva annunziato la distruzione del tempio di Gerusalemme, perché un’istituzione religiosa che adopera il nome di Dio per sfruttare il popolo, per sfruttare i poveri, non ha diritto di esistere.
Allora i discepoli chiedono: “quale sarà il segno che ciò sta per compiersi?” Gesù risponde: “Vi saranno segni …” e adopera il linguaggio dei profeti: “Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle”. Il sole e la luna, nella cultura del tempo, nel mondo pagano, erano degli dèi che venivano adorati dai popoli. E tutti coloro che detenevano un potere si consideravano residenti nei cieli; il faraone era un Dio, l’imperatore romano era un Dio o un figlio di Dio. Tutti quelli che detenevano un potere si consideravano come stelle.
Ebbene, Gesù assicura che, grazie all’annunzio del vangelo, tutte queste strutture di potere, una dopo l’altra, crolleranno: “vi sarà sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti”. È il crollo degli imperi che dominavano, però davano sicurezza, ordine. Lo stesso Sant’Agostino quando sente scricchiolare l’Impero Romano, quella struttura portentosa, diceva: “E’ arrivata la fine del mondo”. Non era pensabile concepire un mondo senza la potenza dell’Impero Romano.
“Allora vedranno”. È interessante che Gesù non dica “vedrete”; pertanto non è una catastrofe che riguarda l’umanità, ma una catastrofe che riguarda ogni sistema di potere che sfrutta l’uomo per la propria convenienza.
È il momento in cui si sfalda e si sbriciola il loro potere; sono loro che, nel momento della caduta, “allora vedranno il Figlio dell’uomo (…)” – Figlio dell’uomo è un termine con il quale Gesù indica sé stesso, l’uomo nella pienezza della condizione divina – “(…) venire su una nube – immagine della condizione divina – con grande potenza e gloria”.
Nel momento in cui le potenze saranno sconvolte si afferma la potenza del Figlio dell’uomo, che non è la potenza del dominio ma dell’amore, che si fa generosità e servizio; e la “gloria” del Figlio dell’uomo è l’amore incondizionato di Dio per la sua gente. Con esso Gesù inaugura il regno dell’umano, e tutto quello che è disumano è destinato a scomparire.
Ed ecco le parole di grande consolazione, di grande speranza e di grande incoraggiamento: “Quando cominceranno ad accadere queste cose …” – queste immagini non devono mettere paura ma, anzi, devono generare gioia – “(…) risollevatevi e alzate il capo (…)”, – laddove il capo rappresenta la dignità della persona –,” (…) perché la vostra liberazione è vicina”. Quindi non è un annuncio che mette paura, ma un annuncio d’incoraggiamento: non c’è struttura di potere che prima o poi non sia destinata a crollare. Tutti i regimi di potere, civili e religiosi che, anziché servire l’uomo lo dominano e lo sfruttano, sono destinati a scomparire.
Poi qui, incomprensibilmente, i liturgisti tagliano dei versetti che sono importanti; in particolare quando Gesù dice: “così anche voi quando vedrete accadere queste cose sappiate che il regno di Dio è vicino” (v.31). Perché? La distruzione di Gerusalemme e del suo tempio permetterà finalmente l’ingresso anche dei pagani nel regno di Dio, quindi sarà un evento positivo. E l’assicurazione di Gesù, “il cielo e la terra passeranno, – cioè tutto passerà –, ma le mie parole non passeranno” (v.33), garantisce alla comunità che la forza del vangelo sarà più forte di qualunque potenza di dominio.
E Gesù disse loro una parabola. “Osservate una pianta di fico e tutti gli alberi. Quando già germogliano capite voi stessi, guardandoli, che ormai l’estate è vicina”. Ed ecco il punto centrale: “Così anche voi, quando vedrete accadere queste cose – quindi la fine di Gerusalemme e l’inizio dello sfaldamento di tutti i regimi che dominano le persone – “sappiate che il Regno di Dio è vicino” (v.29-31).
La società alternativa proposta da Gesù, con l’avvento del Regno di Dio, diventerà realtà e anche i pagani saranno ammessi. E poi Gesù mette in guardia con un monito: “Attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita”. Il richiamo è alla parabola dei quattro terreni dove per la convenienza, per l’interesse, si rende sterile il messaggio di Gesù.
Allora Gesù mette in guardia i discepoli perché se essi si sono integrati in una società ingiusta, quella che deve scomparire, subiranno la stessa sorte. E li allerta che quel giorno non gli piombi addosso all’improvviso come un laccio, perché esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra.
Quindi esorta la comunità: state attenti a voi stessi, non vi conformate alla mentalità di questo mondo che è la mentalità basata sull’egoismo, sull’interesse, sulla provenienza; altrimenti, come sono destinate a scomparire tutte queste potenze, così rischiate voi di fare la stessa fine.
Ecco allora l’invito di Gesù: “Vegliate – cioè stati svegli – in ogni momento pregando perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere e comparire davanti al Figlio dell’uomo – letteralmente stare di fronte e stare in piedi al Figlio dell’uomo -.
Questo messaggio è di grande incoraggiamento per la comunità: la comunità che è fedele al vangelo sarà veramente la luce che splende nelle tenebre e farà sì che le tenebre che soffocano l’umanità, a poco a poco, si dissipino.
Gesù invita a non essere conformi ad una società ingiusta perché questa è destinata a scomparire.