Sessant’anni fa

Pochi mesi fa padre Lorenzo Farronato, fu invitato in Italia da padre Venanzio Milani e dal gruppo di confratelli suoi compagni. Assieme a loro celebrò il sessantesimo anniversario della sua ordinazione sacerdotale. E’ ritornato in RDC e a fine novembre e ai primi di dicembre si trova a celebrare un altro sessantesimo, quello del martirio di molta gente, di religiosi e di missionari, tra i quali quattro padri comboniani uccisi a Rungu e Isiro dai ribelli Simba negli ultimi mesi del 1964. La testimonianza del martirio dei quattro padri comboniani, l’ha raccontata Fratel Carlo Mosca. Già altri confratelli hanno raccolto le testimonianze di Fr. Carlo portandole alla conoscenza di molti con vari scritti. Non possiamo dimenticare gli altri missionari comboniani che, come Fr. Carlo, hanno sofferto e si sono salvati: padre Ferdinando Colombo, Fr. Mario Pariani, padre Pasquale Merloni. Ed è di loro che ci parla P. Lorenzo.

Lascio quindi la parola a padre Lorenzo, che è stato uno dei primi comboniani volontari venuti in Congo per sostituire i martiri.

Sono fiero di essere comboniano e di aver lavorato con santi confratelli, che hanno dato la vita ed essere stato loro amico. In particolare i nostri tre confratelli uccisi a Rungu che durante la ribellione si erano ritirati nella foresta e che sono usciti e si sono consegnati ai ribelli perché non ci fossero rappresaglie contro gente. Non ho dubbi che siano veri martiri perché si sono sacrificati per salvare la popolazione di Rungu e dintorni dalla vendetta dei Simba. Pochi giorni prima a Isiro, assieme ad altri padri domenicani, fu ucciso padre Remo Armani. Il giorno appresso si consegnò anche P. Antonio Zuccalli, che fu ucciso sul ponte del fiume Rungu.

Dopo la preparazione anglofona come mai hai scelto di venire in Congo?

In effetti pur essendo stato in Inghilterra e di conseguenza avendo avuto una formazione anglofona in preparazione alla missione, è merito di padre Colombo Ferdinando se ho espresso il desiderio di essere inviato in Congo. padre Ferdinando mi aveva impressionato con il suo desiderio di ritornare in Congo al più presto possibile. Il padre diceva: “Già i commercianti ritornano per salvare le loro ricchezze. Non dobbiamo essere preceduti da loro, perché abbiamo dei motivi ben più alti dettati dalla nostra fede. Come disse Comboni: “Non si va in missione per portare valori effimeri o per sfruttare ma per portare la Salvezza”

A mia volta ebbi diverse occasioni di incontrare padre Colombo, anche nella sua missione di Mangoro, e immagino tu stesso gli hai reso frequenti visite…

Arrivai a Rungu il 10 gennaio 1968. Padre Colombo (che dal 1966 fu scelto dal Padre Generale come superiore della delegazione del Congo) nel 1974 decise di incardinarsi in diocesi di Isiro e di lavorare a Mangoro nei pressi di Watsa. Un giorno passando dalla sua missione dissi a padre Ferdinando: “Hai scelto divenire qui a Mangoro perché puoi usufruire della corrente e degli altri servizi forniti dalle miniere d’oro di Durba?”. Replicò: “ No Lorenzo! Al mattino quando mi sveglio apro la finestra e guardo quella collina dove ero prigioniero e da dove Dio mi ha salvato per misericordia. Così capisco e rinnovo il mio impegno di ogni giorno per questa nostra gente, perché per me ogni giorno è un dono. Su quella collina io dovevo morire con gli altri, ma Dio mi ha salvato perché continuassi a essere qui Suo testimone.

Com’è che padre Ferdinando si è salvato?

Si trovava nella missione a Tora ed è li che è stato fatto prigioniero dai Simba e portato a una novantina di chilometri nella cittadina di Watsa. Aveva una certa somiglianza con il medico delle miniere che lavorava a Watsa e disse ai Simba: “Avete mio fratello medico. Perché mi tenete rinchiuso quando posso andare ad aiutare mio fratello nell’ospedale? Così è stato portato all’ospedale per dare una mano a “suo fratello”. Quando i Simba hanno iniziato il massacro, gli infermieri hanno avvisato il dottore e il padre che certamente sarebbero stati uccisi. Sono riusciti a fuggire attraverso la foresta e mettersi in salvo.

Hai accennato anche ad altri esempi tra i primi confratelli in Congo…

Abbiamo un altro esempio con Fr. Carlo Mosca che era tra confratelli che sono usciti dalla foresta per consegnarsi ai ribelli ed evitare stragi tra la gente. Furono condotti al ponte sul Bomokandi di Rungu per essere uccisi. Spararono per primo a Fr. Carlo, ma la pallottola l’ha colpito alla spalla trapassandola da parte a parte senza ucciderlo. Caduto a terra e fingendosi morto ha sentito e seguito l’uccisione di padre Lorenzo Piazza, e di altri quattro padri domenicani. Creduto morto assieme agli altri martiri, fu gettato nel fiume e fortunatamente cadde nell’acqua senza sfracellarsi sulle numerose pietre. Dopo che i ribelli si furono allontanati riuscì a uscire dall’acqua e nascondersi in foresta. Dopo alcuni giorni affamato e vedendo che la ferita si era infettata e andava in cancrena, usci e fu ripreso dai ribelli che tentarono di avvelenarlo senza riuscirci. Fu accolto dalle suore che lo curarono. Era così scioccato che per quindici giorni non riusciva a parlare. Dopo varie vicissitudini finalmente poté rientrare in Italia per riprendersi. Ebbe il coraggio di ritornare in Africa. I suoi genitori si opposero al suo desiderio di ritornare in Congo, perché era figlio unico. Andò nella vicina Repubblica Centrafricana. Ritornò qui a Rungu rivisitando il ponte del martirio, e raccontarci come erano andate esattamente le cose.

Ho avuto modo di conoscere anche Fr. Mario Pariani che a sua volta è stato fatto prigioniero dai Simba ed ha sofferto molto.

Fratel Mario Pariani e padre Pasquale Merloni si trovavano nella missione di Ndedu quando arrivò da Aba (dove nei giorni precedenti erano stati uccisi sei Padri Bianchi) il capitano Gaston che si proponeva di salvarli consegnandoli a un commerciante greco. Ma giunsero anche dei S fuimba con tre padri agostiniani prigionieri, erano pazzi furiosi. Furono portati assieme ad altri prigionieri, presi in diverse zone, a Dungu. Subirono innumerevoli maltrattamenti e umiliazioni. Ogni mattina i ribelli li facevano uscire dalle loro prigioni improvvisate mettendoli con la faccia al muro e gridando che era giunta l’ultima ora e li avrebbero fucilati subito. Questo solo con lo scopo di creare in loro maggior paura e tensione. Furono poi trasportati a Aba. Qui, per merito di Monsignor Agostino Baroni, vescovo comboniano di Khartoum, che Fr. Mario e P. Pasquale si salvarono. Il nostro vescovo aveva contattato il commerciante greco Pothamianos che aveva alcune piantagioni a Tadu e Aba incaricandolo di trattare con ribelli, consegnando i soldi necessari per il riscatto. Anni dopo parlai con Pothamianos. Tra l’alto mi disse che Mons. Baroni era stato molto generoso nel dare soldi in abbondanza pur di salvarli. Dopo un periodo di cure e recupero in Italia, Fr. Mario, benché provato profondamente dall’esperienza, coraggiosamente chiese di ritornare in Congo che nel frattempo aveva cambiato nome in Zaire. Ritornò nel 1969 e lavorò a Rungu, Ndedu e Dungu, luoghi delle sue sofferenze. Ci visse per molti anni. Padre Pasquale non se la sentì più di ritornare perché era troppo scosso.

Qui a Magambe celebri ogni giorno con il bel calice che padre Lorenzo Piazza aveva ricevuto in dono dalla comunità comboniana di Brescia, in occasione della sua partenza per la missione. Una vera “reliquia”, dono di un martirio.

E’ un grande onore e un grande impegno celebrare con il calice di un martire. Prima di partire in missione per la prima volta, accompagnato da mia mamma Marcellina, ebbi la possibilità di rendere visita alla mamma di padre Lorenzo Piazza in Liguria. Il papà di padre Lorenzo era un comandante di navi da trasporto merci ed era morto tragicamente in un naufragio. Padre Lorenzo era figlio unico. La mamma rimasta sola non aveva neanche una tomba su cui piangere, né quella del marito morto in mare, né quella del figlio ucciso e gettato nel fiume. Ho detto a questa mamma addolorata: “Signora io andrò li nella missione dove c’era suo figlio, e porto lo stesso nome. Sarò felice di essere nei luoghi dove lui ha lavorato”. Lei triste guardò me e poi la mia mamma dicendogli: “Grazie. Ma lei il suo Lorenzo l’ha ancora qui”.

Qual sono i frutti del loro martirio?

Guardando le tombe vuote dei nostri confratelli gettati nel fiume, P. Corrado Tosi mi diceva: “Abbiamo degli esempi troppo grandi di missionari santi e capaci, come li voleva il Comboni, che certamente porteranno bei frutti nei nostri giovani che crescono con la vocazione di missionari comboniani. Sono più che certo che sono dei veri martiri perché hanno dato la vita per il Signore e per salvare tante persone. La Chiesa prima o poi li dichiarerà beati. Il seme gettato a terra produce e produrrà molto frutto. Mi è stato sussurrato all’orecchio, che i padri domenicani del Belgio stanno per introdurre la domanda per l’inizio del processo di beatificazione per i loro e per i nostri quattro confratelli comboniani tutti martiri. Con loro ne hanno diritto Vescovi, sacerdoti religiosi, suore e molta altra gente trucidata dai Simba. Già abbiamo il riconoscimento della prima martire uccisa , la Beata Anwarite Clementine Nengapeta, uccisa a Isiro il primo dicembre 1964, lo stesso giorno del martirio dei nostri confratelli .

E’ importante per noi ricordare i confratelli che hanno dato la loro vita e che hanno amato questa nostra gente. All’inizio del ponte sul Bomokandi, abbiamo piantato una croce in ferro con alla base una lapide con i loro nomi, e nei pressi una bella cappella iniziata da tuo fratello Giuseppe, dedicata alla Beata Clementine Anwarite Nengapeta. Mentre qui a Magambe abbiamo costruito un piccolo “Memoriale” benedetto da Mons. Janvier Kataka allora Vescovo di Wamba.

Proprio il primo dicembre in occasione del sessantesimo anniversario del martirio dei nostri quattro confratelli e di tutti gli altri martiri, celebreremo solennemente la Santa Messa qui al Memoriale non solo in ricordo di fatti avvenuti sessant’anni fa, ma anche come richiamo all’impegno a vivere con fedeltà, dedizione e coraggio, nella realtà di ogni giorno, come segno visibile l’amore del Signore per la nostra gente. E’ una realtà che si proietta anche nel futuro ed è pegno e garanzia dell’Amore di Dio che siamo chiamati a testimoniare per questa terra e questi fratelli .