Questa 33° Domenica si presenta allora come un tempo nel quale siamo invitati a meditare sulla finitudine delle cose, della nostra vita e della nostra “casa comune“, la Terra (come l’ha definita Papa Francesco), con l’universo che la contiene. La prima comunità cristiana ha vissuto, in quei tempi, i terribili e tragici avvenimenti della distruzione di Gerusalemme del 70 dopo Cristo ad opera dell’esercito romano, comandato da Tito, figlio dell’imperatore Vespasiano.
Ma vediamo che cosa era successo a Jamnia, una località vicina a Tel Aviv attuale (Israele), proprio in quelle circostanze. Nel 40 dopo Cristo, un gruppo di Giudei distrusse un’ara eretta in quella località in onore dell’imperatore Caligola (12-41 dopo Cristo), che voleva essere adorato come un Dio. Caligola allora ordinò al suo Legato in Siria, Publio Petronio, di erigere una sua statua d’oro all’interno del santuario del tempio di Gerusalemme. Il che sarebbe stato un sacrilegio inaudito. Il Legato temporeggiò, conoscendo la possibile reazione dei Giudei. Ma Caligola, inviperito, ordinò a Publio Petronio di suicidarsi. Per fortuna l’imperatore venne ucciso prima (il 24 gennaio del 41) e la vita del Legato fu salva.
Ma la ribellione dei Giudei, istigata dagli Zeloti, si trasformò in guerra aperta nel 66 dopo Cristo. Il generale Vespasiano allora fu inviato dall’imperatore Nerone (37-68 d. C.) per domarla. Il rabbino Johannan ben Zakkai, avendo capito che la macchina da guerra romana stava per distruggere tutto, ha chiesto di essere portato dai suoi discepoli dentro una bara, coperto da carne di maiale (animale impuro per i Giudei) dinanzi a Vespasiano. Gli predisse che sarebbe diventato imperatore (ciò che avvenne realmente nel 69). Poté chiedere allora di spostarsi a Jamnia (cittadina vicino a Tel Aviv in Israele). A Jamnia, Ben Zakkai, dopo la distruzione del Tempio, che fece scomparire anche la liturgia tradizionale, sostituì i sacrifici di animali con la preghiera e la meditazione della Parola di Dio. In questo modo riuscì a salvare la cultura e la spiritualità del suo popolo.
Tutti questi avvenimenti tragici sconvolsero anche la piccola comunità cristiana. Molti, ricordandosi della profezia di Gesù (Matteo 24, 15), si rifugiarono a Pella, al di là del fiume Giordano. E la loro riflessione unì i tragici avvenimenti della distruzione di Gerusalemme con la fine dei tempi e la manifestazione gloriosa del Signore. Addirittura alcuni, considerando il ritorno del Cristo ormai imminente, vendettero tutti i loro beni. Per questo l’Apostolo Paolo scrisse una delle sue lettere sull’argomento. E, oltre a prospettare un ritorno del Cristo in un’ora che solo il Padre conosce, come dice il Vangelo di oggi (Marco 13, 32), invita i discepoli del Signore a non restare nell’attesa oziosa della parusia (= avvento glorioso di Cristo alla fine del Mondo), ma a lavorare. Dice san Paolo: “Infatti quando eravamo presso di voi, vi abbiamo sempre dato questa regola: chi non vuole lavorare, neppure mangi! Sentiamo infatti che alcuni fra voi vivono una vita disordinata, senza fare nulla e sempre in agitazione. A questi tali, esortandoli nel Signore Gesù Cristo, ordiniamo di guadagnarsi il pane, lavorando con tranquillità!” (2 Tessalonicesi 3, 10-12). Karl Marx ha copiato la sua frase celebre (= chi non lavora non mangi!) evidentemente da san Paolo e dalla tradizione giudaica.
Quando pensiamo alla fine del Mondo, siamo pieni di paura. Invece il Vangelo di oggi ci dona speranza. Dice il Signore: “In quei giorni, dopo la tribolazione, il sole si oscurerà…, le stelle cadranno dal cielo” (Marco 13, 24-25). La tribolazione riguarda la caduta di Gerusalemme e la distruzione del tempio. Il sole, la luna, le stelle… erano le divinità adorate dai pagani e alle quali si chiedeva la prosperità dei regni di questo Mondo. I regni e gli imperi, a causa della proclamazione del Vangelo, perderanno del loro splendore e cadranno in rovina. Tutti i poteri di persone che si considerano divinità (come gli imperatori romani e i dittatori di vario genere, anche attuali) si dissolveranno come neve al sole. “Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi” (Marco 13, 26). Chi sono quelli che lo vedranno? Il sole, le stelle… e cioè le false potenze, i falsi dei. Perderanno del loro splendore alla vista del Figlio dell’Uomo. “Sulle nubi” e cioè nella sua condizione divina. Non è necessario conoscere l’ora esatta di quello che accadrà. Ma sappiamo con certezza che tutto è nelle mani di Dio, che è un Padre.
Il nostro compito, il compito della Comunità Cristiana, è quello di essere fedele al messaggio del Vangelo. Questo messaggio è come una piccola pietra, secondo il sogno del profeta Daniele (Daniele 2, 26-45), che crescerà e farà crollare l’immensa statua dei poteri di questo mondo, poteri che si appoggiano su false divinità. I Cristiani, anche se sono la comunità più perseguitata al Mondo (350 milioni di discepoli di Gesù attualmente vivono la loro fede nella persecuzione!), devono confidare in Dio e affidarsi alla sua bontà senza limiti.
San Daniele Comboni (1831-1881) aveva una fiducia totale in Dio. La Missione nell’Africa Centrale, secondo il Comboni, non era un’opera umana, ma era un’obbedienza a Gesù, che ci invia in tutto il Mondo a predicare il Vangelo e a far conoscere che nel Cristo tutti sono salvi e amati da Dio come figli e figlie (Marco 16, 15-16). A questo scopo ha scritto un Piano, nel settembre del 1864, e lo ha presentato anche al Papa Pio IX, che lo ha approvato e gli ha detto: “Ti do la mia benedizione: labora sicut bonus miles Christi” (= lavora come un buon e bravo soldato di Cristo). Il Comboni, scrivendo a don Nicola Mazza, suo superiore, il 31 ottobre del 1864, così diceva: “Le parole del Papa, si stamparono nel profondo del mio cuore…. Con la benedizione del Papa non temo più nulla!”. Ed è andato avanti fino alla morte nella fondazione della Chiesa in Africa Centrale.
Tonino Falaguasta Nyabenda
missionario comboniano
Vicolo Pozzo 1 – 37129 V E R O N A