Prima lettura (Dt 6,2-6)
Mosè parlò al popolo dicendo:
«Temi il Signore, tuo Dio, osservando per tutti i giorni della tua vita, tu, il tuo figlio e il figlio del tuo figlio, tutte le sue leggi e tutti i suoi comandi che io ti do e così si prolunghino i tuoi giorni.
Ascolta, o Israele, e bada di metterli in pratica, perché tu sia felice e diventiate molto numerosi nella terra dove scorrono latte e miele, come il Signore, Dio dei tuoi padri, ti ha detto.
Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze.
Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore».
Il brano riguarda l’intervento e le raccomandazioni di Mosè al popolo nell’imminenza dell’entrata nella terra promessa, dopo la liberazione dalla schiavitù dell’Egitto e la traversata del deserto. Si sta compiendo la promessa del Signore di introdurre il popolo in una terra di “latte e miele”, metafora per indicare una condizione di benessere, armonia e pace.
La nuova condizione di persone libere dalla schiavitù, rigenerate dal Signore nella dignità di popolo eletto, deve essere non solo mantenuta ma sviluppata con le indicazioni che Mosè trasmette: “Questi sono i comandi, le leggi e le norme che il Signore, vostro Dio, ha ordinato insegnarvi, perché li mettiate in pratica nella terra in cui state per entrare per prendere possesso”.
Questo affinché “tu tema il Signore tuo Dio”, coinvolga tuo figlio, la discendenza e si prolunghino i tuoi giorni. In altri testi si afferma che il timore di Dio è il principio della sapienza, e consiste nell’accogliere con intelligenza e con l’opportuna disposizione la conoscenza delle azioni del Signore lungo la storia, e farne un tesoro irrinunciabile.
Di conseguenza, la fiducia nel Signore e nel suo agire nel presente motiva la volontà, il senso ultimo e profondo della legge e dei comandamenti con rispetto, dedicazione reverenziale e gratitudine, che costituiscono l’essenza del timore.
Il timore non ha nulla a che vedere in primo luogo con qualsiasi forma di paura, di castigo o di rimprovero. Certo che il Signore non resta indifferente alla trasgressione, alla superficialità al suo riguardo, ma non è rapportabile con il senso ultimo del timore richiesto.
Il corretto timore, nella pratica dei rapporti interpersonali e sociali, farà sì che il popolo d’Israele “sia felice e diventiate molto numerosi – segno di benedizione – nella terra dove scorrono latte e miele, come il Signore, Dio dei vostri padri, ti ha detto”. L’effetto è rigenerare persone libere che coltivano la libertà per amare, nei rapporti interpersonali e sociali, con la pratica del diritto e della giustizia – l’opposto di quello che fu la condizione in Egitto -; in altre parole, l’avvento della sovranità di Dio, del suo regno.
La fedeltà all’obiettivo richiede l’atteggiamento di fondo sostenuto e motivato dall’esortazione che è l’asse del credo d’Israele. Sono parole molto impegnative che il buon Israelita recita tre volte al giorno: “Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le tue forze”.
Ascoltare è molto più che udire o accoglierne la sola informazione. È coinvolgersi con tutte le facoltà e determinazione nel contenuto trasmesso – rifermento imprescindibile della vita individuale e sociale – declinando in ogni circostanza scelte e azioni coerenti e appropriate.
Il contenuto normalmente non si esaurisce nel trasmettere la volontà del Signore ma innesca la dinamica, il processo, sul modo di affrontare e rispondere fedelmente all’Alleanza suscitata dall’ascolto coinvolgente. È quello che configura “l’amore al Signore, tuo Dio”, la risposta di amore al suo amore per la salvezza del popolo credente.
Ecco, allora, l’esortazione: “Questi precetti che oggi ti do, ti siano fissi nel cuore”.
Nella cultura del tempo il cuore non è la sede del sentimento, dell’emozione e dell’affetto, come lo è per noi oggi, ma il luogo del pensiero, dell’elaborazione delle idee e dell’azione, dell’intelligenza, del progetto per il bene sociale e individuale del popolo.
L’ esortazione appunta a non perdere né deviare dai riferimenti imprescindibili della pratica del diritto e della giustizia, nelle circostanze personali e sociali che si presentano, in modo che sia manifesta la pratica e l’accoglienza della sovranità di Dio.
Tuttavia il comportamento sarà ben diverso. Gesù entrando nel mondo darà le coordinate corrette, come rileva la seconda lettura.
Seconda lettura (Eb 7,23-28)
Fratelli, [nella prima alleanza] in gran numero sono diventati sacerdoti, perché la morte impediva loro di durare a lungo. Cristo invece, poiché resta per sempre, possiede un sacerdozio che non tramonta. Perciò può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio: egli infatti è sempre vivo per intercedere a loro favore.
Questo era il sommo sacerdote che ci occorreva: santo, innocente, senza macchia, separato dai peccatori ed elevato sopra i cieli. Egli non ha bisogno, come i sommi sacerdoti, di offrire sacrifici ogni giorno, prima per i propri peccati e poi per quelli del popolo: lo ha fatto una volta per tutte, offrendo sé stesso.
La Legge infatti costituisce sommi sacerdoti uomini soggetti a debolezza; ma la parola del giuramento, posteriore alla Legge, costituisce sacerdote il Figlio, reso perfetto per sempre.
L’autore, un ebreo (o la comunità) convertito, scrive ai connazionali riguardo all’evento Gesù Cristo con riferimento alla figura del Sommo sacerdote, figura centrale e garante del culto religioso d’Israele in rapporto all’alleanza.
Ebbene, l’autore afferma che Gesù Cristo “è diventato garante di un’alleanza migliore”, non solo perché con la risurrezione non è più soggetto alla morte ma “perché resta per sempre, possiede un sacerdozio che non tramonta”.
In virtù di questa singolare condizione “può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio: egli, infatti, è sempre vivo per intercedere a loro favore”. Lo fa per il ruolo di rappresentante presso il Padre di ogni singolo peccatore e dell’umanità peccatrice. Tale condizione è assunta con l’incarnazione, e il compimento del “favore” è la sua morte e risurrezione.
Come uomo fra gli uomini sperimenta il potere della forza distruttrice della morte e del peccato. Avviene per il rigetto violento ed estremo delle autorità religiose nei suoi confronti per il proporsi come Figlio dell’uomo, rivendicando la condizione divina con “Io sono”. E per chiamare alla conversione ogni persona e il popolo intero, in ordine all’avvento del regno di Dio nel presente, anticipo e garanzia dell’evento escatologico ultimo e definitivo.
Gesù, non avendo peccato, assume davanti al Padre quello dell’umanità e di ogni persona. Si presenta come “peccatore” (tra virgolette) davanti al Padre, quale loro rappresentante e, resistendo al peccato fino alla morte, svuota il potere di esso e, nella sua persona umana, sconfigge la seconda morte e la realtà umana della morte, in virtù dell’amore che motiva la consegna e la conseguente risurrezione. È il trionfo sulle due morti, in modo che la vita eterna assume l’umanità nella pienezza di vita.
L’autore afferma: “Questo era il sommo sacerdote che ci occorreva”, e specifica che, a differenza dei sommi sacerdoti, Gesù offre sé stesso una volta per sempre per i peccati del popolo e di ogni singola persona. Una volta per sempre assume la condizione di sacerdote e vittima allo stesso tempo.
Ciò che opera il rappresentante è trasmesso al rappresentato per la fede nel dono di cui è fatto partecipe. Pertanto, Gesù è il mediatore della nuova Alleanza per l’amore – la realtà dell’azione dello Spirito Santo – che rinsalda la comunione con il Padre, interrotta dal peccato. Di conseguenza il credente, coinvolto nel dono della mediazione, è giustificato davanti al Padre e, allo stesso tempo, rigenerato, rinato a nuova vita.
La risposta corretta è accogliere il dono e il timore reverenziale che conducono alla conversione, alla nuova vita gradita al Signore, manifestazione dell’avvento in lui della sua sovranità, del suo regno.
In tal modo, entra in sintonia con la percezione dello scriba citato nel vangelo odierno, ma con la differenza che quest’ultimo non entrerà nell’ambito del regno di Dio se non saprà accogliere il dono e il timore reverenziale che conducono alla conversione.
Vangelo (Mc 12,28b-34) – adattamento dal commento di Alberto Maggi
In quel tempo, si avvicinò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?».
Gesù rispose: «Il primo è: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il secondo è questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non c’è altro comandamento più grande di questi».
Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come sé stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici».
Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.
È per lo meno sconcertante l’atteggiamento disinvolto che Gesù ha nei confronti dei comandamenti, il decalogo. Quando il ricco gli chiese quali comandamenti osservare per avere la vita eterna, Gesù, nella sua risposta, ha ignorato i tre comandamenti – i più importanti – che prevedevano obblighi nei confronti di Dio e ha elencato soltanto alcuni doveri nei confronti degli uomini, facendo scaturire perplessità circa l’atteggiamento di Gesù riguardo ai comandamenti.
“Allora”; l’allora si riferisce alla disputa che Gesù ha avuto con i sadducei sul tema della risurrezione. “Si avvicinò uno degli scribi (…)”. Gli scribi hanno già deciso di eliminare Gesù perché lo vedono come un pericolo per la loro istituzione. Comunque uno degli scribi, che li aveva uditi discutere – scribi e sadducei erano rivali – vedendo la sconfitta che Gesù ha inflitto ai sadducei, si avvicina con atteggiamento positivo. E, visto come aveva loro ben risposto, gli domandò: “(…) qual è il primo di tutti i comandamenti?”.
Può sembrare strana questa domanda anche perché lo scriba ben conosceva la risposta. Il decalogo era composto di dieci comandamenti, ma poi i rabbini e i farisei avevano estrapolato da tutta la legge ben 613 comandamenti da osservare. 365 come i giorni dell’anno erano le proibizioni, e 248 i comandamenti, come le componenti del corpo umano. Per un totale di ben 613 precetti da osservare.
“Qual è il primo di tutti i comandamenti?” Il primo comandamento, cioè il più importante è quello che anche Dio osserva, il riposo del sabato. L’osservanza di questo unico comandamento equivaleva all’osservanza di tutta la legge. La trasgressione di questo unico comandamento equivaleva alla trasgressione di tutta la legge e per questo era prevista la pena di morte.
La domanda che lo scriba fa a Gesù, che ha sempre ignorato questo comandamento e ha curato, guarito, anche nel giorno di sabato, è quindi in qualche maniera scontata. La risposta di Gesù è sconcertante. Gli ha chiesto qual è il primo dei comandamenti e Gesù nella sua risposta ignora i comandamenti.
Lui è venuto a proporre una nuova alleanza e non gli interessa la vecchia, quella imposta da Mosè al popolo di Israele.
Il primo comandamento è, e si rifà, al Credo d’Israele, era la preghiera contenuta nel libro del Deuteronomio che, al mattino e alla sera, il giudeo recitava: “Ascolta Israele, il Signore Dio nostro è l’unico Signore. Amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima” (il termine adoperato dall’evangelista è anima), “con tutta la tua mente e con tutte le tue forze”, e qui l’amore verso Dio è assoluto.
Ma, per essere autentico, questo amore verso Dio deve tradursi in amore verso il prossimo e quindi Gesù, inaspettatamente, unisce un altro comandamento. E prende un precetto dal libro del Levitico: “E il secondo è questo: amerai il prossimo tuo come te stesso”. Perché l’amore verso Dio sia autentico, deve poi tradursi in amore verso il prossimo.
E Gesù conclude: “Non c’è altro comandamento più importante di questi”. E il decalogo? Per Gesù non sembra avere questa importanza. L’insegnamento è per i giudei; si tratta di un amore a Dio totale e un amore al prossimo che è relativo.
Poi l’insegnamento di Gesù ai suoi specificherà che non è più l’uomo che deve dare a Dio questo amore totale, ma è Dio che si dà all’uomo. Il Dio di Gesù non assorbe le forze e le energie degli uomini, ma comunica loro le sue. Il comandamento dell’amore è: amatevi l’un l’altro come io ho amato voi. Ma questo è l’insegnamento per la comunità giudaica.
Allora lo scriba disse: “Hai detto bene, Maestro (…)”. Stranamente lo scriba, quando si è rivolto a Gesù, non lo ha chiamato Maestro, ma lo chiama così solo adesso, perché ora si riconosce nel suo insegnamento. Quindi è uno scriba di grande apertura: “(…) e secondo verità che Dio è unico e non vi è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta le mente e la forza, e amare il prossimo come se stessi” – ma ecco l’apertura dello scriba – vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici”.
Lo scriba ha compreso quello che già il Signore aveva annunciato attraverso i profeti e che viene formulato attraverso i profeti. Nel libro di Osea dice: “voglio amore non sacrificio, la conoscenza di Dio più degli olocausti”. Il Signore vuole l’amore, non tanto verso sé ma verso gli altri. Mentre i sacrifici sono rivolti al Signore.
Lo scriba arriva a comprendere tutto questo. E allora Gesù, vedendo che aveva risposto saggiamente, gli disse: “Non sei lontano dal regno di Dio”. È un invito che Gesù fa, quando vede che uno scriba, un uomo della legge, comprende che l’amore è la cosa più importante: più importante del culto, dei riti e dei sacrifici; pensa che possa essere una persona adatta e disposta ad accogliere la novità del regno di Dio.
E quindi Gesù implicitamente gli fa un invito: “Non sei lontano dal regno di Dio”. Ma per entrare nel regno di Dio ci vuole la conversione. Gesù aveva detto “Il regno di Dio è vicino, convertitevi e credete al vangelo”. Quindi Gesù lo sta invitando a far parte di questa nuova realtà ma non c’è nessuna reazione da parte dello scriba.
Non accoglie l’invito a far parte del regno. La sua era soltanto una domanda teorica, un’opinione scolastica, teologica. Rimane all’interno della sua tradizione, senza alcun desiderio di novità. La sua era soltanto una questione intellettuale, ma nulla che riguardasse il cuore o la vita. Per lo scriba Gesù è un esperto da consultare per un problema tecnico, ma non una guida da seguire.
E la conclusione: nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo. È la fine degli attacchi contro Gesù e adesso Gesù passerà lui al contrattacco.