Le tre letture di questa domenica sono accomunate dal riferimento ad una contrapposizione che esiste tra la gloria che viene da Dio e quella che viene dagli uomini. Il servo di Yahweh, di cui si parla nel profeta Isaia, da un lato è disprezzato e rifiutato dagli uomini, dall’altro, proprio per la sua fiducia e docilità nei confronti di Dio, viene da Dio glorificato, condotto alla “luce”, in modo tale che il suo sacrificio sia fruttuoso e diventi salvezza per molti. Il Vangelo presenta la situazione dei figli di Zebedeo che si avvicinano a Gesù e chiedono, non senza una certa arroganza, di sedere accanto a lui nella sua gloria. Gesù non si scandalizza più di tanto, come invece fanno gli altri dieci che probabilmente ambivano alla stessa gloria, ma li invita a considerare il fatto che per condividere la sua gloria devono poter condividere tutto intero il suo destino e quindi anche l’umiliazione e la sofferenza che la precedono. Gesù, in ogni caso, ricorda loro che sedere accanto a Lui è un dono del padre e non una conquista. Non è, cioè, qualcosa di riservato ai due che arrivano primi, ma qualcosa di garantito ai molti che il Padre ha destinato alla gloria. Non si tratta, allora, di perseguire un proprio disegno di salvezza ma di dare fiducia al disegno del padre, cercando di conformare la propria volontà alla sua. Questa prospettiva libera il cuore dall’ambizione, che per la vita spirituale e relazionale è un vero veleno, e lo dispone invece all’accoglienza rasserenante di una promessa che supera di gran lunga ogni nostra attesa o pretesa. Lo spiega la lettera agli ebrei che rassicura circa il fatto che Dio ha voluto condurre molti alla gloria per mezzo del Figlio suo e accenna alla possibilità di accostarci al suo trono con sicurezza e fiducia. Ma questo trono, su cui siede il nostro grande sacerdote, non è espressivo di gloria e di potenza umane, ma di grazia e misericordia. Di fatto è il trono di chi può compatire la nostra debolezza perché come noi è stato tentato in tutto eccetto il peccato. Questo implica che Dio ha preparato per ciascuno di noi un destino di gloria. Un destino glorioso non perché migliore o peggiore di quello degli altri ma perché unico e al contempo intimamente connesso al destino di tutti. È questa la differenza fondamentale tra la gloria che viene dagli uomini e quella a cui Dio ci chiama. La prima cerca se stessa e vive dell’ammirazione altrui. La seconda si riflette sugli altri e illumina la vita di molti come la gloria ricevuta dal servo di Yahweh che ha saputo spendere la propria vita per la salvezza di molti. Questa gloria, dunque, inevitabilmente riflette la gratuità dell’amore del padre che mostra la sua onnipotenza soprattutto nell’offrire misericordia al peccatore, nell’esaltare i più piccoli e nel valorizzare la nostra debolezza. La nostra vocazione, allora, la missione della nostra vita, è quella di accogliere questo destino di gloria così come lo ha accolto Gesù. Per mezzo di lui, servo umile e obbediente che ha assunto la nostra condizione umana ed ha attraversato pazientemente le circostanze più umilianti, il padre ha voluto aprire per noi un cammino che ci permetta di “attraversare i cieli”, cioè di accedere ad una gloria che va al di là di ogni possibile sforzo, merito e risultato umano. Avviciniamoci con fiducia, dice allora la lettera agli ebrei, a questo grande sacerdote che è capace di compatire la nostra mancanza di gloria e di condividere con noi la sua. Voi sapete, dice Gesù, che coloro che sono grandi tra i pagani fanno sentire la loro autorità. Vogliono essere riconosciuti, vogliono affermare la loro volontà, vogliono prevalere e ottenere gloria dagli uomini. Tra voi, invece, la grandezza e la gloria saranno cercate non attraverso la dominazione ma attraverso l’umiltà nella relazione e il servizio nell’operare. È questa in fondo l’uscita da sé stessi più difficile da realizzare e che prepara l’uscita verso gli altri specie i piccoli e gli emarginati cui esorta il Papa nel suo discorso per la giornata missionaria mondiale. Quando accettiamo, come Gesù, di stare nel mondo non per essere serviti ma per servire e per offrire la nostra vita in riscatto per molti, ci avviamo decisamente verso quella gloria che viene dal Padre e collaboriamo liberamente alla salvezza di tutti.