La pagina del Vangelo di oggi potrebbe essere descritta come la storia della conversione delle persone per bene. Prima Gesù fa notare all’uomo che credeva di aver osservato tutti i comandamenti che è impossibile ad un ricco entrare nel Regno di Dio. Quindi si rivolge a Pietro che, avendo lasciato tutto per seguire lui, si illudeva di poter quantificare la ricompensa da ricevere. Anche a lui Gesù fa notare che è impossibile avanzare pretese nei confronti di Dio. Non solo perché Dio dona il centuplo, cioè quello che per noi sarebbe impossibile ottenere con le nostre forze, ma anche perché questo centuplo lo dona nel bel mezzo delle persecuzioni, cioè in una maniera contraria ad ogni umana aspettativa.
Dio, dunque, offre a noi come possibilità ciò che altrimenti sarebbe impossibile, non solo ai ricchi, ma anche all’uomo in generale. Di fatto, conclude Gesù, Dio è il solo buono. Il suo amore, cioè non è una risposta all’amore di un altro ma è sorgivo, originario. Dio non cerca in noi l’amore. Vuole suscitarlo. Non considera quello che noi possiamo fare ma quello che Lui può fare in noi. A noi viene chiesto soltanto di accogliere il suo amore. Ma per accoglierlo bisogna desiderarlo e per desiderarlo occorre accorgersi di averne bisogno. Chi può dire, come nel libro della sapienza, di desiderare il dono di Dio più della bellezza, della salute e della ricchezza?
In realtà facilmente ci accontenteremmo di essere ricchi, belli e in salute anche senza essere buoni. Anzi, ci si illude, come il ricco del Vangelo, che una volta ricchi e felici ci mancherà molto poco a diventare buoni. Gesù, chiedendo al ricco di vendere tutto, in fondo gli stava chiedendo semplicemente di fare il passaggio, per nulla scontato, dall’amore per i beni all’amore del Bene. Ma voleva anche illuminarlo proprio su quello che gli mancava per fare questo passaggio: la libertà interiore. Perché finché siamo attaccati a qualcosa non siamo liberi e la nostra mancanza di libertà segnala il limite del nostro amore. Se sei attaccato ai soldi o a qualsiasi altro bene potrai anche essere un amante ma un amante interessato. Certo l’amore scioglie gli attaccamenti ma senza una conversione profonda del cuore prima a poi anche i due amanti più appassionati finiscono per litigare sui soldi o su qualche interesse.
Noi non possiamo amare veramente finché non diventiamo liberi. Uno può osservare esternamente tutti i comandamenti e vivere nei limiti della decenza, osservando scrupolosamente le regole della convivenza civile. Ma senza libertà interiore sarà una persona di buone maniere, non una persona di buon cuore. E quello che più conta, senza che si renda pienamente conto della sua povertà di amore. Significativamente Gesù, nel richiamare al giovane ricco la lista dei comandamenti ne aggiunge uno che non è incluso nel decalogo. Quello di non frodare. Il verbo usato da Gesù indica più o meno l’atteggiamento di chi tende a sottrarsi alla verità, di chi preferisce nascondersi dietro comportamenti formalmente corretti e razionalizzazioni piuttosto che ammettere la propria malizia a livello di intenzioni e atteggiamenti interiori.
La libertà da questa forma di autoinganno evidentemente non può venire da noi stessi. Abbiamo bisogno di una luce che ci illumini, senza spaventarci e senza umiliarci. Tre volte il Vangelo si ferma sullo sguardo penetrante di Gesù. Gesù “guarda dentro” il ricco, guarda la folla e infine “guarda dentro” i discepoli. Il suo sguardo si accompagna a delle parole che mettendo in luce la nostra impossibilita ad eseguirle allo stesso tempo ci invitano a venire a Lui per trovare il centuplo. L’allontanarsi triste dell’uomo ricco allora non è il fallimento ma l’inizio di un cammino. Non si può cominciare un cammino di vera conversione se non a partire dalla tristezza per quello che siamo, dall’insoddisfazione con noi stessi. Quell’uomo va via triste proprio perché ha preso seriamente la parola di Gesù. E questa parola dice la lettera agli ebrei è vivente ed è operante perché è la Parola di uno risorto dai morti.
Quando la Parola diventa uno sguardo che mi legge dentro essa è capace di liberare. Essa non è conciliante ma combattiva come una spada e può far male, può rattristare appunto. Essa è tagliente, perché è capace d’incidere su quegli attaccamenti che ci rendono prigionieri delle cose e quindi mai sufficientemente attenti a Dio e alle persone. Essa è penetrante perché raggiunge e cambia non i comportamenti ma il cuore. Essa illumina perché giudica criticamente i pensieri e le intenzioni e porta alla luce ciò che altrimenti rimarrebbe nascosto, ciò che non vorremmo mettere in discussione, ciò che resistiamo ad ammettere, oppure quelle cose che tendiamo ad ignorare e a giustificare perché ci scomodano e ci inquietano. Porta alla luce il peggio di noi e continua ad amarci. La Parola di Gesù è la luce della verità dell’amore di Dio nel buio del nostro cuore e possiamo accoglierla perché ci raggiunge non un come un giudizio o un comandamento ma come uno sguardo di amore. A questo sguardo noi rispondiamo. Ad esso solo, conclude la lettera agli Ebrei, dobbiamo dare conto. Non nel senso di una verifica severa ma di un riconoscimento pieno di stupore e di amore: ecco io ti ho offerto il mio niente e tu, invece di disprezzarlo Signore, lo hai valorizzato.