Nel Vangelo Gesù si trova ad affrontare con i farisei il tema già allora controverso del divorzio. La sua risposta appare così sorprendente e radicale da portare i discepoli a chiedergli spiegazioni in privato. Gesù ribadisce con fermezza la sua posizione, ma quello che accade subito dopo porta alla luce il permanere di una incomprensione tra lui e discepoli che porta Gesù, come accade poche altre volte nel Vangelo, ad indignarsi. Mentre, infatti, la gente cercava di portare i bambini a Gesù perché li benedicesse i discepoli cercavano di allontanarli quasi disturbassero. Il Regno di Dio, afferma Gesù, non è innanzitutto per i grandi perché non è questione di conquista o di merito. Essendo un’iniziativa gratuita del Padre esso esige innanzitutto accoglienza e fiducia ed è quindi più facilmente accolto dai piccoli. Anzi, Gesù suggerisce che questo Regno di Dio, comunicandoci la vita stessa di Dio, ci fa rinascere come figli suoi e quindi ci offre un’esperienza generativa che è simile a quella del matrimonio. Diventare come bambini, in fondo, significa credere che avere l’esistenza carnale, biologica, naturale non è ancora propriamente avere la vita. Quest’ultima e’ una realtà propriamente spirituale che dobbiamo imparare ad accogliere dall’alto lasciandoci generare dall’amore di Dio come suoi figli. È proprio alla luce di questa possibilità offerta agli uomini di rinascere la vita divina che va compreso il discorso di Gesù circa il matrimonio e quindi circa il divorzio. Ai farisei che gli facevano notare che Mosè aveva loro permesso di divorziare Gesù risponde che il precetto mosaico non è un permesso ma più precisamente è una legge. Esso, cioè, non è una concessione fatta alla loro libertà ma una limitazione posta alla durezza del loro cuore. La legge sul divorzio non mette un limite alla fedeltà degli sposi ma all’arbitrarietà del loro egoismo che altrimenti non conoscerebbe freni. Questa legge, continua Gesù, si rende necessaria perché la situazione dell’uomo non è più quella che il padre aveva progettato all’inizio della creazione. Gesù si richiama dunque al libro della genesi per evidenziare che fin dall’inizio l’uomo è stato creato con delle potenzialità ed una vocazione che lo proiettano al di là della vita biologica. Egli, nel dare un nome agli animali, riconosceva presumibilmente che essi esistevano come realtà sessuate. Ma non è guardando a quella realtà che egli riconosce ciò che gli manca. Non si tratta nemmeno semplicemente di trovare un’altra persona da amare e con cui condividere la vita quotidiana. L’uomo non aveva bisogno soltanto di compagnia. Per questo Dio non crea un’altra persona ma trae dalla sua stessa carne un aiuto che gli stia di fronte. Un aiuto per che cosa? Un aiuto che gli permetta di staccarsi dal padre e dalla madre, cioè da una vita naturale ricevuta da altri, per diventare capace di dare totalmente la propria vita a qualcun altro, cioè di amare nel dono di sé. Diventare una sola carne con un’altra persona che ti sta di fronte non si riferisce semplicemente all’unione sessuale ma alla possibilità di amare l’altro come se stessi, come la propria carne, Non si tratta di diventare una sola persona con l’altro, ma una sola carne. Si tratta, cioè di abbandonare la logica individualistica propria dell’uomo naturale che vive nella propria carne per entrare in una logica comunionale – non fusionale – per cui cerco per l’altro ciò che originariamente cercavo per me stesso, fino al dono della vita. Per capire fino in fondo questo modo nuovo di ricevere e donare la vita bisogna richiamarsi al mistero dell’incarnazione. Colui che santifica, ricorda la lettera agli Ebrei, e quelli che sono santificati sono divenuti una sola carne, al punto che il figlio di Dio non si vergogna di chiamarci suoi fratelli e sorelle. Non solo. È divenuto una sola carne con noi al punto di gustare ciò che altrimenti nella sua vita divina non avrebbe potuto gustare: la morte. In questo modo il Figlio di Dio è uscito dalla sua solitudine ed ha condotto molti figli alla gloria. Il dono della sua vita è divenuto generativo nello spirito come il matrimonio lo e’ nella carne. La solitudine dell’uomo è la durezza del suo cuore non il celibato. L’uomo e la donna, allora, stanno l’uno davanti all’altro come un richiamo continuo ad uscire da se stessi per ritrovarsi nell’altro. Un richiamo costante a vivere all’altezza della propria vocazione che supera quella di ogni altra creatura nell’universo e che la vocazione ad essere una creatura amante. Questa vocazione lo distingue da tutte le altre creature e lo dispone non solo all’incontro con l’altro ma all’incontro con Dio. Anche in tal senso la donna è data all’uomo come un aiuto. Un aiuto, cioè a fare il passaggio da una condizione naturale che dipende dalla generatività biologica dei genitori ad una condizione spirituale di ricettività all’amore di Dio. È questa la solitudine che l’uomo e la donna devono oltrepassare. È questa la vocazione ultima dell’uomo e della donna: quella di arrivare non solo all’unione solitaria del maschio o della femmina ma insieme alla comunione con Dio che permette il passaggio dalla vita naturale ricevuta dal padre e dalla madre alla vita divina di coloro che accolgono il Regno e nascono nuovamente come figli di Dio. Diventano come bambini.