P. Faustin è il primo sacerdote comboniano della parrocchia Sacro Cuore di Rungu, dove noi comboniani eravamo presenti fino al 2009. C’ero quando il 10 giugno 2007 P. Faustin è stato ordinato sacerdote. Avevamo preparato una struttura esterna per la Celebrazione della Santa Messa e dell’Ordinazione Sacerdotale perché la chiesa parrocchiale non avrebbe potuto contenere i numerosissimi cristiani di Rungu e di molti villaggi vicini e lontani. Tra le tante cose, a P. Faustin è rimasto anche il ricordo del grande altare artistico che avevo fabbricato per l’occasione, che porta inciso il suo nome e la data dell’Ordinazione e che ora si trova nella cappella di Nekpopo. L’ho incontrato al ritorno a casa per una breve vacanza e non mi son fatto sfuggire l’occasione di ascoltare il racconto della sua vita missionaria.
P. Faustin, raccontaci qualcosa di te.
Vengo da Babagù che conosci bene, che è uno dei novanta e più villaggi che, non tanti anni fa, facevano parte della parrocchia di Rungu. Ora c’è qualche villaggio in meno assunti dalla nostra parrocchia, sempre comboniana, di Sant’Anna a Isiro (da Nekalagba a Ndubala e da Gao a Elimba). Babagù è un villaggio dell’interno, direi di foresta e i cristiani desiderano diventi parrocchia. I miei genitori hanno avuto dodici figli di cui ero il quinto figlio, ma tre sono già morti. Papà resta nel nostro villaggio mentre per ora la mamma per problemi di salute si trova a Isiro dove può essere curata meglio.
Vivendo in un villaggio della parrocchia di Rungu hai conosciuto direi “dalla nascita” i comboniani a cui la parrocchia era affidata…
Questa conoscenza, oltre che dalle visite frequenti dei padri e di fratelli, è dovuta al fatto che diversi novizi comboniani “scendendo in campo” sono venuti da noi per fare esperienza di vita missionaria diretta per periodi abbastanza lunghi. Ho iniziato la scuola a Kwada a pochi chilometri dal villaggio continuando poi a Niangara per il “ciclo di orientazione” che corrisponde alle vostre medie. Poi, avendo manifestato segni di vocazione sacerdotale, sono stato accolto nel seminario minore di Rungu. Terminata la formazione al seminario minore ho manifestato il desiderio di essere comboniano, facendomi aiutare nella scelta da P. Carlos Neves e da P. Odelir Magri (ora vescovo in Brasile).
Come è iniziato il tuo cammino “comboniano”?
Sono entrato in propedeutica a Isiro nella nostra parrocchia di Sainte Anne, seguito da P. Antonio Fraile. E’ stato un bel periodo formativo e di impegno in parrocchia. Ci dedicavamo al lavoro perché dovevamo vivere di ciò che guadagnavamo e producevamo. Poi sono passato a Kisangani per il postulato. Ho avuto come formatori, P. Marco De Angelis, ora in cielo, P. José Arieira e P. Wokorach che ora è vescovo in Uganda). Al postulato e seguito il noviziato e ho emesso i primi voti il 5 maggio 2002. La prima esperienza fuori dalla RDC è stato lo scolasticato comboniano internazionale e la formazione teologica a Pietermaritzburg in Sud Africa. Primo impatto con cultura, lingua e mondo diverso. Tre mesi per apprendere l’inglese, sufficienti a dare il “colpo di manovella” per mettere in moto la nuova lingua che poi ho dovuto coltivare immergendomi nello studio della teologia.
Dopo l’ordinazione dove ti hanno spedito i superiori?
In un altro mondo… quello arabo. Non ero preparato ne avevo domandato di andare nel mondo arabo. All’inizio ho avuto anche problemi per ottenere il visa di ingresso in Egitto dove dovevo imparare l’arabo. Dopo due anni fui inviato in Sudan quando il Sudan del nord e del sud non erano ancora divisi. Per dodici anni fui nel Sudan del nord in una sola comunità e precisamente a El Obeid. Mi trovai con Fratel Cerri Agostino e P. Salvatore Marrone. Benché all’inizio fosse molto difficile entrare a causa della lingua, posso dire che tutto quello che ho vissuto è stato bello e positivo per me. Il popolo sudanese è buono e anche tra i mussulmani ci sono molti che apprezzano il nostro lavoro soprattutto quelli che hanno allievi nelle nostre scuole. Ovviamente ci sono i musulmani più fanatici che discriminano le altre religioni. La loro religione ha dei punti di vista differenti. Il Sudan, dopo la caduta del presidente Bachir, sta vivendo una situazione catastrofica. Il gruppo ben formato, ben equipaggiato e ben pagato che è quello creato dallo stesso Bachir, dopo la sua caduta si è diviso, si battono tra loro. Motivo di fondo è la sete di potere politico e economico dei due generali a capo delle due fazioni. Noi abbiamo perso molti impegni e restiamo con solo due comunità: Kosti e Port Sudan. Con l’avanzata dei ribelli non sappiamo cosa succederà a Karthoum.
Nel Sudan attuale, quello del nord, c’era una presenza di molto rifugiati fuggiti dal Sud Sudan a causa della guerra. Qual è la situazione di queste persone ora?
E’ vero che molti sudanesi del sud si sono rifugiati al nord, e la grande maggioranza sono dei cristiani. Molti fanno riferimento alle nostre parrocchie. Il governo non li guarda di buon occhio, e li sospetta di sostenere la ribellione. Certo che ricordano le atrocità del governo nei loro confronti. Molti decidono di rientrare al Sud ma anche li la situazione non è buona. La scelta non è facile e diversi preferiscono restare al nord nonostante la situazione dolorosa che si vive ora.
Come sono visti i sud-sudanesi al nord?
La gente del nord ha un complesso di superiorità verso quelli del sud, sia culturale che religiosa. Il clima di tensione è presente ed è alimentata dalla discriminazione. Trovare lavoro per la gente del sud non è facile. Per trovare del lavoro devi essere musulmano e nel lavoro stesso ci sono discriminazioni. Quasi impossibile avere posti di governo o di alta responsabilità. Avere ad esempio un presidente cristiano in Sudan è un sogno impossibile per i cristiani e un incubo per i musulmani. Anche tra loro stessi ci sono minoranze che vivono queste discriminazioni e che reagiscono e protestano.
Immagino che tra i giovani ci siano fermenti di cambiamento, cosa noti di nuovo?
La crisi d’identità e di ricerca tra i giovani è alimentata dai media e dal internet. Ormai il mondo in questo senso si fa piccolo. La gente che ha fatto la rivoluzione in Sudan sono i giovani del nord e anche le ragazze uscite dalle università che reclamano maggior libertà, maggior democrazia e rispetto dei diritti di ognuno. Per questo i giovani si sono anche coalizzati con i cristiani; non si sentivano più musulmani o cristiani bensì sudanesi. Non molto tempo fa era impossibile immaginare questo in Sudan.
Nel Sudan, ci sono dei musulmani che chiedono di diventare cristiani?
Ce ne sono ma devono avere una “copertura” e non possono manifestarsi, soprattutto se le loro famiglie restano musulmane. Chi viene, viene di nascosto. Ci sono casi di persone che si sono manifestate come convertiti al cristianesimo e questo è costata loro la vita.
Da quanto so stai per iniziare una nuova tappa nel tuo cammino missionario, di cosa si tratta?
Dopo l’esperienza di questi anni in missione sono entrato nel mirino dei superiori. In un primo tempo pensavano di farmi rientrare in RDC per la formazione dei novizi. Poi è stato deciso che andassi in Libano come formatore per gli scolastici (cioè per coloro che sono all’ultima tappa prima del sacerdozio). Vengo appunto dal Libano per partecipare a un’ incontro di formatori e per un breve periodo di vacanze nella mia terra. Non ho seguito nessun corso di preparazione per questo impegno non facile. Farò un altro salto mortale cercando, con l’aiuto del Signore, di dare del meglio per questi giovani. Sarò affiancato da un altro confratello che è già a Beirut e che mi sta aspettando. Anche i poveri primi quattro scolastici dovranno sudare per lo studio dell’arabo per poi impegnarsi per la teologia.
Arrivi in Libano in un momento delicato e doloroso per il conflitto tra ebrei e palestinesi che tocca i paesi vicini e il mondo musulmano in particolare. Con che animo ci vai?
Come sai nel mondo arabo la tensione è sempre presente, e ancor più per questo penoso conflitto. Sarò nei pressi di Beirut toccata marginalmente dalla guerra che interessa in particolare il sud del Libano e le basi dei hezbollah. Ho vissuto momenti di paura quando gli israeliani hanno inviato dei droni per colpire certi punti strategici, Noi ci troviamo in un villaggio di cristiani maroniti e ortodossia quaranta minuti da Beirut. In Libano, musulmani o cristiani si sentono tutti uniti contro Israele, che non riconoscono come Paese. Se passi da Israele e sul passaporto hai un timbro di quel paese, non viene accettato in Libano.
Come sacerdote proveniente dalla RDC come sei visto in Libano?
Benché in ogni paese ci sia del razzismo, bisogna dire che in Libano i sacerdoti sono rispettati. In passato la metà della popolazione libanese era cristiana, e sceglievano anche il presidente della repubblica, in seguito alla guerra molti sono partiti e ora i cristiani sono minoritari. Non riescono più a mettersi d’accordo sulla scelta del presidente e i mussulmani si sfregano le mani ben contenti. In passato c’era una presenza comboniana in Libano a Zalhe come luogo tranquillo per imparare l’arabo, ma poi siamo partiti e solo ora con il nostro ritorno la gente comincia a conoscerci di nuovo.
Sei ritornato per questa breve vacanza in Congo, che cosa ti ha colpito delle nuove situazioni del Paese?
A dire il vero non vedo cambiamenti in meglio nella situazione politica ed economica del Paese, semmai vedo un certo peggioramento. Vedo però che i cristiani sono attivi e vivaci e le nostre chiese sono spesso piene debordanti e la gente vive la fede in maniera esemplare. La nostra gente sa sbrogliarsela anche nelle difficoltà e nella sofferenza. Conoscendo quello che si vive in altri paese mi stupisco che la gente non si ribelli alle situazioni di ingiustizia e non reclami i loro diritti. Chi governa manipola il Paese come vuole sfruttandolo a proprio beneficio.
Se un giorno i superiori ti domanderanno di tornare qui in RDC a lavorare per la formazione dei futuri missionari cosa diresti?
Se mi domanderanno questo servizio, da buon religioso accetterei e mi impegnerei carico dell’esperienza che farò in questi anni e contando sempre sull’aiuto del Signore che ha in mano le cose ed è l’unico vero formatore. Ma non ho mai lavorato nella mia terra e mi piacerebbe ritornare per la pastorale nelle parrocchie e missioni tra la gente.
Grazie Faustin per la tua testimonianza di vita e per il bene che fai nelle missioni per annunciare il Vangelo e l’Amore di Dio per tutti gli uomini.
Ti auguro di essere sempre un seme vivo che piantato nella terra in cui vivi dia buoni frutti e porti pace, gioia e vita.
Ti sosteniamo con la nostra fraterna preghiera.