La parola di questa domenica descrive la generosità e la gratuità del cuore di Dio in termini così radicali che nemmeno i discepoli più fedeli riescono a comprendere pienamente. Giosuè, discepolo prediletto di Mosè, vorrebbe fermare due uomini che profetizzano nell’accampamento nonostante avessero ignorato il comando di Mosè a recarsi presso la tenda del convegno. Giovanni, il discepolo amato di Gesù, vorrebbe fermare degli esorcisti che operano nel nome del maestro, benché non appartengano alla cerchia dei discepoli. In entrambi i casi, sia Gesù che Mose, mettono in chiaro che non bisogna mai impedire il bene o negare la verità, da chiunque essa possa venire.  Dio non pone ostacoli a nessuno, non alza muri e non incoraggia divisioni. Gesù, in tal senso, invita i suoi discepoli ad adottare un principio di inclusività per il quale chiunque non è contro di noi deve essere considerato un potenziale alleato od amico. Questo non è per nulla scontato se consideriamo il fatto che normalmente noi adottiamo, proprio come Giosuè e Giovanni, il principio opposto: chiunque non è dei nostri è un potenziale nemico, un pericolo, un rivale o un ostacolo. Naturalmente anche Gesù sa bene che nel mondo ci sono gli scandali, vi sono, cioè, situazioni conflittuali e persone malvagie che rendono problematica la collaborazione con tutti e l’inclusività verso tutti. Il severo ammonimento di Gesù a preferire una pietra al collo piuttosto che scandalizzare i più piccoli riecheggia nel severo ammonimento di San Giacomo, nella seconda lettura, che stigmatizza le ingiustizie nel mondo del lavoro e le violenze perpetrate soprattutto dai potenti verso i più deboli. Gesù aggiunge, tuttavia, che per combattere il male che è fuori di noi occorre andare alla radice di esso che si trova nell’interno del nostro cuore.  Quando parla del proprio occhio e della propria mano che possono divenire di scandalo a se stessi, Gesù sta suggerendo che il primo ostacolo alla comunione con Dio e quindi all’inclusività verso gli altri e’ proprio nella nostra stessa persona e quindi nel nostro cuore. Non è possibile eliminare il male che è fuori di noi se non purifichiamo anzitutto il principio del nostro operare che è dentro di noi e che determina come useremo l’occhio, la mano e il piede. Ora non è così facile purificare la sorgente del nostro modo di vedere e agire per due ragioni. La prima è data dal fatto che il nostro cuore è affetto da una sorta di cecità congenita. Giustamente, dunque, come prega il salmo, occorre chiedere innanzitutto di poter essere illuminati dalla grazia, di poter essere aiutati a discernere le inavvertenze e a riconoscere i peccati nascosti e soprattutto occorre chiedere di essere liberati da quel peccato che esercita un dominio o un potere sul nostro cuore e che è l’orgoglio, un peccato che il salmista descrive come il “grande peccato”. Giacomo gli fa eco quando parla della ruggine che corrode l’oro dei ricchi che vivono nell’ingiustizia. Evidentemente egli non sta parlando di una ruggine esteriore e visibile, per il semplice fatto che loro per sua natura non arrugginisce. Giacomo si riferisce, allora, ad una ruggine invisibile, che corrode il cuore di chi è così “accecato” nel suo orgoglio da non vedere più la miseria dei piccoli, l’ingiustizia subita da chi non può difendersi, il pianto di chi soffre e finalmente la propria miserabile condizione di destinati alla perdizione. Non è Dio, tuttavia, che pene un ostacolo qualsiasi alla nostra salvezza. È il nostro orgoglio che diventa l’unico vero ostacolo posto da noi stessi all’amore di Dio, che vorrebbe salvare innanzitutto noi stessi dall’egoismo e dalla superbia arrogante. E qui viene la seconda difficoltà nel cammino di purificazione del cuore. Poiché l’ostacolo all’amore di Dio è dentro di noi, nel nostro cuore, allora non si può pensare ad un cambio significativo nella nostra vita senza che vi sia un combattimento contro il male che e’ in noi stessi e quindi la determinazione a “soffrire” qualcosa innanzitutto in noi stessi per eliminare ciò che in noi stessi diventa impedimento al bene. Finché ci illudiamo che bastino i due nostri occhi per vederci bene e le nostre due mani per fare il bene rischiamo di procedere ostinatamente nella direzione che a noi sembra buona lasciando intoccata quella cattiveria, quella malizia e quella insincerità nascoste che inquinano le motivazioni profonde del nostro agire. Rischiamo insomma di combattere il male che è fuori di noi o che vediamo negli altri senza combattere le radici che esso ha nel nostro cuore, soprattutto l’orgoglio e l’egoismo. Il cammino di fede, invece, oltre a migliorare il mondo intorno a noi deve fondamentalmente cambiare la nostra vita, migliorare la nostra personalità, purificare le nostre motivazioni. Sorgente della purificazione del cuore, prega il salmista, è il timore del Signore. Quando esso rimpiazza l’orgoglio che acceca il cuore allora cominciamo ad ascoltare seriamente la Parola di Dio che – conclude il salmista – rinfranca l’anima e rende saggio il semplice.