In questa Domenica siamo invitati a riflettere sulle relazioni all’interno della comunità cristiana. Il Vangelo di Matteo ne parla nel quarto discorso, su un totale di cinque, che tratta della vita della Chiesa (Matteo 18). Le società umane, influenzate dal  Vangelo, si basano sul principio della democrazia. Cioè una maggioranza legittima esprime una direzione da prendere, una scelta da compiere e tutti eseguono.

Ma una comunità ecclesiale si basa piuttosto sul  principio della comunione nella verità. A volte non può essere la maggioranza delle persone a prevalere, ma una minoranza, purché la scelta sia più consona allo spirito del Vangelo. Quello che deve prevalere non è il potere, la forza, l’alleanza politica, ma il servizio. La lettera di san Giacomo è chiara a questo proposito. “Dove c’è gelosia e spirito di contesa – dice san Giacomo, – c’è disordine e ogni sorta di cattive azioni” (Giacomo 3, 16).

Gesù, nel Vangelo di oggi  (Marco 9, 30-37), si preoccupa della formazione dei suoi Apostoli, che devono capire, prima di tutto chi è veramente il Maestro, e poi qual è il suo progetto per la comunità che sta fondando. Arrivati a Cafarnao, entrano nella casa. Probabilmente quella di Pietro. Le fondamenta esistono ancora oggi, proprio sotto la chiesa costruita dai Francescani nel 1990.

“Di che cosa – ha chiesto Gesù – stavate discutendo lungo la strada?” (Marco 9, 33). Silenzio!… Nessuno aprì bocca: forse si vergognavano. Comunque l’indicazione “lungo la strada” richiama la parabola del seminatore (Marco 4, 1-9). Il seme gettato sulla strada è raccolto immediatamente dagli uccelli (= cioè da Satana). In questo modo il seme (che è la parola di Gesù) diventa inutile. I discepoli volevano sapere chi potesse essere il più grande, al seguito di Gesù. E’ cioè il solito discorso della carriera e del potere. E’ questo il verme o il tarlo nascosto nel legno di ogni costruzione umana! Il potere e la dominazione sono una tentazione sempre attuale per gli individui e per i paesi. Conosciamo la storia: la conquista di altri paesi, l’imposizione della propria lingua, della propria religione, lo sfruttamento delle ricchezze altrui, ecc. : quante volte è capitato nella storia! Guardiamo alla conquista operata dagli Arabi musulmani, dopo la morte di Maometto, avvenuta nel 632. In pochi anni, si sono impossessati dell’Africa del Nord, del Medio Oriente fino all’India e all’Indonesia.

L’Europa non si è tirata indietro con la colonizzazione e la dominazione del Mondo, anche attualmente con l’economia di mercato, che Papa Francesco definisce, condannandola, “speculazione” (Laudato sì, n° 56). L’Italia, per esempio, guadagna miliardi di euro con il florido commercio delle armi. E spende almeno 29 miliardi (= 80 milioni al giorno nel bilancio del 2024), per le spese militari. Valgono ancora oggi le parole dell’Apostolo Giacomo: “Da dove vengono le guerre?… Non vengono forse dalle vostre passioni?…Siete pieni di desideri…: uccidete, siete invidiosi e non riuscite a ottenere; combattete e fate la guerra!” (Giacomo 4, 1-2).

Allora Gesù si sedette. E’ l’atteggiamento di chi vuol dare un insegnamento solenne. Gli Apostoli lo seguivano, ma non erano in comunione con Lui. La loro mentalità era ancora quella del popolo, che aspettava un Messia glorioso e dominatore del Mondo. Il Signore invece ha detto: “Non sono venuto per farmi servire, ma per servire e dare la vita in riscatto per molti” (Marco 10, 45).

All’inizio del Vangelo, chiama gli Apostoli, poi al capitolo 3, versetto 13-19, ne sceglie dodici perché stiano con Lui; nel capitolo 6, versetto 7-11, li invia in Missione. Ora il Signore, nella casa di Pietro, vuole mostrare loro la loro vera identità, che dovranno vivere e annunciare. E questa sarà la nuova legge: “Se uno vuol essere primo, sia l’ultimo di tutti e servo di tutti” (Marco 9, 35). Per essere più incisivo e per colpire l’immaginazione affinché il suo insegnamento resti impresso come sulla roccia, Gesù prende un bambino e  lo pone in mezzo a loro. Il bambino, a quel tempo, era un non essere. Non aveva valore. Era uno che aveva bisogno degli altri in tutto e per tutto. A volte veniva buttato via, appena nato, soprattutto se era femmina. Diceva un autore di quel tempo, citato da Rodney Stark (19342022), americano, sociologo delle religioni: “Se dovessi avere un figlio, se è maschio, lascia che viva; se è femmina, esponila!” (cioè: buttala via!). Secondo il celebre storico francese Jéròme Carcopino (1881-1970), raramente si allevava più di una bambina in una famiglia.

Gesù prese un bambino, lo abbracciò e lo sollevò davanti a tutti. Per lui il bambino, “un uomo non realizzato” per la mentalità dell’epoca, è il modello dell’uomo nuovo! La sua debolezza è la sua forza, come dice l’apostolo Paolo (2 Corinzi 12, 10). Il bambino, quando è piccolo, ha bisogno di un cibo adatto: il latte della madre. Una volta cresciuto, ciò che lo nutre è l’abbandono a un amore che lo avvolge come le braccia di una madre. E’ l’amore di Dio, che è un Padre che ama e si manifesta in Gesù che dona la sua vita sulla croce. Abbiamo bisogno di sentirci amati, senza condizioni, per vivere davvero umanamente.

Chi sono le persone più grandi nella comunità cristiana? Quelle che sono più vicine a Gesù. E come si fa ad avvicinarsi a Gesù? Mettendoci al servizio di tutti.

Gesù ha preso un bambino e lo ha piazzato in mezzo a tutti. Il centro, nella cultura dell’epoca, è il luogo più importante. E’ evidentemente il posto di Gesù. Gesù allora mette al centro chi si dedica al servizio del prossimo. “Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome – ha detto Gesù – accoglie me”. Il testo greco parla di “pais”, il bambino, ma anche il servitore, come “garçon” in francese. Si tratta quindi di servizio.

Se qualcuno imita Gesù nel servizio del prossimo, gli è vicino e diventa vero discepolo. Non solo: chi accoglie questo servitore, accoglie Gesù. Accogliere Gesù significa in realtà accogliere Colui che lo ha inviato. Ecco la grandezza del Cristiano: chi accoglie il servitore, accoglie Gesù e accoglie cioè lo stesso Dio Padre. Egli entra così nel mistero della Trinità! Il discepolo che si mette al servizio degli altri, liberamente e per amore, diventa l’unico vero santuario, dove l’amore di Dio si manifesta e poi si diffonde.

San Daniele Comboni (1831-1881) ha vissuto sempre come discepolo di Gesù, capace di servire gli Africani per amore. Egli affermava spesso che non c’è santità senza la carità. Il patrono della Congregazione dei Missionari Comboniani si chiama san Pietro Claver (1581-1654), ricordato nel calendario il 9 settembre. Egli aveva scelto come motto della sua vita apostolica, in servizio degli schiavi che arrivavano dall’Africa a Cartagena (Colombia): “Aethiopum semper servus” (= schiavo degli Africani per sempre).

Si può dire la stessa cosa di san Daniele Comboni, che aveva consacrato la sua vita alla rigenerazione dell’Africa Centrale. Lo ha espresso con passione nella celebre omelia tenuta a Khartoum (Sudan), domenica 11 maggio 1873: “Il primo amore della mia giovinezza fu per l’infelice Nigrizia (= popoli dell’Africa Centrale)”. E questo amore si è sempre manifestato nella sua vita, fino alla sua morte, ancora in giovane età, il 10 ottobre 1881, alle ore 22.00, a Khartoum (Sudan).

 

Tonino Falaguasta Nyabenda

missionario comboniano
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