Prima lettura (Is 35,4-7b)
Dite agli smarriti di cuore:
«Coraggio, non temete!
Ecco il vostro Dio,
giunge la vendetta,
la ricompensa divina.
Egli viene a salvarvi».
Allora si apriranno gli occhi dei ciechi
e si schiuderanno gli orecchi dei sordi.
Allora lo zoppo salterà come un cervo,
griderà di gioia la lingua del muto,
perché scaturiranno acque nel deserto,
scorreranno torrenti nella steppa.
La terra bruciata diventerà una palude,
il suolo riarso sorgenti d’acqua.
“Dite agli smarriti di cuore”: il messaggio è rivolto agli esuli di ritorno in patria. Sono infiacchiti dal lungo periodo di esilio, non hanno fiducia in sé stessi e, soprattutto, non sono sicuri del futuro, di quel che accadrà, pur assaporando la gioia di ritornare nella “terra promessa”.
Il profeta li incoraggia e assicura loro la presenza di Dio, la guida che liberò il popolo dalla schiavitù in Egitto e lo introdusse nella “terra promessa”. l’attuale patria. La comunità che ritorna è sconcertata, non sa cosa pensare né quale sarà il suo futuro. Non capisce perché Dio non interviene direttamente e lascia che le cose rimangano nell’incertezza, nell’insicurezza, come se non vedesse, non fosse presente o, addirittura, si fosse dimenticato della promessa.
Il profeta li rassicura: “Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio giunge la vendetta, la ricompensa divina. Egli viene a salvarvi”. Dio porta con sé, da un lato, la salvezza del popolo, dall’altro il castigo per i nemici, che sono anche i suoi nemici. La ricompensa divina non consiste in un premio guadagnato con le opere buone, ma la salvezza gratuita.
La salvezza porta con sé la guarigione da diverse malattie o disabilità. È l’evento di vita nuova, come una risurrezione: “Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto, perché scaturiranno acque nel deserto, scorreranno torrenti nella steppa”.
Gli esuli in cammino sono paragonati a persone afflitte da mali che impediscono la possibilità di un lungo cammino a piedi. Dio chiede loro fiducia nel suo intervento e promette la rigenerazione: “Allora si apriranno gli occhi dei ciechi, e si schiuderanno gli orecchi ai sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto”.
Essi saranno ristabiliti nell’integrità fisica, psicologica, morale e sociale. Allo stesso tempo riscatteranno la loro condizione di “popolo eletto”, e la rigenerazione sarà fonte di allegria, di felicità che plasmerà una nuova società. La loro guarigione sarà simbolo e manifestazione della presenza di Dio e della Sua fedeltà all’Allenza stabilita sul Sinai con Mosè.
Anche la natura parteciperà all’evento. E il profeta, metaforicamente, afferma: “scaturiranno acque nel deserto, scorreranno torrenti nella steppa. La terra bruciata diventerà una palude, il suolo riarso sorgenti d’acqua”. L’immagine del deserto che rifiorisce al passaggio degli esuli dà l’idea del rinnovamento che, partendo dal cuore umano, si estende alla comunità, al popolo e al fiorire del creato.
Gli esuli vedono nel ritorno nella terra dei loro padri il dono di Dio, che adempie alla promessa fatta e, con esso, l’occasione per rifondare lo stato teocratico, pur sotto la dominazione di stranieri. Con esso il popolo ritrova la sua identità e si pone al servizio dell’umanità, nuova spinta di progresso non solo spirituale ma anche economico e politico!
Dio rinnova la promessa del futuro e del destino del popolo, sperando nella fedeltà all’alleanza dopo le tristi vicende del passato. Per il popolo è la nuova opportunità per ricominciare in forza dell’alleanza, e riscattare i valori che sostengono il rispetto, la dignità della persona, soprattutto quella dei poveri, degli esclusi, dei marginalizzati dal convivio sociale.
Praticando il diritto e la giustizia, il popolo testimonia l’appartenenza al Dio liberatore, al Dio dell’alleanza, nel portare a termine la missione anche a favore delle nazioni straniere coinvolgendole, con il proprio esempio, nello stesso stile di vita caratterizzato dalla pratica del diritto e della giustizia per un mondo più umano, fraterno, solidale e responsabile.
In tal modo il popolo rende culto a Dio e testimonia l’appartenenza al Dio della vita. È conosciuta l’affermazione di S. Ireneo (teologo del secondo secolo): “La gloria di Dio è la vita degli uomini, e la vita degli uomini è lodare Dio”.
La santità, la trascendenza, la grandezza, il fascino e il coinvolgimento nell’avvento della sovranità di Dio declinano la pratica dei valori dell’alleanza, e il consolidamento della missione rivolta ai popoli in nuovi orizzonti sempre più coinvolgenti, profondi e soddisfacenti.
Allo stesso tempo, il modo adeguato di lodare Dio è trasmettere il dono ricevuto ad altre persone nella stessa dinamica – una spirale in continua espansione – per l’accoglienza dell’avvento del Regno di Dio. In tal modo le persone sono “pietre vive” dell’avvento del regno nella comunità.
In realtà, però, il ritorno dall’esilio non comporterà l’adempimento delle attese dei rimpatriati e soprattutto di Dio. Coloro che sono rientrati si troveranno di nuovo immersi nei problemi di sempre, perché non hanno saputo superare la tentazione dell’esclusivismo che porta a rinchiudersi su sé stessi, a frapporre barriere agli influssi esterni e allo straniero.
Inoltre, proietteranno nel futuro la pienezza di vita, i risultati che attendevano con la fine dell’esilio, senza comprendere la necessità previa di impiantare saldamente i termini dell’alleanza a favore delle persone e delle classi meno favorite ed emarginate. Le prospettive ricalcheranno il modello del tempo di Davide e di Salomone, ritenuto il periodo d’oro della storia d’Israele
Dio giocherà la sua ultima carta inviando il Figlio. Ma il riscontro non sarà quello sperato, come testimonia la seconda lettura.
Seconda lettura (Gc 2,1-5)
Fratelli miei, la vostra fede nel Signore nostro Gesù Cristo, Signore della gloria, sia immune da favoritismi personali.
Supponiamo che, in una delle vostre riunioni, entri qualcuno con un anello d’oro al dito, vestito lussuosamente, ed entri anche un povero con un vestito logoro. Se guardate colui che è vestito lussuosamente e gli dite: «Tu siediti qui, comodamente», e al povero dite: «Tu mettiti là, in piedi», oppure: «Siediti qui ai piedi del mio sgabello», non fate forse discriminazioni e non siete giudici dai giudizi perversi?
Ascoltate, fratelli miei carissimi: Dio non ha forse scelto i poveri agli occhi del mondo, che sono ricchi nella fede ed eredi del Regno, promesso a quelli che lo amano?
“La vostra fede nel Signore nostro Gesù Cristo, Signore della gloria, sia immune da favoritismi personali”. Giacomo esorta i membri della comunità, soprattutto la classe dirigente, a considerare come la fede in Gesù Cristo, motivo per cui i credenti si costituiscono come comunità, non è compatibile, anzi è in contraddizione, con qualsiasi forma di preferenza o discriminazione.
Oggi tale norma è più che evidente e ovvia secondo criteri di giustizia e di buon senso, ma è molto disattesa. I motivi sono molteplici: vincoli familiari, affinità, scambio di favori, nepotismo, corruzione, eccetera. Molte persone sono umiliate, defraudate, private dal diritto e dal merito oggettivamente inalienabile.
Sono pochi coloro che gestiscono il processo di discernimento, e le scelte conseguenti, in modo corretto, applicando il criterio delle pari opportunità, indicando e verificando le adeguate condizioni dei destinatari per il raggiungimento del fine appropriato.
Per non cadere nell’errore occorre la solida identificazione/comunione con i valori autenticamente umani, sostenuti e fortificati dagli effetti della morte e risurrezione di Cristo, la coscienza e la consistenza spirituale per la quale emerge la condizione di nuova creatura.
Ciò consiste nell’assumere lo stesso atteggiamento di Gesù quando, attorniato da molta gente e avvertito della presenza della madre che lo stava cercando rispose: “Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli (…) chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre” (Mc 3, 34-35). Risposta sconcertante per la sensibilità umana, e comprensibile solo per l’accoglienza dell’escatologia presente, che ben mostra la condizione di equità e affettività che va oltre il sentimento familiare.
La pratica della dignità, associata al rispetto delle pari opportunità, sintonizza con gli effetti della redenzione operata da Gesù Cristo a favore di tutti. Comporta considerare la persona con lo sguardo di Dio nel vincere la tentazione del favoritismo e della discriminazione. Tale comportamento è particolarmente incisivo e ammirato da chi possiede il patrimonio etico nel quale si specchia il valore dell’onestà e della rettitudine.
Per altri tale comportamento assume un significato opposto; con altre parole, è manifestazione di ingenuità, di stare fuori dalla realtà del mondo, di approfittare del vantaggio e la constatazione che molti coscientemente agiscono stesso modo. Per costoro non approfittare è ritenuto non passare il vantaggio ad altri.
L’apostolo sostiene la sua esortazione, ossia che Dio “ha scelto i poveri agli occhi del mondo, che sono ricchi nella fede (di Gesù) ed eredi del regno, promesso a quelli che lo amano”. Si riferisce alle persone credenti che hanno fatto della loro povertà la scelta di vita.
Non si tratta dei poveri dal punto di vista sociale, economico o morale (emarginati, esclusi, discriminati), ma di coloro che, trovandosi in tale condizione, accolgono l’insegnamento e la pratica di Gesù, il cui effetto rinnova e trasforma la persona per l’adesione alla fede escatologica “oggi e ora” di Lui. Costoro partecipano già del Regno che irrompe in loro -l’amore di Dio – mediato da Gesù e trasmesso attraverso il suo modo di essere, insegnare e predicare.
È imitando l’amore gratuito di Dio che li ha trasformati, facendo della povertà il quadro di fondo per coinvolgere nello stesso amore chi si rivolge sul modello che Egli ha realizzato in loro, con la disposizione di suscitare e accogliere la stessa fede di Lui.
La loro speranza è sostenuta e motivata dal coinvolgimento e dal fascino dell’avvento del Regno di Dio. Pertanto è bandito il favoritismo e la discriminazione; perché la pratica e l’accoglienza dell’avvento del Regno è tutt’altra cosa rispetto a ciò che si gestisce con criteri comuni, circoscritti nell’ambito individuale intriso di egocentrismo, chiusi su sé stessi e nelle proprie convenienze.
Di fatto, nella pratica pastorale, la dimensione sociale-comunitaria della fede non è presa in dovuta considerazione. La formazione religiosa è notoriamente individualista: la persona si preoccupa della propria salvezza nello sviluppare le proprie capacità, centro della propria gravità.
La preoccupazione sociale e comunitaria (universale) è lasciata all’attività politica. Molti si ritraggono quando sono invitati a prestare un servizio e ad assumere responsabilità nella comunità; diventano come sordi e muti all’invito, e hanno bisogno del “tocco” della Parola per assumere i criteri adeguati, come racconta il vangelo.
Vangelo (Mc 7,31-37) – adattamento dal commento di Alberto Maggi
In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli.
Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente.
E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».
Ogni volta che leggiamo il Vangelo dobbiamo sempre tener presente che essi non riguardano la cronaca, ma la fede; che non riguardano la storia, ma la teologia; che non sono un elenco di fatti, ma di verità; e questi concetti sono tanto più veri in un episodio del genere.
Tutto si svolge in un itinerario completamente strampalato, inverosimile e sconclusionato. La difficoltà e la resistenza da parte dei discepoli di accettare che la buona notizia, il messaggio di Gesù, venga rivolto anche ai pagani è narrato da Marco in un episodio che troviamo soltanto nel suo vangelo. È il capitolo settimo, versetti 31-37: “Di nuovo, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli”. Basta guardare una qualunque carta geografica per vedere che è un itinerario assurdo, inverosimile, perché Gesù parte da Tiro (era già andato in terra pagana), va su al nord come possiamo vedere nella cartina geografica, a Sidòne, poi scende per andare al mare di Galilea, ma fa tutto un ampio giro passando per la Decàpoli, cioè le città pagane.
Perché questo? L’evangelista non vuole indicare un itinerario topografico, ma teologico: l’azione di Gesù, quella della buona notizia, abbraccia tutto il mondo pagano ed è qui che incontra la resistenza di chi lo seguiva. In questo episodio l’evangelista, attraverso la figura del sordomuto, rappresenta la resistenza dei discepoli. Sono sordi, non accolgono il messaggio di Gesù e, per questo motivo, non possono esporlo.
“Gli portarono un sordomuto”; (la traduzione corretta è “sordo balbuziente”) e il riferimento è al profeta Isaia, capitolo 35, dove si parla dell’esodo, della liberazione, e “lo pregarono di imporgli la mano”.
Ebbene, Gesù non impone la mano in quanto la situazione è molto più grave; Egli agisce quasi con violenza (“lo prese in disparte”). Questa espressione, “in disparte”, è riportata, nel vangelo di Marco, sette volte e in ben sei occasioni è riferita ai discepoli. Quindi, sotto la figura di questo sordo balbuziente, l’evangelista intende rappresentare la resistenza da parte dei suoi discepoli.
“Lontano dalle folle gli pose le dita negli orecchi”, letteralmente gli infilò, cioè gli sturò con le dita gli orecchi. Qui l’evangelista adopera il termine greco “ota” (fonetico) che indica proprio l’organo fisico, e con la saliva, che si riteneva che fosse alito condensato ed era un’immagine dello Spirito, “gli toccò la lingua. Guardando quindi verso il cielo” (il cielo rappresenta la sfera divina) “emise un sospiro” (è solo qui, nel nuovo testamento, che Gesù sospira). È la resistenza, la fatica che Gesù fa per far comprendere che il regno di Dio non conosce confini, non innalza muri, ma apre le porte a tutti quanti.
“Egli disse: Effatà”. Quando nel vangelo di Marco vengono adoperate parole in aramaico, la lingua parlata a quel tempo, significa che l’episodio riguarda i discepoli di Gesù che erano di questa lingua, ed il termine che usa è un imperativo: “apriti!”. L’imperativo è rivolto a tutto l’individuo: se fosse rivolto alle orecchie Gesù avrebbe dovuto dire “apritevi”; invece, è l’uomo che si deve aprire completamente. “E subito, finalmente, gli si aprirono”, e qui l’evangelista, per orecchi, non adopera il termine adoperato prima, ma un altro termine “acuai” (fonetico) che indica l’udito, la comprensione.
Era questo il problema; non una menomazione fisica, ma un problema di comprensione. “Si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente”: qui il riferimento è preso dall’evangelista dal capitolo 35 del profeta Isaia, dove si parla della liberazione, dell’esodo dalla prigionia. Isaia scrive “Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchie dei sordi, allora lo zoppo salterà come un cervo e griderà di gioia la lingua del muto”. Quindi l’evangelista vede nell’azione di Gesù questa liberazione che lui porta.
“E comandò loro, a coloro che lo avevano portato da Lui, “di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano” – e qui la reazione è strana perché Gesù ha guarito un sordomuto, ma viene estesa a tutti in quanto il plurale indica che riguarda i discepoli – “ha fatto bene (…)”. Il termine “bene” è preso dal libro della Genesi, della creazione; quindi, si vede nell’attività di Gesù il prosieguo dell’azione creatrice del Padre, “(…) ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti”.
Quindi l’attività di Gesù è quella di liberare i discepoli da questi pregiudizi nazionalisti, religiosi, che li chiudevano ai pagani. Ma perché Gesù proibisce che venga riferito ad altri? Per evitare un facile entusiasmo, in quanto il cammino sarà ancora lungo e Gesù, più avanti, li dovrà ancora rimproverare dicendo “Avete orecchi e non udite”. Il cammino è lungo…