Gesù nel Vangelo di oggi si pronuncia con forza contro i farisei circa quello che è puro o impuro. La questione non è semplicemente formale o ritualistica. Quando discutiamo su ciò che esalta la natura umana rispetto a ciò che al contrario può diminuirla, su cosa aggiunge o toglie qualità alla vita dell’uomo, su quanto della sua sofferenza rispetta o meno la sua dignità, su quanto dell’intelligenza artificiale può essere a suo servizio o dominarlo, stiamo discutendo sul puro e l’impuro. In termini più soggettivi la discussione rimanda alla distinzione tra ciò che mortifica la tua personalità e ciò che invece le permette di esprimersi in tutte le sue potenzialità. La serietà delle questioni menzionate spiega la forza dell’intervento di Gesù nei confronti dei farisei. Ma per meglio comprendere tale intervento occorre rifarsi alle affermazioni di Mosè e di Giacomo nelle letture che precedono il Vangelo. I comandamenti di Dio, spiega Mosè al popolo, non sono semplicemente precetti esteriori da osservare. Essi sono vera luce che illumina l’intelligenza e la orienta al bene, suscitando ammirazione presso gli altri popoli. Essi sono un’energia che potenzia la qualità della vita, permettendo a chi li osserva di possedere la terra, cioè di vivere in libertà senza paure o condizionamenti. Essi, soprattutto, sono espressione di una relazione privilegiata che la creatura può avere con il suo creatore; una relazione che la distingue da tutte le altre creature e da tutti coloro che ritengono di poter fare a meno di Dio: chi, ricorda Mose al popolo, ha un Dio a sé vicino come noi che possiamo invocarlo? Giacomo sembra riecheggiare questo discorso di Mosè quando scrive che ogni dono perfetto, cioè ogni realtà che fa crescere l’uomo verso il suo fine e la sua perfezione non viene da lui stesso o dalla sua natura ma viene dall’alto. Esso, cioè, discende verso di lui, come espressione della relazione con un Dio che, pur essendo al di sopra di tutti, decide di farsi vicino. Aprendo il proprio cuore all’ascolto della parola di Dio, dunque, continua Giacomo, il credente non riceve norme esteriori ma un seme di verità che ha un potere generativo. Esso, infatti, ha il potere di partorire in chi lo riceve una nuova personalità che porta in sé un riflesso della vita divina e che quindi purifica il cuore ed eleva la natura umana al di sopra delle sue meschinità. Unica vera condizione per accogliere questo seme è quella di mettere al primo posto questo desiderio di purificazione interiore rispetto ad ogni altra preoccupazione per le cose esteriori. Senza questo desiderio sincero l’uomo rischia di fermarsi all’accumulo di competenze tecniche, al culto dell’immagine, al bisogno del confronto con gli altri. È come, dice Giacomo, chi si guarda allo specchio e cerca di eliminare ogni traccia momentanea e superficiale di disordine dal suo volto per poi dimenticarsene. Ciò che attiva un dinamismo di cambiamento e di crescita è, invece, il riconoscimento realistico di tutta la malizia che trabocca dal cuore di ogni uomo e quindi l’assunzione di un atteggiamento umile di disponibilità sincera a lasciarsi purificare dalla parola di verità che, se accolta, agisce come un seme che cresce. Alla luce di tutto ciò si comprende meglio l’insegnamento di Gesù nel Vangelo. L’uomo deve innanzitutto rendersi conto che tutto il male che incontra fuori di sé – furti, omicidi, adulteri – non è che un riflesso della sua interiorità corrotta e procede fondamentalmente dal suo cuore non purificato. Non c’è nulla, infatti, nelle azioni dell’uomo che non sia stato prima nei suoi pensieri. È ciò che proviene dal cuore e non ciò che lo tocca esteriormente che rende un uomo puro o impuro, più o meno capace di amare e quindi di vivere all’altezza della sua vocazione. Non si tratta allora di salvare le apparenze e fare qualche sforzo per vivere decentemente di fronte agli altri, rispettando questa o quella convenzione umana. Questi sforzi esteriori conducono inevitabilmente all’ipocrisia condannata severamente dai profeti. Nessuno si fa buono da sé e nessuno fa buono gli altri, proprio come nessun cavallo addomestica sé stesso e nessun cavallo può addomesticarne altri. La stoltezza che Gesù menziona come l’ultimo dei pensieri cattivi che dominano il cuore dell’uomo è in fondo proprio quella presunzione di chi, illudendosi di poter difendere un’immagine esteriore di sé, non si lascia toccare intimamente dalla parola di verità, non si lascia correggere e quindi non cambia mai in profondità. Questa stoltezza non è vinta da uno sforzo umano ma da un atto di fiduciosa dipendenza dall’aiuto di Dio che raggiungendolo con la sua Parola che è Gesù stesso lo salva, lo libera dalla sua stoltezza, dalla sua autoreferenzialità, dal suo orgoglio accecato dal male. Accogliete con docilità la Parola che è stata piantata in voi e può portarvi alla salvezza.