Prima lettura (Dt 4,1-2.6-8)

Mosè parlò al popolo dicendo:

«Ora, Israele, ascolta le leggi e le norme che io vi insegno, affinché le mettiate in pratica, perché viviate ed entriate in possesso della terra che il Signore, Dio dei vostri padri, sta per darvi.

Non aggiungerete nulla a ciò che io vi comando e non ne toglierete nulla; ma osserverete i comandi del Signore, vostro Dio, che io vi prescrivo.

Le osserverete dunque, e le metterete in pratica, perché quella sarà la vostra saggezza e la vostra intelligenza agli occhi dei popoli, i quali, udendo parlare di tutte queste leggi, diranno: “Questa grande nazione è il solo popolo saggio e intelligente”.

Infatti quale grande nazione ha gli dèi così vicini a sé, come il Signore, nostro Dio, è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo? E quale grande nazione ha leggi e norme giuste come è tutta questa legislazione che io oggi vi do?».

Il popolo d’Israele sta per entrare nella terra promessa – “terra che il Signore, Dio dei vostri Padri, sta per darvi” – dopo la traversata nel deserto. È il compimento della sospirata promessa, la terra dove scorre “latte e miele”, metafora dell’abbondanza di ogni bene e di pace, con l’impegno di organizzare la nuova vita in modo saggio e intelligente, poiché si compia la promessa.

Mosè fornisce le opportune raccomandazioni in sintonia con i termini dell’alleanza: “Ora, Israele, ascolta le leggi e le norme che io vi insegno”. Ascoltare è molto più che udire, è coinvolgere tutta la persona – corpo, anima e spirito – nel progetto di Dio per il bene del popolo e di ogni singola persona. L’ascolto corretto attiva il desiderio e la determinazione dell’impegno coerente, disinteressato, tenace e costante per la causa dell’avvento del regno di Dio.

Come prima istanza, l’ascolto elabora le condizioni per discernere, nelle circostanze del momento, quello da trattenere e quello da lasciare. Le leggi e le norme sono finalizzate al discernimento degli avvenimenti che, pur nella loro ambiguità, hanno in sé l’azione e la presenza del Signore. Pertanto è necessaria l’intelligenza della fede per discernere con saggezza.

La complessità e la varietà delle circostanze sono tali che la legge non sempre fornisce le opportune risposte. Pertanto il discernimento si avvale dall’intelligenza della fede nel distinguere la lettera, il contenuto dalla legge, e l’accoglienza della dinamica dello Spirito il cui risultato promulga la risposta adeguata.

Il buon esito del processo di discernimento sintonizza l’obbedienza e il compimento della volontà del Signore e il fine di essa: “perché viviate ed entriate in possesso della terra che il Signore, Dio dei vostri padri, sta per darvi”.

Vivere nella terra promessa è elaborare la pienezza di vita, la pace e l’armonia con tutto e con tutti. È il dono del Signore che consegna la responsabilità e le condizioni per organizzare la società con saggezza e conseguire la liberazione dal male e dal peccato, memori del riscatto dalla schiavitù dell’Egitto.

Mosè indica il rispetto alle norme e alle leggi: “Non aggiungete nulla (…) e non togliete nulla; ma osserverete i comandi del Signore”, conseguenza della comprensione, dell’importanza, del significato e della finalità dell’azione.

Il discernimento non rimanda alla mera e letterale osservanza del testo, ma all’audace, coraggiosa e creativa elaborazione di nuove risposte in sintonia con lo spirito e la finalità. Il risultato soddisfacente “sarà la vostra saggezza e la vostra intelligenza agli occhi dei popoli”, motivo di approvazione e ammirazione al punto da suscitare l’elogio delle altre nazioni: “Questa grande nazione è il solo popolo saggio e intelligente”.

Mosè spiega e trasmette al popolo il patrimonio per motivare persone e autorità a investire energie intellettuali con autorevolezza e competenza nell’aderire alla Legge, e organizzare la vita personale e sociale in sintonia con essa.

Ricorda loro come la vicinanza e l’azione del Signore è straordinariamente superiore a quella degli dèi delle altre grandi nazioni: “Infatti, quale grande nazione ha gli dèi così vicini a sé, come il Signore, nostro Dio, è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo?”. Questa constatazione è la ragione in più per affidarsi, con convinzione e determinazione, all’ascolto della legge e alla corretta pratica.

Anche oggi è imprescindibile questo primo atteggiamento, che qualifica il discepolo come tale. Dalla qualità dell’ascolto dipende il fascino, lo stupore del progetto di vita della persona, della collettività e del creato. Da qui l’impegno per la formazione della coscienza spirituale che sostiene i valori, lo studio, l’elaborazione dei criteri di discernimento e, infine, la convinzione e determinazione dell’agire opportuno.

Da Dio ci si aspetta ogni bene e vita in abbondanza perché Signore della vita quando l’esistenza fisica è in pericolo, quando il vivere giornaliero diventa vuoto e senza senso, quando si ha poca o nessuna stima di sé stessi, quando il peso dei propri limiti umani e morali diventa insopportabile, quando la persona – la comunità – si rivolge a Lui, dal quale tutto ha origine, in attesa di un segno, di qualcosa che dia la svolta di speranza e di rinascita.

Ma, di fronte al “silenzio di Dio” sorge la domanda: perché non si fa presente e non interviene direttamente se è Padre che ama tutti come figli? Nell’orizzonte più ampio, tale “assenza” e, allo stesso tempo, la consistente prevalenza del male, dell’ingiustizia e della morte prematura di molti innocenti, fanno sì che l’aver riposto in Lui la fiducia crea un tale sconcerto che si dubita della promessa e, addirittura, della sua esistenza.

La seconda lettura riprende questo aspetto.

 

Seconda lettura (Gc 1,17-18.21b-22.27)

Fratelli miei carissimi, ogni buon regalo e ogni dono perfetto vengono dall’alto e discendono dal Padre, creatore della luce: presso di lui non c’è variazione né ombra di cambiamento. Per sua volontà egli ci ha generati per mezzo della parola di verità, per essere una primizia delle sue creature.

Accogliete con docilità la Parola che è stata piantata in voi e può portarvi alla salvezza. Siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi.

Religione pura e senza macchia davanti a Dio Padre è questa: visitare gli orfani e le vedove nelle sofferenze e non lasciarsi contaminare da questo mondo.

 

L’apostolo rassicura i membri della comunità che il dono perfetto e immutabile procede dal Padre, creatore della luce. In tal modo essi hanno la certezza dell’azione – “buon regalo e dono perfetto” – costante e fedele da parte del Padre nei loro confronti.

“Per la sua volontà egli ci ha generati per mezzo della parola di verità”. La parola feconda la nuova realtà. Essa fa sorgere nella coscienza la percezione della trasformazione, della rigenerazione e il rinnovamento di tutta la persona sottoposta al male e vinta dal peccato. L’effetto è la nuova persona liberata dalla schiavitù.

La rigenerazione operata dalla parola declina la sintonia e la comunione con Dio. Essa porta con sé il rinnovamento e il consolidamento dell’alleanza, trascurata per la forza e la seduzione del male a causa della fragilità umana e del potere coercitivo del peccato. Ebbene, essa fa sì che il credente ritorni agli effetti coinvolgenti e profondi del primo amore e partecipi, già oggi, della vita eterna, anticipo della gloria di Dio che manifesta “oggi e ora” la fine del tempo, sintonia con la fine dei tempi, del futuro.

La finalità della rigenerazione non è rinchiusa nell’ambito della persona; al contrario, essa è “per essere una primizia delle sue creature” quale “buon regalo e dono perfetto” di Dio Padre, per il quale l’umano si divinizza. Questa condizione è l’inizio del cammino che, crescendo in qualità ed estensione, sintonizza con l’umanità intera e il creato, nell’orizzonte dei sentimenti di Dio e della sua gloria.

Di conseguenza, l’apostolo Giacomo esorta: “Accogliete con docilità la Parola che è stata piantata in voi e può portarvi alla salvezza”. Docilità è accogliere con buona disposizione, convinzione e gratitudine, gli effetti della Parola. Non è semplice né facile sintonizzare correttamente con essa; accogliere il dono, del quale ci si ritiene indegni e immeritevoli e, per di più, senza percepire segni o effetti sensibili dal punto di vista umano, richiede grande dose di umiltà, di fiducia e di coraggio.

Per fare un paragone, è come accogliere l’efficacia delle parole della consacrazione del pane e del vino senza comprendere come ciò avvenga, e senza nessun tipo di riscontro consono all’esperienza umana. Più ancora, accogliere in essi la realtà e gli effetti della consegna di Gesù, del suo corpo e sangue come evento di liberazione dai peccati, di immersione nella nuova vita, di rinnovo nell’alleanza e di impegno per la causa del regno – per la quale Gesù ha consegnato sé stesso – è un atto di fiducia che ha effetto solo attraverso l’umiltà che, immediatamente, si fa gratitudine.

La Parola è Cristo stesso. Essa riguarda tutto ciò che ha fatto ed insegnato, come rappresentante e mediatore di ogni persona e dell’umanità davanti al Padre. In virtù di tale ruolo gli effetti della sua morte e risurrezione sono oggettivamente impiantati nelle persone, e sono percepiti solo per la sintonia con la fede di Gesù. Perciò l’apostolo Giacomo afferma: “la Parola è stata piantata in voi”.

La sua efficacia “può portarvi alla salvezza” se legata alla fede di Gesù Cristo da un lato e, dall’altro, all’accoglienza dell’avvento del Regno. La salvezza individuale realizzata dalla fede è soggetta a rinsecchire, a svuotarsi, se rimane circoscritta nell’ambito della singola persona.

Il segnale concreto – visibile e constatabile – dell’efficacia della salvezza è donare e trasmettere lo stesso amore di Dio nei propri confronti a favore dei poveri, dei deboli e delle persone esposte al sopruso dei prepotenti, quali gli orfani, le vedove e lo straniero: “Religione pura e senza macchia davanti a Dio Padre è questa: visitare gli orfani e le vedove e non lasciarsi contaminare dal mondo”.

È la dedicazione alla causa della sovranità di Dio che, nella circostanza, determina l’accoglienza dell’avvento del suo Regno, per la qualità del rapporto con le persone e nell’imitarlo nei confronti di chi accoglie il suo dono, senza l’attesa di nessun tipo di ritorno.

L’avvento del Regno include, e va oltre, il rapporto interpersonale. Esso ha come obiettivo la trasformazione della società per la nuova comunità fraterna, responsabile e sempre più umana, che favorisce le pari opportunità a tutti per una vita coerente al bene comune, alle esigenze basiche di tutti.

Così si compie la raccomandazione: “Siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi”. L’illusione è propria di chi, gratificato con sé stesso, ritiene d’aver raggiunto la salvezza. Basta ricordare che la salvezza è un dono per tutta l’umanità, così come lo fu per tutto il popolo d’Israele liberato dalla schiavitù dell’Egitto.

Durante il cammino per accogliere l’avvento del regno, già oggi presente, cresce nel credente e nella comunità l’esperienza dell’infinto amore di Dio che declina, nella vita giornaliera, la libertà per amare e la responsabilità nel contribuire alla Sua opera, della quale Egli ci rende partecipi.

Si sviluppa il processo audace, coraggioso e creativo che suscita speranza e riscatta la dignità di chi ne è privato, come mostra il Vangelo.

 

Vangelo (Mc 7,1-8.14-15.21-23)

In quel tempo, si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme.

Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate – i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti –, quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?».

Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaìa di voi, ipocriti, come sta scritto:

“Questo popolo mi onora con le labbra,

ma il suo cuore è lontano da me.

Invano mi rendono culto,

insegnando dottrine che sono precetti di uomini”.

Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini».

Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro». E diceva [ai suoi discepoli]: «Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo».

 

L’evangelista narra che “si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi venuti da Gerusalemme”. I farisei sono scrupolosi osservatori della legge e gli scribi i loro teologi. Questi ultimi, esperti della Scrittura, – diremmo oggi il magistero della religione giudaica – sono venuti appositamente da Gerusalemme perché c’è in ballo una questione molto seria. Già erano venuti precedentemente perché Gesù, seguito da una grande folla, guariva molti malati e, non potendo negare il fatto, dicevano: “Costui è posseduto da Beelzebùl e scaccia i demoni per mezzo del principe dei demoni” (3,23).

I farisei avevano “visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate”. Alberto Maggi afferma che non si tratta di cibo ma di “pani”, riferendosi alla condivisione dei pani (vedi il brano Mc 6,30-44) che raffigura l’Eucaristia. Gesù, nel dare i pani alla gente, non aveva chiesto loro di purificarsi prima. Questo perché il significato dell’Eucaristia non richiede la purificazione per mangiare, ma è il mangiare che rende puri.

In tal modo Gesù entra in aperta polemica sull’importanza della purezza legale che, nella concezione dei farisei e degli scribi, era strettamente legata all’ammissione nel regno di Dio con l’arrivo del Messia. Solo i puri entreranno nel regno, gli altri saranno irrimediabilmente esclusi: quel che è in gioco è la salvezza. Se poi si aggiunge il criterio del merito, nel senso che più perfetto è il compimento della legge più si acquistano meriti per la salvezza, si capisce la portata dell’impatto su di loro.

Di conseguenza rimproverano Gesù: “Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con le mani impure?”. Secondo loro Mosè, sul Sinai, aveva ricevuto due leggi. Una, quella scritta, e l’altra, quella orale, che aveva lo stesso valore di quella scritta; questa si chiamava “la tradizione degli antichi”. Si capisce, allora, come questa libertà di Gesù sia motivo di scandalo e di grande preoccupazione.

Gesù risponde in modo sorprendete. Li taccia di “ipocriti”, termine che allora non indicava una connotazione morale come oggi (ossia nascondersi dietro una maschera per occultare quello che si è o per manifestare quel che non si è), ma si riferisce al teatrante, commediante, colui che recita solo una parte. E cita il profeta Isaia: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore – il progetto di vita finalizzato all’avvento del regno – è lontano da me”.

Non si tratta, quindi, di religiosità o di culto, e Gesù affonda: “invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini”. Essi pretendono di dare autorità divina a quelle che sono soltanto disposizione umane per dominare e che, certamente, non procedono da Dio.

Gesù passa all’attacco e li accusa: “Trascurando il comandamento di Dio (…)” – a favore degli uomini – “(…) voi osservate la tradizione degli uomini” per i vostri interessi. In tal modo pretendono di far passare come precetti divini questo loro modo di pensare e agire.

Gesù, però, ritiene tutto ciò semplicemente come “dottrine che sono precetti di uomini”. Il comandamento trascurato è la giustizia e il diritto, con la conseguenza di fuorviare il senso e la finalità della Legge in quanto precetto divino. In sostanza, essi svuotano dall’interno il precetto divino, manipolandolo a loro favore.

Allontanarsi dal senso e dalla finalità dell’alleanza, o peggio, porre il precetto divino al proprio servizio, significa coltivare un cuore impuro, proprio di chi cerca la soddisfazione dei propri interessi a discapito del bene della collettività e del bisogno delle persone, soprattutto le più esposte al sopruso, quali le vedove, gli orfani e gli stranieri. È infedeltà all’alleanza.

Alberto Maggi prosegue nella sua riflessione volgendo l’attenzione al fatto che, ora, Gesù si rivolge alla folla dicendo: “Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla al di fuori dell’uomo che entrando in lui possa renderlo impuro”, in aperto contrasto con quanto contenuto nel libro del Levitico, i cui capitoli indicano ciò che è impuro e, entrando nell’uomo, rende impossibile la comunione con Dio.

Ebbene, Gesù alza il tiro. Dalla critica alla legge orale – il Talmud – passa addirittura – e questo è gravissimo – a criticare la legge scritta.

I discepoli erano pronti a rompere con la legge orale, ma non con quella scritta. Il vangelo di Marco aggiunge un commento molto grave: “così rendeva puri tutti gli alimenti” (v.20). Quello che è contenuto nel libro del Levitico, con l’elenco di tutti i cibi puri e impuri, non corrisponde alla volontà di Dio. Ciò è talmente grave che, dopo questo discorso, Gesù dovrà scappare a Tiro.

Per Gesù ciò che determina il rapporto con Dio non è qualcosa di esterno all’uomo, e neanche riguarda il culto, ma sono tutti i cattivi atteggiamenti che fanno male agli altri. Ne indica dodici, tutti contro l’uomo e nessuno contro la religione. La prima è – non l’impurità come hanno tradotto – ma “prostituzione”, intendendo il vendersi per la carriera, per il successo, per l’ambizione e così via.

Nessuno di questi riguarda Dio; e come si fa quando un elenco deve essere ricordato a memoria, il primo e l’ultimo erano i più importanti, perché erano quelli che rimanevano nella memoria. Il primo è “prostituzione”, l’ultimo è “stoltezza”, la stupidità.

Stupido nei vangeli è chi vive soltanto per sé, ossia chi pensa soltanto al proprio interesse e non si accorge dei bisogni e delle necessità degli altri. E Gesù dichiara: “tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo”. Per lui la distinzione tra puro e impuro non procede da una legge di Dio, ma l’impurità nasce dalla cattiva relazione che si ha con gli altri uomini.